Uno dei modi più comuni per scoprire il colpevole di un delitto, nella finzione, è fargli trovare addosso, o magari sulla sua auto, una minuscola prova fisica che lo colleghi senza dubbio alla scena o, meglio ancora, alla vittima. Oppure trovare una prova (sempre unica e piccolissima) sulla scena, o sulla vittima, che sia collegabile con certezza a un sospettato.
Sembra facile individuare tali prove (Abby Sciuto di “
NCIS”, nella foto accanto, lo fa di continuo) e, quando accade, questa scoperta diventa quasi schiacciante, spesso
spingendo lo stesso sospettato alla confessione.
È classico l’esempio della vernice ritrovata su un’auto spinta fuori strada da un’altra. Che in seguito a un impatto violento dall’auto che ha colpito si possa trasferire un po’ di vernice è abbastanza comune, anzi succede quasi sempre. Pensate a tutte le volte che avete trovato un regalino sul paraurti della vostra auto da parte di qualcuno che si è appoggiato per parcheggiare o ha preso male le misure nell’uscite da un parcheggio.
Ma è davvero possibile risalire al modello e l’anno di fabbricazione dell’auto? In genere no, poiché le stesse vernici molto diffuse vengono usate in modelli diversi, spesso marche diverse, in periodi diversi e, anche ammesso che si stabilisca il tipo di vernice (oltre al colore, intendo), ciò non restringe più di tanto il campo della ricerca. L’unica eccezione si osserva se si ha a che fare con qualche vernice molto rara usata in un altrettanto raro veicolo, per esempio una serie limitata o un auto d’epoca con la vernice originale di cui esistano solo pochissimi esemplari. Di solito qui salta fuori un fantascientifico database che come per magia da un frammento di vernice analizzato con una ricerca che dura al massimo cinque minuti tira fuori la foto dell’auto che, guarda caso, è talmente rara che pochissime persone in tutta la città (e parliamo spesso di grosse città o addirittura metropoli, tipo New York) ne hanno una, tra cui un potenziale sospettato che mostra un altro piccolissimo legame con la vittima.
Il gioco è fatto: un tenue legame con la vittima più la vernice uguale a quella della sua auto e il sospettato crolla.
“Sì, l’ho uccisa io!”
Certe volte mi chiedo come mai questi criminali siano così maldestri o tanto sfortunati da usare dei veicoli rari per compiere i propri misfatti.
Queste eccezioni sono talmente inusuali nella realtà che non avvengono (quasi) mai. Di solito riuscire anche a risalire al colore e forse alla marca dell’auto costituisce solo un elemento in più per avvalorare i sospetti su una determinata persona, ma non aggiunge alcuna certezza.
Esiste però un caso in cui la vernice può essere importante e costituire una prova inconfutabile: quando un’auto è stata riverniciata diverse volte e si ritrova nella prova fisica la stessa stratificazione precisa.
Ma rimane sempre un dubbio. Siamo sicuri che il trasferimento sia avvenuto proprio durante il crimine e non in precedenza? Il più delle volte non lo siamo.
Questo è il problema che affligge qualsiasi tipo di residuo, che si tratti di vernice, vetro, terriccio e persino quello da sparo: non possiamo stabilire il momento preciso in cui si è depositato.
Pensiamo al
vetro. L’assassino ha rotto un vetro per penetrare nella casa della vittima. Il sospettato ha un minuscolo frammento di vetro addosso. È il colpevole? Supponendo anche che il vetro sia dello stesso tipo, potrebbe anche essere qualcuno che è stato sulla scena dopo il crimine o magari dal vicino di casa, nello stesso edificio, cui si è rotto un vetro uguale.
Anche qui, come nella pittura, vale il caso di tipologie molto rare del materiale, ma rientriamo a tutti gli effetti nel colpo di fortuna.
E il
terriccio? Be’, nelle serie TV come “
CSI” non è inusuale che
da microgranelli di terriccio presenti sotto la suola delle scarpe o sui vestiti di una vittima arrivino a
scoprire con esattezza la scena primaria del delitto. Salta sempre fuori qualche
polline di pianta esotica che cresce solo in un unico luogo nel raggio di centinaia o migliaia di chilometri, dove, nonostante dimensioni di svariati ettari, i nostri investigatori trovano in breve tempo altre mille prove fisiche per scoprire il colpevole.
