Come di consueto rieccomi a trattare di questo argomento con un post di approfondimento.
La vita post-fisica nell’ambito della fantascienza può essere vista come una sorta di metafora dell’immortalità dell’anima, come viene intesa in campo religioso/spirituale. In un certo senso è un modo di rappresentare nella letteratura, ma anche nel cinema, in TV, nei fumetti e così via, l’ambizione umana di vincere la morte, o anche solo di ritardarla il più possibile. Lo stesso accade nelle religioni, che nascono dal desiderio di dare una risposta alle grandi domande della vita, tra cui “dove andiamo?”. Le religioni offrono spesso una risposta a questa domanda che implica l’esistenza di una vita dell’anima che continua dopo la morte del corpo.
Il pensiero della possibilità di una vita post-fisica, sia in campo religioso/spirituale che fantascientifico, è di conforto di fronte alla paura della morte, non solo per i credenti nella vita reale, ma anche (diciamocelo) per chi legge o guarda le storie di fantascienza (o per chi le crea), se non in senso assoluto, almeno nel momento in cui si immerge in quei mondi e perde il contatto con la realtà.
Nella fantascienza esistono diversi modi per rappresentare la vita post-fisica, che però possono essere riassunti in tre approcci da me definiti, rispettivamente, soft, hard e intermedio.
L’approccio soft si osserva in quelle storie in cui i personaggi, dopo la morte o per loro scelta a un certo punto della loro vita, “ascendono” a una vita di puro pensiero e possono riapparire nelle vicende sotto forma di fantasmi, emanazioni, apparizioni o simili. L’ascensione alla vita post-fisica porta a un’esistenza indefinita in una realtà alternativa (concetto che ricorda il paradiso). Questo passaggio non viene in alcun modo spiegato scientificamente e perciò l’approccio soft implica una forte deriva fantasy.
L’approccio hard, invece, si osserva tipicamente nel cyberpunk o comunque nella fantascienza che parla di realtà virtuale. In questo caso per forza di cose ci riferiamo a una fantascienza più recente, successiva all’avvento di internet o di poco precedente.
In queste storie la coscienza dei personaggi viene digitalizzata (e ciò rappresenta un tentativo di spiegazione scientifica) per crearne una versione virtuale che ha la percezione di essere l’essere umano (o alieno che sia) originale, sebbene non sia altro che una copia. Questa coscienza digitale copia di una reale (da ciò si differenzia dall’intelligenza artificiale che è, invece, creata ex-novo) è potenzialmente immortale, appunto come l’anima.
Sebbene qui si tenti di dare una spiegazione pseudoscientifica, a questa tipologia appartengono storie sia della fantascienza hard che di quella più o meno soft (come la space opera), ciò però non implica necessariamente una deriva fantasy.
Infine abbiamo l’approccio intermedio che è tipico di storie concepite prima della nascita di internet in cui si mescolano aspetti scientifici, o psedoscientifici, ad altri spirituali oppure addirittura onirici. Spesso il confine tra i due non è affatto definito.
E adesso veniamo a
qualche esempio. In questo post mi limiterò a farne qualcuno sul primo e l’ultimo approccio, lasciando il secondo, ben più corposo, a uno nuovo che vi presenterò fra qualche giorno.
Rientra a pieno titolo nell’approccio soft la saga di Star Wars, soprattutto la vecchia trilogia che era caratterizzata da un alone fantasy. In quella nuova si è poi provato a dare delle spiegazioni pseudoscientifiche, anche se non particolarmente convincenti (e direi anche del tutto inutili). In particolare mi sto riferendo al fatto che alcuni Jedi, come Obi-Wan Kenobi o Anakin Skywalkerdopo la morte del corpo, riappaiono nella storia sotto forma di “fantasmi”. Addirittura in “Guerre Stellari” (come a noi fan sentimentali piace ancora chiamarlo), quando Obi-Wan Kenobi viene colpito a morte da Darth Vader, si smaterializza!
Un altro esempio di approccio soft è quello che si osserva nel
franchise di
Stargate SG-1. Qui si viene a sapere dell’esistenza di una razza aliena ormai “estinta”, cioè la
razza degli Antichi, che non esiste più nello spazio tempo reale poiché
è ascesa. L’
ascensione ha un ruolo importante nelle varie stagioni della serie e dei suoi spin-off, poiché
a essa ambiscono altre razze, tra cui addirittura i replicanti di Stargate Atlantis, che però non potranno mai raggiungerla in quanto non sono degli esseri organici. In questo caso l’ascensione alla vita post-fisica
non necessariamente segue la morte, ma è uno stato che gli individui, in particolari condizioni,
possono raggiungere di propria volontà da vivi, in quanto considerato
molto più desiderabile della stessa vita fisica.
L’esempio classico dell’approccio intermedio può essere riassunto con un nome: Philip K. Dick.
In “Ubik”, per esempio, Dick unisce l’elemento scientifico (la conservazione dei corpi dei morti che permette il mantenimento di una piccola attività cerebrale con modalità non del tutto spiegate) all’aspetto onirico e a una prima invenzione di una “realtà virtuale” (nel senso di opposta a quella reale) ben prima della nascita di internet.
Non voglio entrare nel dettaglio per evitare anticipazioni nei confronti di chi non l’avesse letto, ma già da queste poche informazioni si nota la presenza di elementi degli altri due approcci, in particolare di quello hard, con l’essenziale differenza che quando Dick scrisse questo libro non esisteva di certo internet né tanto meno il concetto di realtà virtuale. Si tratta di vere e proprie speculazioni scientifiche, fatte sulla base delle conoscenze del periodo, in cui, però, si potrebbe vedere addirittura qualcosa di profetico.
E qui mi fermo. Nel secondo post dedicato a questo tema, invece, mi soffermerò su degli esempi relativi all’approccio hard nella rappresentazione della vita post-fisica nella fantascienza (
lo trovate qui).