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Il film è ispirato alla storia vera di Lisa Nowak, ex-astronauta della NASA che fu arrestata per aver aggredito la ragazza (anche lei astronauta) di un altro astronauta col quale aveva avuto una relazione.
Nel film la protagonista, interpretata da Natalie Portman (nella foto; © Fox Searchlight Pictures), si chiama Lucy Cola, astronauta preparatissima, che grazie al duro lavoro e all’evidente talento viene selezionata per una missione di una decina di giorni sulla ISS (Stazione Spaziale Internazionale).
Al ritorno però Lucy si sente cambiata. La vita di tutti i giorni sulla Terra le sembra vuota e inutile rispetto all’esperienza che ha vissuto.
Il marito, che è un PR della NASA, non è in grado di comprendere il mutamento psicologico che ha subito. E così lei, che intanto continua a addestrarsi per poter partecipare al più presto a un’altra missione, fa amicizia con Mark Goodwin (interpretato da Jon Hamm, quello di Mad Men), anche lui astronauta (divorziato e con due figlie piccole), e con altri due colleghi, trovando in loro per la prima volta delle persone che condividono il suo stesso stato d’animo. L’amicizia di Mark, in particolare, sfocia in una relazione, in cui però lei pare più interessata di quanto lui non lo sia.
Non posso dirvi altro per evitare lo spoiler, in quanto la storia cinematografica, nonostante abbia lo stesso finale di quella vera, dà una propria interpretazione agli eventi successivi.
Devo dire che il film mi è piaciuto molto, e sono abbastanza stupita di aver trovato solo recensioni negative sul web. Credo che si tratti di una bella analisi psicologica del personaggio offerta al pubblico sfruttando molto bene le potenzialità del cinema. A questo proposito, le scelte del regista sono molto particolari. Per esempio, lo è quella di modificare di continuo il rapporto di formato dell’immagine, soprattutto per mettere in contrasto la visione espansa (dello schermo cinematografico) dell’essere nello spazio, o anche solo del vivere situazioni che riportano il suo pensiero a quell’esperienza, ai 4:3 televisivi usati per narrare quella quotidianità insulsa in cui Lucy non riesce più a trovarsi.
Ma a essere particolarmente bello è proprio il suo personaggio e il modo in cui la Portman lo ha impersonato.
Ho provato molta empatia nei suoi confronti. Per quanto il suo comportamento finale sia stato ovviamente esagerato (e comunque non sembra corrispondere ai fatti reali), ho potuto capire l’esasperazione che ha provato nel sentirsi sola e tradita come donna in un mondo di uomini che la accusano di essere “troppo emotiva” (proprio lei che nel suo lavoro è precisa e fredda come nessuno di loro sa essere), nell’aver perso tutto ciò che per lei contava (tornare nello spazio e una persona di famiglia a lei molto cara).
Credo che chiunque ha avuto delle grandi delusioni nella vita (nell’ambito privato o professionale) possa comprendere lo stato d’animo di chi, avendo raggiunto l’apice di qualcosa, mal si adatti al ritorno alla “normalità”, come se si sentisse un alieno intrappolato in un mondo monotono e insignificante.
Insomma, è stata una bella visione.
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