Ben strutturato, ma non memorabile. Traduzione scadente
Nel recensire questo libro mi trovo a dover fare una distinzione tra la mia opinione sul libro in sé e quella sull’edizione che ho letto, vale a dire quella italiana cartacea della Newton Compton. Dico subito che nel voto non ho considerato l’edizione, poiché avrebbe rischiato di dimezzarlo.
“Artemis” è un technothriller con una componente scientifica ben curata, come d’altronde mi attendevo da Weir. Se volessi fare un paragone con i libri di altri autori, il primo nome che mi viene in mente è Crichton (scusami, maestro!), per il fatto che tutta la storia è asservita all’intenzione di parlare al lettore di scienza. La somiglianza però finisce qui.
I libri di Crichton, infatti, tendevano a girare intorno a un grande tema scientifico, magari con risvolti morali, senza preoccuparsi di descrivere per forza delle tecnologie reali o plausibili (a volte bastava soltanto che lo sembrassero), ma soprattutto avevano un tono drammatico e spesso di denuncia. I libri di Weir, invece, fanno ridere, letteralmente. I suoi protagonisti non si prendono troppo sul serio e hanno sempre la battuta pronta, talvolta rivolta al lettore, anche in situazioni di vita o di morte (di altri o propria). È evidente che l’autore si diverte a metterli nei guai per poi trovare un modo da nerd per tirarceli fuori. Unendo questi due aspetti, abbiamo a che fare con dei novelli MacGyver che utilizzano le proprie conoscenze e i pochi mezzi a disposizione per risolvere situazioni disperate. In questo senso “Artemis” assomiglia molto a “The Martian”.
Ci sono, però, delle grosse differenze. “Artemis” per certi versi è scritto meglio, nel senso che ha una struttura meglio studiata e caratterizzata da un ritmo della narrazione ben cadenzato che funziona alla perfezione. “The Martian”, invece, essendo nato da episodi pubblicati sul blog dell’autore, presenta gli effetti di questa serialità indisciplinata che a volte stranisce il lettore. Però proprio questo suo non essere strutturato nel modo “giusto” lo rende imprevedibile e di conseguenza più godibile.
In “Artemis”, al contrario, per quanto ci troviamo di fronte a colpi di scena imprevedibili, questi lo sono solo nella sostanza (cioè non sappiamo cosa succederà), ma non nella tempistica, poiché sono talmente inseriti nel punto giusto della storia che in qualche modo li vediamo arrivare (cioè sappiamo che stanno per accadere).
A ciò si aggiunge qualche cliché a destra e a manca e un’antieroina che alla fine si trasforma in eroina travolgendo il lettore con una scontata ondata di buonismo, la cui conseguenza è una certa dose di delusione.
Al di là di tutto questo a rendere sostanzialmente “Artemis” più debole di “The Martian” è lo spessore della trama. Nel confronto tra la storia di una giovane criminale che finisce nel mirino di criminali peggiori di lei nella prima città sulla Luna e quella di un astronauta lasciato per errore su Marte (un pianeta deserto e letale), la prima ne esce con le ossa rotte.
Nonostante ciò, “Artemis” è una lettura gradevole e divertente, con una protagonista simpatica e con tanti spunti scientifici stuzzicanti. È fatto in modo tale da piacere a più persone possibili, ma di conseguenza non per essere amato alla follia.
Discorso a parte è quello dell’edizione italiana. A parte frasi qua e là poco convincenti e qualche concetto ripetuto nella stessa frase, probabile frutto di un errore durante l’editing della traduzione (che evidentemente non è poi stata riletta da nessuno), la cosa che mi ha dato in assoluto più sui nervi è ritrovarmi per almeno una decina di volte al posto della parola corretta “silicio” (in inglese “silicon”) il falso amico “silicone” (in inglese, “silicone” con la “e”). È un errore clamoroso e imbarazzante per un libro di fantascienza pubblicato nel 2017 da un grosso editore, che mette in evidenza come lo stesso editore (la Newton Compton) abbia come minimo dato il lavoro alla persona sbagliata (non ce l’ho con la traduttrice in sé, che sicuramente è stata costretta a fare un lavoro veloce e mal pagato in un ambito che non era il suo) e non l’abbia evidentemente affiancata con un editor che avesse una minima conoscenza scientifica. Ma bastava anche solo un pizzico di buon senso.
Io posso anche capire quando un traduttore cade in un falso amico (legge una “e” che non c’è), se si tratta di un caso isolato e in cui manca il contesto necessario per comprendere esattamente il significato. Il problema qui è che gran parte della storia di questo libro ruota intorno all’industria del vetro, inoltre il termine viene utilizzato almeno una decina di volte e in ognuna di esse non manca affatto il contesto. Si dice, per esempio, che ce n’è in grande quantità sulla Luna. Vi pare normale che sulla Luna, cioè un’enorme roccia nello spazio, si trovi normalmente una grande quantità di un polimero sintetico? Che ci fa lì? Ce l’hanno messo gli alieni? In un punto, poi, lo si definisce un elemento (vi sfido a trovarlo nella tavola periodica). Infine si dice che sia la base della produzione del vetro.
Ora, magari non tutti sanno che il silicio è l’elemento chimico numero 14 della tavola periodica e magari non sanno o non si ricordano che è da esso che si produce il vetro, ma è possibile che nessuna delle persone che hanno lavorato alla traduzione abbia mai sentito parlare del silicone? Non lo credo possibile. È più probabile che questo errore sia dovuto a trascuratezza. Erano convinti che “silicon” volesse dire “silicone” e, nonostante qualcosa evidentemente non tornasse (il buon senso deve aver tentato di far sentire la propria voce), sono andati dritti per la loro strada, perché, a quanto pare, controllare un termine sul dizionario era troppo faticoso, perché in fondo era “solo” un prodotto editoriale di massa (grave errore, visto che parliamo di fantascienza), perché avevano troppo lavoro da fare e forse perché a loro non importava più di tanto che tutto fosse corretto.
Ho saputo che l’errore è poi stato corretto nell’edizione digitale, ma ciò non riduce minimamente la sua gravità, considerando che tra l’altro quella cartacea costa molto di più. E lì ci rimarrà finché non finiranno tutte le copie già stampate (speriamo che provvedano a eliminarlo nelle ristampe).
Alla luce di ciò mi chiedo quante altre frasi siano state interpretate in maniera errata durante la traduzione e successiva correzione. In altre parole: che libro ho letto?
Infine mi chiedo: questo libro nell’edizione originale ha davvero un linguaggio tanto più pulito rispetto a “The Martian” (che ho letto in versione originale e che è tempestato da innumerevoli varianti e usi diversi della parola “fuck” a partire proprio dalla frase di apertura)?
A questo proposito qualche dubbio mi rimane.