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Storia dall’esito prevedibile, salvata da una trovata alla fine
Ci tengo subito a dire che la trovata finale non ha nulla a che vedere con la trama. Si tratta di un’idea che mescola finzione e realtà, cosa che apprezzo sempre molto nei romanzi. In questo caso è stata in grado di aumentare il mio giudizio di una stellina.
Il romanzo, per i miei gusti, non ne vale più di tre.
Ma andiamo per ordine.
Il libro si svolge tra due linee temporali. Quella presente vede la giovane protagonista Clémence, che si trova a dover accudire l’ultraottantenne Alastair dopo che quest’ultimo a causa di una caduta ha perso la memoria. Quella al passato è il libro che i due leggono insieme e che racconta alcuni eventi della vita dell’uomo quando era giovane, culminanti nella morte dell’amore della sua vita.
La parte al passato è senza dubbio quella migliore di tutto il romanzo. Qui i personaggi prendono vita, anche grazie all’evidente maggiore dimestichezza che l’autore ha nel mostrarli attraverso il punto di vista di un uomo. La storia si dipana tra la Francia, Capri e poi la Scozia, e ogni luogo emerge dalle pagine con tutti i suoi colori, coinvolgendo il lettore e dandogli l’impressione di trovarsi lì.
Di contro, la parte al presente sembra scritta da un autore alle prime armi. Il personaggio di Clémence è bidimensionale. Il suo essere esageratamente ingenua e credulona appare irrealistico. I suoi ragionamenti sono a dir poco tirati per i capelli. Nessuna persona arriverebbe a certe conclusioni, su cui poi si basano le sue decisioni, evidentemente mosse dalla necessità di portare la trama in una certa direzione e non dalla logica. L’ambientazione, poi, e il ristretto numero di personaggi, invece di contribuire all’accrescere della suspense e del senso claustrofobico della narrazione, finiscono per mettere in evidenza la debolezza nella caratterizzazione degli stessi personaggi, che appaiono fin troppo banali.
In quanto al delitto al centro della storia, per quanto l’autore si sforzi per mandarci fuori strada, in maniera così spudoratamente evidente, questo ha ben poco di misterioso. Basta pensarci su per un attimo e ci si rende conto che solo una persona può essere l’assassino: l’unica che avrebbe ottenuto un vantaggio dalla morte di Sophie. Non ho mai avuto alcun dubbio sulla sua identità e ho trovato il fatto che i personaggi, soprattutto Alastair, non ci avessero neppure per un attimo pensato semplicemente impossibile da accettare.
Verso il finale vengono rilevati alcuni dettagli che non erano invece deducibili dal resto e solo per questo motivo devo dire di averlo letto quasi avidamente. La narrazione del precipitare degli eventi fino alla risoluzione, insieme alla trovata finale, salvano il libro, ma solo perché, appunto, si trovano alla fine.
Infine, ho trovato un po’ strano che si parlasse di un romanzo nel romanzo, quando, tenendo conto della lunghezza dei capitoli letti dai personaggi (che a loro detta erano tutto il libro), ne esce fuori al massimo una novelette. Sì, capisco le necessità di spazio, ma allora avrebbero fatto meglio a specificare che alcune parti erano state saltate (lette dai personaggi e non riportate, perché non importanti) o che si trattava semplicemente di un racconto lungo.
Nel complesso è comunque stata una lettura interessante, se non altro perché nel modo in cui il romanzo è stato strutturato presenta una certa originalità. Mi rendo inoltre conto che si tratta probabilmente di un’opera un po’ affrettata, che l’autore si è divertito a scrivere per sviluppare un’idea che gli era venuta, senza alcuna velleità di dare luogo a un prodotto di elevato livello letterario nell’ambito dei thriller. Ma, tutto sommato, il suo ruolo di divertire, nonostante i difetti, lo svolge egregiamente.
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