Lo scorso 17 dicembre ho tenuto una conferenza all’
Università degli Studi dell’Insubria dal titolo “
Come raccontare degli alieni credibili, autopubblicarsi e avere anche successo”, nell’ambito di una serie di eventi intitolata “
Scienza e Fantascienza” organizzata dal prof.
Paolo Musso del corso di laurea in Scienze della Comunicazione. È stato l’evento più lungo cui abbia partecipato finora, infatti ho avuto modo di parlare a un pubblico molto attento per oltre due ore, ma ciò l’ha reso particolarmente stimolante, poiché alla mia lunga disquisizione sono seguite alcune interessanti domande da parte dei presenti sia durante che dopo la stessa conferenza.
Come si può comprendere dal titolo dell’evento, ho dedicato gran parte del tempo a mia disposizione a parlare di
self-publishing e della mia esperienza personale, in particolare con la serie di “
Deserto rosso”. Ma nella prima mezz’ora mi sono, invece, soffermata su come sono arrivata a concepire
il concetto di alieno su Marte pur mantenendomi fedele al sottogenere della fantascienza in cui mi stavo cimentando, cioè la
fantascienza hard, in cui è necessaria una certa
plausibilità scientifica.
Essendo io stessa una scienziata, nello specifico una biologa, anche se non lavoro più attivamente nel campo da anni, sono spesso portata da una sorta di deformazione professionale a cercare una spiegazione per ciò che mi circonda. E così, anche quando ho iniziato a scrivere “Deserto rosso”, mi è venuto spontaneo immaginare una realtà ambientata in un prossimo futuro che trovasse il più possibile un riscontro nelle conoscenze scientifiche attuali, pur tenendo conto di una possibile evoluzione delle tecnologie nell’arco di circa cinquant’anni.
Il mio problema era che, oltre a voler scrivere una storia su Marte, volevo anche che questa parlasse di alieni.
Ma come potevo scrivere di marziani in una storia di fantascienza hard, se i marziani non esistono?
Per fortuna, la fantasia è uno strumento molto potente.
Come sapete, Marte non è precisamente il posto più adatto per vivere.
È per certi aspetti molto simile alla Terra. È il quarto pianeta del sistema solare, quindi non troppo lontano dal Sole. È un pianeta roccioso che contiene più o meno gli stessi elementi del nostro. Il giorno (chiamato sol) su Marte dura poco più di 24 ore. Inoltre l’asse del pianeta è inclinato in misura simile a quello della Terra e ciò fa sì che siano presenti le stagioni, sebbene la loro durata sia doppia, poiché un anno marziano dura circa quanto due anni terrestri.
Ci sono alcune differenze poco influenti, tra cui le sue dimensioni e la sua massa, che sono decisamente inferiori a quelle della Terra. Il risultato è che la sua gravità è di 0,37 g, poco più di un terzo di quella terrestre, mentre la sua superficie totale è pari a quella delle terre emerse terrestri, quindi è molto inferiore a quella totale del nostro pianeta, ma non certo piccola.
E ci sono, però, anche altre differenze che potremmo definire drammatiche e che lo rendono difficilmente abitabile. La più importante è che sulla superficie di Marte non può esistere l’acqua allo stato liquido, perché la sua atmosfera è pari a circa 1% di quella terrestre e una pressione così bassa unita alle più basse temperature fa sì che questo prezioso elemento possa esistere sotto forma di vapore acqueo oppure di ghiaccio. L’assenza di acqua liquida impedisce l’esistenza della vita come la conosciamo, in cui le reazioni chimiche avvengono appunto in soluzione acquosa. A ciò si aggiunge il fatto che il pianeta non ha alcuna protezione nei confronti delle radiazioni ionizzanti provenienti dallo spazio, che si tratti raggi ultravioletti (poiché non esiste una fascia dell’ozono) o di raggi cosmici (poiché Marte non ha un campo magnetico permanente e quindi non ha una magnetosfera). Questo aspetto fa sì che se anche esistesse una qualche forma di vita verrebbe immediatamente uccisa dalle radiazioni.
Però sappiamo anche che Marte non è sempre stato così. La geologia del pianeta riporta chiare tracce della presenza di acqua sulla sua superficie in un tempo lontanissimo (l’immagine in alto è una possibile ricostruzione del suo aspetto di allora), quasi quattro miliardi di anni fa (le continue scoperte dei rover Curiosity e Opportunity della NASA non fanno che confermare questa certezza). Su Marte l’acqua c’era, quindi a quei tempi il pianeta godeva di migliori condizioni sia di pressione che di temperatura. Esso si trovava nelle stesse condizioni della Terra, che proprio in quel periodo assisteva la nascita della vita.
Ma, se sulla Terra è nata la vita dai 3,5 ai 4 miliardi di anni fa, non è così assurdo pensare che qualcosa del genere possa essere accaduto anche su Marte.
In teoria la vita potrebbe addirittura essere nata su uno dei due pianeti (o altrove) e poi essere stata trasportata, per esempio, tramite dei meteoriti. Di preciso non si sa come, dove e in che condizioni precise sia nata la vita, ma in base a quello che sappiamo potrebbe essere successo anche sul pianeta rosso.
È chiaro che i marziani in questione sarebbero dei batteri o dei protobatteri.
Poi Marte è cambiato. Per motivi ancora non del tutto chiariti (che vengono al momento studiati dall’orbiter MAVEN della NASA) ha perso la sua atmosfera e con essa la capacità di avere acqua in superficie, divenendo il deserto gelido e rosso che conosciamo.
