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Splendida space opera che ti lascia a bocca aperta
Questo è il terzo libro di Reynolds che leggo e ancora una volta mi trovo di fronte a qualcosa di totalmente diverso. In “Century Rain” avevo trovato un approccio completamente originale al viaggio nel tempo e all’ucronia, senza che fosse nessuna delle due cose. In “Revelation Space” mi ero immersa in una space opera cupa e pessimistica. In “House of Suns” invece sono stata travolta dall’incontenibile fantasia dell’autore, che meraviglia il lettore e gli presenta un futuro di notevole ottimismo.
Nonostante le enormi differenze tra questi tre libri, a farmi riconoscere l’autore sono stati la sua prosa molto ricercata e ricca e, ovviamente, la presenza di numerosi elementi di fantascienza hard, nonostante si tratti di space opera. Infatti, che Reynolds sia uno scienziato è evidente nella scelta dei temi da esplorare attraverso la narrazione. Pur dovendo inserire nella storia tecnologie lontanissime da quelle presenti (e molto probabilmente mai raggiungibili), riesce comunque a mantenere una certa plausibilità scientifica su alcune dinamiche del suo svolgimento (per esempio, tramite l’uso di astronavi che non superano la velocità della luce), mescolando, con sapienza, fantasia e astrofisica e dando così al lettore l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo, mentre nella sua mente si dipanano scenari che lasciano a bocca aperta.
Io stessa, mentre seguivo le avventure dei due protagonisti (i cloni Campion e Purslane), mi sono ritrovata a immaginare in maniera vivida i luoghi dello spazio mostrati attraverso i loro occhi, quasi come se li vedessi o fossi lì insieme a loro.
All’inizio le loro avventure procedevano senza che io avessi la più pallida idea di dove il libro volesse andare a parare. Inoltre, la scelta di usare la prima persona per entrambi i protagonisti e per una terza voce narrante (Abigail Gentian, la creatrice della linea del Gentian, di cui i cloni fanno parte) è abbastanza destabilizzante (all’inizio di ogni capitolo bisogna capire chi sta parlando) e credo che, insieme alla lunghezza del libro, potrebbe scoraggiare la lettura. E nel mio caso ci stava quasi riuscendo. Ma poi mi sono resa conto di aver fatto bene a continuare, poiché i vari filoni aperti hanno iniziato a collegarsi e con essi a realizzarsi i primi colpi di scena. La stessa scelta di usare sempre la prima persona ha assunto un significato ben definito, togliendomi il timore che fosse dovuta a una certa sciatteria da parte dell’autore. A un certo punto non mi importava più di cercare di capire la direzione della storia, ma preferivo farmi trascinare da essa, felice che ci fosse ancora tanto da narrare e che la fine fosse lontana. E, man mano che mi avvicinavo a essa, più aumentava la mia meraviglia e il mio divertimento.
Non posso né voglio dire altro sulla trama, poiché è talmente vasta e complessa che ogni mio tentativo di indicarne qualche punto saliente sarebbe insufficiente. Mi limito a dire che raramente mi è capitato di incontrare nello stesso romanzo tante idee e tutte così ben sviluppate. È un libro lungo non perché abbia un ritmo lento, bensì perché succede davvero tantissimo, abbastanza da soddisfare, almeno per un po’, la fame di nuove storie di chiunque ami leggere la fantascienza.
E infatti, una volta terminatane la lettura, è stata dura per me trovare un altro libro da leggere che potesse reggere il confronto.
Questo libro è in lingua inglese!
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