Ovviamente esiste un database apposito con tutti i pollini: basta che fai una banale ricerca per immagine. Mai una volta che si tratti di comunissimo terriccio o che il luogo d’origine sia così vasto da essere un vicolo cieco o che salti fuori che è finito sulla vittima in seguito a
una catena di comunissime contaminazioni che non porta assolutamente a nessun risultato.
E poi ci sono i residui da sparo.
Quando si spara, dall’arma viene espulsa una nuvoletta di residui che contengono elementi come antimonio, bario e piombo, con una composizione in genere specifica per una certa arma con un certo tipo di pallottole.
Se una persona è stata uccisa con una certa arma, che è stata ritrovata, e sulla mano del sospettato viene rinvenuto lo stesso residuo da sparo da essa prodotto, è molto probabile che sia stato lui a tirare il grilletto.
Se ha usato i guanti? Be’, i residui potrebbero comunque essere finiti sui suoi vestiti, solo che in questo caso non ci sarebbe la certezza che abbia sparato. Potrebbe anche essersi trovato nelle vicinanze, mentre qualcun altro sparava, oppure addirittura essere entrato in contatto con l’assassino in un secondo momento e non avere nulla a che vedere col delitto. Ripensandoci, se avesse stretto la mano all’assassino poco tempo dopo lo sparo, anche lui potrebbe avere gli stessi residui da sparo, pur non essendo il colpevole. La cosa si fa ancora più complicata, se abbiamo a che fare con persone che usano le armi abitualmente e sono sottoposte da contaminazioni multiple da residui.
Insomma, tutte
queste prove fisiche che vengono usate spessissimo nella finzione (e a noi piace tanto quando lo fanno) per inchiodare il colpevole,
nella realtà il più delle volte sono totalmente inutili o quasi.
Ma nella finzione ci divertono eccome e
noi autori di crime fiction ci sguazziamo alla grande. Per esempio, ho accennato a dei residui da sparo nel secondo capitolo de “
Il mentore”, nel quale il detective Shaw induce un uomo sospettato di essere un killer su commissione a confessare uno degli omicidi, dopo averlo incastrato con delle false impronte sull’arma del delitto. Il sospettato, un certo Damien Johnson, viene indotto a pensare di non poter dimostrare la propria innocenza (c’è anche il fatto che non è innocente) poiché, anche se durante il delitto portava dei guanti e quindi non avrebbe potuto lasciare impronte, aveva usato un’arma di recente durante il suo lavoro di guardia giurata e quindi
il residuo da sparo insieme alla falsa prova lo inchiodava. Per confutarla avrebbe dovuto dire di aver usato i guanti, ma quella sarebbe stata comunque una confessione. Eric sa che i due residui potrebbero non combaciare, ma Johnson, che sa di essere colpevole, è talmente risentito per essere stato
incastrato che non ci pensa neppure (magari neppure sa che i residui possono avere composizioni diverse: d’altronde non è mica un criminologo!) e decide di patteggiare.
La storia poi continua velocemente, il personaggio viene messo da parte e il lettore non ci pensa più, se mai si fosse posto il problema.
Allo stesso modo nessuno si scandalizza se in “
Bones” (vedi seconda foto), quando si esamina lo scheletro della vittima (chissà perché, poi, decidono di scarnificare tutte le vittime per scoprire come sono morte, anche quelle ritrovate
tutte intere, mentre in altre serie una normale autopsia è più che sufficiente), si trovi sempre soltanto
una minuscola traccia incastrata in un osso (capitano tutte a loro)
da cui scaturisce tutta una serie di indizi che portano all’assassino. Se ci mettessimo a riflettere su ogni singola decisione presa dai personaggi, ci accorgeremmo che ne avrebbero potute prendere tante altre che queste li avrebbero portati completamente fuori strada. Che dire?
Saranno pure dei geni (e Temperance Brennan lo rimarca di continuo), ma, pensandoci bene, si direbbe che sono
soltanto molto fortunati!
Sarà per questo che nella finzione i casi si risolvono in un giorno e nella realtà spesso dopo anni di indagini, anche quando pare che siano risolti, non si è mai certi di aver preso il vero colpevole?
Eh sì, anche in questo caso non possiamo negarlo: sebbene la realtà spesso superi la fantasia, la finzione è molto più divertente e, soprattutto, rassicurante.