Però ciò riguarda solo la sua superficie. Non sappiamo con certezza se su Marte ci siano delle riserve d’acqua sotterranea, magari termali, separate così bene dall’esterno da poter essere allo stato liquido. Sappiamo che ce sono tantissime sul nostro pianeta, quindi perché non dovrebbero esistere su Marte?
E supponiamo che da quasi 4 miliardi di anni in queste acque sotterranee abbiano continuato a vivere ed evolversi dei batteri estremofili (adatti a vivere in condizioni estreme) fino ai giorni nostri. Infatti proprio di recente sono state trovate delle concentrazioni elevate di metano nel pianeta la cui origine potrebbe anche essere biologica, sebbene non ce ne sia la certezza.
Insomma dire che da qualche parte nelle profondità del pianeta possano esistere dei microrganismi marziani è decisamente plausibile e quindi accettabile in una storia di fantascienza hard.
Il problema è che i batteri non sono precisamente degli alieni intelligenti. Creare una storia in cui si crei un certo conflitto tra gli umani e i marziani, se questi sono nei microrganismi, significa parlare al massimo di un epidemia e magari si rischia di scivolare nell’horror.
Io volevo degli alieni veri, con vere motivazioni per essere in conflitto con gli umani, che potessero comunicare con gli umani. Ma, visto che su Marte non ci potrebbero mai essere gli omini verdi e il massimo di alieno in cui ci si può imbattere è un organismo invisibile a occhio nudo, dovevo inventarmi qualcos’altro.
E così ho provato a guardare la cosa da un’altra prospettiva.
Che la vita nell’universo esista al di fuori della Terra è praticamente una certezza. Là fuori ci sono innumerevoli galassie con innumerevoli stelle e innumerevoli pianeti situati nella fascia abitabile (laddove esiste l’acqua allo stato liquido) per cui è impossibile che non esista altra vita. E se quella che vogliamo è una vita intelligente, magari evoluta quanto quella umana in modo da essere riconoscibile come tale, per esempio perché è in grado di captare e produrre onde radio con cui comunicare, anche in questo caso la probabilità che tale vita esista o sia esistita nell’intero universo è altissima. Mi sento di dire che sia un’altra certezza.
Il problema è che l’universo è immenso e, se anche tale vita esistesse (e diciamo che è così), la probabilità che tale specie aliena allo stesso nostro stadio di sviluppo (o magari superiore) si trovi abbastanza vicina a noi adesso da poter essere rilevata e riconosciuta è invece bassissima. D’altronde non l’abbiamo ancora trovata.
È ragionevole pensare che la probabilità che due specie, originatesi separatamente e che si trovino a uno stadio evolutivo simile nello stesso momento, siano anche vicine (diciamo nell’arco di qualche decina di anni luce, che è una distanza insignificante) rasenta quasi lo zero. È estremamente più difficile che vincere al superenalotto! Certo, non è impossibile, ma sarebbe un tantino poco plausibile, volendo usare un eufemismo.
La chiave di tutto, però, è proprio la contemporaneità.
L’universo esiste da oltre 13,5 miliardi di anni, in confronto l’Uomo è nato ieri, tanto più se consideriamo da quanto tempo siamo in grado di osservare lo spazio. Ma, se invece di considerare la probabilità di avere un’altra specie aliena evoluta vicina a noi adesso, considerassimo quella di una sua esistenza in qualche altro momento nel tempo, per esempio tra i 3,5 e i 4 miliardi di anni fa, quindi il caso di due specie intelligenti evolute ma vissute in tempi completamente diversi, be’, questa probabilità sarebbe ragionevolmente più alta.
Mettendo insieme tutte queste riflessioni, ho immaginato che
quattro miliardi di anni fa esistesse una specie aliena intelligente, molto più evoluta di noi umani in questo momento, capace di viaggiare molto più lontano di noi nello spazio, che vivesse in un pianeta orbitante intorno a una stella relativamente vicina al Sole. Adesso sarebbe
estinta o una sua successiva evoluzione potrebbe aver lasciato da miliardi di anni questa regione dell’universo. Questa specie, inoltre,
proveniva da molto più lontano, proprio grazie alla sua tecnologia evoluta, e come tutte le forme di vita tendeva a espandersi ed esplorare altri luoghi. Qualcuno di questa specie potrebbe essere
giunto nel sistema solare, proprio quando
Marte aveva dei bellissimi laghi oppure oceani e sembrava proprio un bel luogo da esplorare, e in qualche modo questo alieno
potrebbe aver lasciato qualcosa di sé che gli esseri viventi marziani pre-esistenti (i batteri di cui dicevo prima) hanno fatto loro e tramandato al loro interno fino ai giorni nostri. Qualcosa di biologico.
Un codice.
Mi fermo qui, senza dire come si arriva da questo codice alla possibilità di interagire ed entrare in conflitto (nel senso narrativo del termine) con dei veri alieni. Ciò che volevo mostravi in questo post è piuttosto come la fantasia può utilizzare degli elementi reali, scientifici, per creare qualcosa di abbastanza plausibile, come dei marziani credibili.
Questo in fondo è solo un esempio.
Chi ha letto “
Deserto rosso” ha capito a cosa mi sto riferendo, gli altri magari potrebbero scoprirlo avventurandosi a loro volta nel
ciclo dell’Aurora, che ha come filo conduttore, che lega tutte le sue parti (“
Deserto rosso”, “
L’isola di Gaia” e le altre tre che verranno), proprio
questo alieno.