Mi è capitato in passato di parlare della serie TV “
Westworld – Dove tutto è concesso” sia su
FantascientifiCast che
qui sul mio blog (vi invito a visitare i rispettivi link per approfondire). L’episodio del podcast e l’articolo erano però incentrati solo sulla
prima stagione, poiché era l’unica ad essere stata realizzata fino a quel momento.
A essa sono seguite ben altre tre stagioni.
Se non avete visto la seconda e la terza stagione, non andate avanti nella lettura, poiché potreste trovare alcuni spoiler. Sulla quarta, invece, mi limito a fare alcune considerazioni, ma che hanno veramente senso solo per chi sa di cosa sto parlando. Insomma, questo articolo è principalmente rivolto a chi ha visto tutta la serie.
La seconda stagione rappresentava una vera e propria continuazione della prima, poiché la storia si svolgeva ancora all’interno del parco. A suo tempo trovai il suo finale entusiasmante, perché mi avrebbe soddisfatto anche se non avessero rinnovato la serie per altre stagioni. Ciò che desideravo era che la storia continuasse al di fuori del parco, nel mondo reale del futuro. Un finale aperto del genere, con la fuga di Dolores (o meglio della sua intelligenza artificiale), era almeno una promessa di questa continuazione.
Uno dei motivi per cui amo i finali aperti nelle storie in cui rimangono molti aspetti irrisolti è che posso sempre immaginare per conto mio ciò che accadrà dopo.
Ma poi è arrivata davvero la terza stagione ed è stata ancora meglio del previsto.
Ciò che ho apprezzato è proprio il modo in cui rappresenta un’estremizzazione della nostra realtà, in cui tutto ciò che facciamo potrebbe essere influenzato dai dati (informazioni, pubblicità, ecc…) che ci vengono mostrati in base alle nostre abitudini di navigazione e a ciò con cui interagiamo quando siamo sulla rete. Se a gestire ciò cui siamo esposti continuamente non fosse un algoritmo il cui scopo finale è solo indurci ad acquistare dei prodotti, ma una super-intelligenza artificiale, la sua capacità di condizionare la nostra visione della realtà per spingerci a diventare ciò che vuole (o che qualcun altro ha deciso) non sembra affatto qualcosa di impossibile.
Devo ammettere che durante la visione della terza stagione ho guardato più volte con sospetto il banner dei cookie che mi appare ogni volta che visito un sito per la prima volta!
Per il mio gusto personale, fino a quel punto il mio apprezzamento di Westworld era andato in crescendo, perciò temevo ciò che avrei trovato nella quarta stagione. Dopo aver finito di vederla, però, il mio primo commento è stato: wow!
Devo dire che mi sono goduta ogni minuto di tutti gli episodi e posso confermare che si tratta della mia serie di fantascienza preferita dopo Battlestar Galactica.
È praticamente impossibile entrare nel dettaglio senza spoilerare, perciò mi limiterò a qualche considerazione sparsa.
Dopo il finale della stagione tre, che in parte pareva prendere spunto dall’idea di base del film “Futureworld” (il sequel del film originale “Westworld” di Crichton), non sapevo cosa attendermi da questa quarta. Di certo non mi aspettavo di trovarmi di fronte a un vero e proprio ribaltamento dei ruoli tra umani e androidi. In realtà, il tema del condizionamento del libero arbitrio da parte di un’intelligenza artificiale (metafora degli algoritmi attuali che già influenzano la nostra vita), che è a me caro (e che potete trovare in alcuni miei libri), avrebbe dovuto mettermi in guardia. L’evoluzione che si ha nella quarta stagione, in fondo, ne sembra la conseguenza quasi naturale, in termini di logica di sviluppo di una storia. Solo che viene portata così oltre rispetto alle premesse iniziali da lasciare lo spettatore a bocca aperta.
A tutto ciò si aggiungono i numerosi elementi inseriti nella trama che mi riportavano alla mente elementi simili da me usati nei miei libri (non posso dirvi di cosa si tratta, perché sarebbe uno spoiler enorme!), sebbene in un contesto completamente diverso. Rivedere le mie fantasie mostrate in maniera simile da una serie di fantascienza di questo livello è stato davvero entusiasmante. È una sorta di convergenza creativa che mi ha fatto sentire in perfetta sintonia con questa opera di finzione. A momenti è stato come se la TV leggesse la mia mente e mi mostrasse la storia che desideravo vedere. Pazzesco.
Tutta questa esaltazione, però, non mi ha impedito di rilevare
alcuni aspetti critici.
Prima di tutto, mi sono posta delle domande che non hanno trovato risposta.
Nel mondo è rimasta una sola città? Oppure ce ne sono anche altre e sono tutte fatte allo stesso modo? Da ciò che si vede nella serie, la prima opzione sembra quella corretta, ma nulla viene spiegato, il che è senza dubbio una mancanza.
Se è questa la situazione, mi sembra un po’ eccessiva, anche se sono trascorsi 23 anni.
E, parlando di eccessi, il precipitare degli eventi nell’ultima puntata mi è parso un tantino affrettato.
Onestamente, non amo i contesti apocalittici, perché di questo si tratta, e in particolare mi ha dato fastidio che in un certo senso la storia, che, una volta uscita dal parco, si era aperta a mille possibilità, adesso si sia richiusa tremendamente in se stessa.
Questi aspetti però non scalfiscono la bontà di tutto il resto della serie, che affronta temi attualissimi, che letteralmente ci circondano, e lo fa reinventandoli in un futuro distopico attraverso un intreccio complicatissimo (altro aspetto che mi è particolarmente congeniale). Insomma, ci obbliga a pensare a più livelli, sia per ritrovare in essa la nostra realtà odierna che per mettere insieme la miriade di tasselli che ci vengono mostrati in ordine non cronologico, in modo da riuscire a venirne a capo. La sua visione è una vera e propria sfida.
Inoltre, c’è da considerare che questa storia non è finita.
Il finale della stagione, in realtà, non è un finale. Gli autori l’hanno lasciato volutamente aperto nella speranza di un rinnovo per un’ultima stagione. Purtroppo però è arrivata qualche mese dopo la conferma che la serie è stata cancellata.
È un peccato, perché sarei stata proprio curiosa di vedere cosa ne avrebbero tirato fuori, poiché davvero, dopo i tragici accadimenti dell’ultima puntata, si erano infilati in un bel casino. Certo, avevano la possibilità di portare la storia dove volevano, visto che avevano praticamente fatto tabula rasa di tutto il resto, ma il rischio di uscirne con un epilogo inadeguato era altissimo.
In tutta onestà, se l’avessero rinnovata, non avrei mai voluto trovarmi nei panni degli ideatori e degli sceneggiatori.
Chissà, magari un giorno qualche casa di produzione ne acquisirà i diritti per portare a termine la storia. Oppure mi piacerebbe che ne pubblicassero il finale sotto forma di romanzo, così potrei immaginarlo nella mia testa con maggiore libertà e, nel caso non mi piacesse, far finta che non sia mai esistito.
O forse è meglio lasciarla così, come qualcosa che sarebbe potuto essere perfetto. Grazie all’assenza di un vero finale, niente potrà smentire tale impressione.
Di certo c’è una cosa che spero più di tutte, vale a dire che non ne facciano mai un reboot!
Le immagini sono © HBO.