Sono tre gli elementi principali, dai quali scaturisce un buon romanzo o racconto, indipendentemente dal fatto che si tratti comunque di una valutazione soggettiva.
Il primo è l’idea di base, su cui viene creata la storia, cioè quel qualcosa che la rende speciale, possibilmente originale (anche se non è essenziale che lo sia del tutto), ma comunque sempre unica.
Il secondo è lo stile di scrittura, che come le pennellate di un pittore dà colore alla storia stessa portandola alla luce. Esso riguarda l’uso di un determinato linguaggio e il tono con cui questo viene utilizzato. Con stile non intendo, quindi, l’ortografia e la sintassi, che do per scontate.
Il terzo è il modo in cui viene raccontata, cioè tutto l’insieme di tecniche narrative utilizzate nel presentare la storia al lettore, per esempio i punti di vista, i colpi di scena, i flashback, i red herring, i cliffhanger, l’incipit, il finale, il prologo, i punti chiave della trama e tutta una serie di altri trucchi, alcuni dei quali non hanno un nome ben preciso, che intervengono sulla struttura della storia, indipendentemente dall’idea di base e dall’uso della lingua.
Fermo restando che il romanzo ideale dovrebbe avere una buona idea di base, uno stile altrettanto buono e dovrebbe essere raccontato nel modo migliore possibile, di questi tre elementi, a mio parere, il più importante è proprio il terzo.
Pensateci su un attimo.
Supponete di avere un’idea fantastica, a cui nessuno possa resistere. Supponete di scrivere con uno stile impeccabile, fluido, magari musicale, fortemente evocativo, in grado di incantare il lettore.
E supponete, però, di non sapere come usare questi due elementi per raccontarla nella maniera giusta, scegliendo il punto di vista più adeguato, intercalando le scene nella maniera più avvincente, misurando la lunghezza stessa delle scene affinché non siano troppo affrettate né troppo sintetiche, inserendo nel punto giusto elementi della trama che lascino col fiato sospeso, intrappolando il lettore tra le pagine del libro dalle prime righe o lasciandolo soddisfatto quando legge le ultime e così via.
Supponete che vi manchi tutto questo o gran parte di esso. Pensate che il vostro libro piacerà ai lettori? Non credo proprio.
Adesso immaginate di avere un’idea già sentita, per niente originale, di scrivere con uno stile accettabile, ma niente di speciale, ma nonostante tutto questo siete dei veri maestri nella costruzione della storia. Vi destreggiate alla grande tra le varie tecniche narrative, incatenate il lettore dalle prime parole e non lo lasciate fino alla fine. Anzi, appena chiude il libro, soddisfatto, non vede l’ora di leggere il prossimo.
Č chiaro che avete tutto quello che serve per farvi amare dai lettori (e magari diventare uno scrittore di successo).
Magari i lettori (e scrittori) un po’ più fini (snob?) storceranno il naso, diranno che siete commerciali. La verità è che la maggior parte dei lettori non sono affatto così ricercati e voi volete raggiungere tutti loro. Be’, la bella notizia è che avete in voi l’elemento più importante che serve per farlo.
I grandi bestseller ci dimostrano che è così. Mi riferisco sia a quelli buoni che a quelli cattivi (secondo un punto di vista come sempre soggettivo). Alcuni di loro potranno contare anche sugli altri due elementi (idea e stile), o almeno sul secondo, ed essere quindi buoni. Altri invece mancheranno totalmente di una buona idea e di un buono stile, o almeno del secondo, e saranno cattivi. Ma tutti o quasi (le anomalie ci sono sempre), chi più chi meno, saranno caratterizzati da una struttura narrativa solida.
Laddove questa manchi del tutto, si avrà uno scritto esteticamente bello, magari con uno spunto unico, ma che fallirà nel tentativo di soddisfare il lettore, che poi è il suo scopo finale. In fondo lo è anche per quelli che dicono che scrivono solo per se stessi, ma che poi pubblicano i loro scritti o comunque li fanno leggere (quindi evidentemente non lo fanno solo per se stessi).
Certo, qualcuno dirà che ci sono esempi del passato di autori che davano un po’ meno importanza allo sviluppo della trama, concentrandosi proprio sullo stile. Mi viene in mente Virginia Woolf, nei libri della quale succede ben poco, ma tutto è narrato tramite il bellissimo flusso di coscienza. In questo caso, però, farei notare che il flusso di coscienza è di fatto una tecnica narrativa (cioè rientra più nel famoso terzo elemento che nello stile in sé). E comunque nessuno di noi è Virginia Woolf o James Joyce, ma soprattutto non viviamo ai loro tempi. I lettori di adesso cercano altro, facciamocene una ragione.
Questa è una riflessione forse banale, ma, se ci pensate, talvolta la si mette un po’ da parte. Si insiste moltissimo sullo stile, sulla proprietà di linguaggio, sulla varietà nell’uso della lingua, ma si perde di vista che lo scrittore deve prima di tutto essere bravo a raccontare delle storie.
Se gli manca questa capacità, tutto il resto è inutile.
Ovviamente, se a questo affianca uno stile originale, in grado di suscitare piacere nella lettura, ma senza prendersi tutta la scena (lo stile migliore è quello che non si nota consciamente, mentre si legge, perché si è troppo presi dalla storia per farci caso sul serio), il risultato sarà un romanzo (o un racconto) coi fiocchi.
Alla fine l’elemento meno importante è proprio l’idea. Se ci fate caso, i libri ci ripropongono di continuo idee trite e ritrite, eppure molti di loro sono ampiamente apprezzati dai lettori. Questo perché l’autore, che sa usare bene il proprio stile e soprattutto le tecniche narrative, ha la capacità di prendere un’idea già sentita e farla sua, ripresentandola al lettore in una versione del tutto nuova, capace di emozionare quanto o anche più della prima volta in cui questa sia stata utilizzata.
Credo, anzi, che gli autori più bravi siano proprio quelli che riescono a sfruttare delle vecchie idee, attirando di conseguenza con facilità i lettori ai quali piacciono, producendo comunque uno scritto in grado di stupire ed emozionare chiunque lo legga.
Ovviamente il discorso è ben più complesso di così, ma il motivo per cui ho deciso di parlarne è perché, sempre più spesso, mi capita di incappare in libri che presentano appunto il difetto di essere mal raccontati. E devo dire che è una cosa che noto molto negli autori italiani. Non a caso, mentre i libri di autori stranieri, ormai di qualsiasi paese, vengono importati con facilità nel nostro, come in tanti altri, proprio perché presentano questo elemento universale di essere ben raccontati (anche qui ci sono molte eccezioni), non è altrettanto facile vedere il fenomeno opposto e, quando lo si vede, ci potete scommettere che si tratta di autori che maneggiano con disinvoltura le principali tecniche narrative.
Il perché di questa mancanza italiana sinceramente non lo so. La riflessione che, però, ne voglio trarre è che, a mio parere, tutti gli scrittori, anche quelli un po’ snob, che vogliano davvero diventare bravi, invece di fossilizzarsi su troppe letture alternative, dovrebbero leggerli questi bestseller e cercare di capire cosa nel modo in cui sono costruiti li rende tali.
Male non fa, anzi, c’è solo da imparare.