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True Detective, ovvero la vera fiction
Di Guest blogger (del 04/11/2014 @ 09:00:00, in Serie TV, linkato 3750 volte)

Con grande piacere ritrovo ancora una volta Francesco Zampa, autore della serie di gialli del Maresciallo Maggio, nel ruolo di ospite nel mio blog. Questa volta ci parlerà dell’acclamata serie TV americana “True Detectives”, fornendocene un’analisi accurata.
 
Chi mi conosce storcerà subito il naso, come a dire: “E te pareva... è fissato co’ ‘sti Americani...”. Ma non posso fare proprio a meno, una volta di più, di elogiare la fiction d’oltremanica dopo aver visto tutta d’un fiato la I Serie di “True Detectives”.
 
Non che gli americani non abbiano difetti, anzi, come in tutte le cose, si trovano dubbi e perplessità. Però, quando proprio non si parla di pelo nell’uovo, bisogna sempre considerare che si tratta del massimo, e un difetto sfuma quasi nella caratteristica se non nell’opinione personale. Serie A, dove tutti sono forti e anche l’ultimo, appunto, è sempre più del primo della serie B dove, purtroppo, noi militiamo da anni e per scelta più che per incapacità.
Ma andiamo a vedere più da vicino.
 
Già l’impatto visivo e musicale della sigla dimostra la grande cura e ci avvisa su cosa ci aspetta: il pezzo di apertura di The Handsome Family, Far From Any Road, è memorabile e ci cala subito nell’atmosfera irregolare e un po’ lugubre del profondo sud. Chi ha letto John Grisham si sente a casa. La sequenza onirica mostra molti luoghi comuni e caratteristiche dei protagonisti: volti contratti si alternano a ombre e predicatori, case di legno, immense raffinerie su paludi sconfinate.
E bisogna essere molto politicamente scorretti, anche se non fino in fondo, per mettere in scena due personaggi come i detective Rustin Spencer “Rust” Cohle (Matthew McConaughey) e Martin Eric “Marty” Hart (Woody Harrelson), l’uno il complemento dell’altro: quanto è irregolare e maledetto il primo, tanto è buono, familiare e rassicurante il secondo (ma solo per un po’). Un’altra cosa, questa molto difficile da realizzare da noi, dove non si può dire nulla che non sia più che conforme nella finzione: vietato dire la verità, ma normale urlare menzogne in nome della libertà di parola.
 
Trovo pressoché impossibile la sperimentazione di generi e personaggi, e molto difficile realizzare produzioni interessanti senza avere la possibilità di toccare, in maniera non simbolica, argomenti scottanti ma comuni come la pedofilia e la corruzione. Mentre in America un tentativo del genere, cioè rappresentare corrotti e corruzioni del Governo e delle massime istituzioni religiose, se riuscito, è osannato da pubblico e critica e considerato solo per quello che è, cioè un prodotto di fiction ispirato alle torpitudini umane, in definitiva un’operazione commerciale, un investimento, un’occasione lavorativa, da noi gli estemporanei, coraggiosi autori, rischiano invece la ghettizzazione e il taglio dei finanziamenti. È vero, in America le Lobbies sono potentissime e non lesinano mezzi per raggiungere lo scopo, ma riescono lo stesso a mettere un Presidente corrotto o fifone senza che nessuno gridi allo scandalo o peggio.
 
Ed ecco quindi la trama toccare alcuni tra i punti peggiori dell’umanità edulcorata della Louisiana degli ultimi vent’anni: appunto la pedofilia, la corruzione degli uomini di Stato nelle cariche più alte e rappresentative, nonché delitti efferati e impuniti.
Lo so, c’è il finale rassicurante, se non consolatorio: sia Rust che Marty riscattano le loro maledizioni mostrando una motivazione pura e disinteressata alla soluzione del caso anteponendolo alle loro vite stesse, trovando i colpevoli e riazzerando così le loro esistenze in modo da ricominciare ancora, affrancati dai loro pesanti fardelli. Un’ottica puritana e astutamente commerciale, probabilmente, ma che poco toglie quando la storia, e i mostruosi delitti con lei, sono tutti compiuti.
 
Alcune sequenze sono terrificanti, e altrettanto lo è il triste sprofondare di ciascuno dei due nelle nefaste conseguenze delle loro azioni. Rust è privo di vitalità, ossessionato dalla perdita prematura di moglie e figlia, ma anche Marty, oltre l’apparenza rassicurante della famiglia americana con moglie devota e due belle figlie in una bella casa, in realtà ha già perso tutto anche se non se ne rende subito conto, affondato nei suoi egoismi, e in un modo forse ancor peggiore, perché più colpevole, del traumatizzato compagno.
 
In questa atmosfera di rapporti umani falsi e falsificati persino tra le istituzioni dove le certezze non dovrebbero essere mai in dubbio, lo spettatore assorbe l’angoscia disperata che trasuda a mano a mano che i personaggi secondari e le vittime sfilano nelle varie puntate. Vittime autentiche, perché innocenti e indifese dalla cattiveria e dall’efferatezza.
Per fortuna che, alla fine, almeno ce la fanno!
 
Bella idea quella di cambiare i protagonisti a ogni serie (sono già annunciati quelli della prossima: Vince Vaughn e Colin Farrell), sempre alla ricerca di idee e proposte nuove. Se l’autore della serie, Nic Pizzolatto, ha fatto vedere tutta, o molta, della sua bella stoffa, i due stessi protagonisti non si sono dimostrati da meno dopo una carriera in cui hanno saputo interpretare ruoli atipici (ne scelgo uno per uno: Benvenuti a Zombieland e Killer Joe) riproponendosi come co-produttori.
 
Come sostengo anch’io e come, d’altra parte, dovrebbe dire qualsiasi scrittore indipendente: se non ci crediamo noi che siamo gli autori, chi dovrebbe farlo?

FRANCESCO ZAMPA (1964) è autore indipendente di romanzi gialli. Nelle sue storie ama affrontare argomenti importanti come la corruzione e la sovraesposizione dei mezzi di comunicazione.
Il protagonista delle sue storie è il maresciallo Franco Maggio che, a Viserba di Rimini, si trova a risolvere delitti di rilevanza internazionale affidandosi al suo intuito.
Nell’ultimo libro, “La Scelta”, la trama è intarsiata sullo sfondo autentico della deportazione di migliaia di carabinieri romani da parte dei Nazisti, il 7 ottobre 1943.
Visitate il suo sito: www.francescozampa.com
E il suo blog: www.ilmaresciallomaggio.blogspot.it
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