Ho impiegato
quasi un anno per scrivere questa prima stesura, anche se in realtà, togliendo i periodi di pausa (in cui ho pubblicato “
Per caso”, scritto e pubblicato “
Sindrome” e tradotto in inglese “
Affinità d’intenti”), il lavoro effettivo è durato circa quattro mesi e ciò che ne è venuto fuori è
il romanzo più lungo che abbia scritto finora. Ben 136 mila parole, che superano anche se solo di mille quelle de “
L’isola di Gaia”.
Al di là delle tempistiche e della lunghezza questo è stato senza dubbio il libro che ho avuto più difficoltà a scrivere. Si potrebbe pensare che scrivere dei sequel sia più semplice, perché si lavora su un universo e con dei personaggi già conosciuti. Io, invece, lo trovo molto faticoso. Avere a che fare con un universo noto e con una trama che deve per forza andare in una certa direzione (considerando che questo libro è cronologicamente inserito tra le prime due parti del ciclo) pone troppi paletti che ingabbiano la mia creatività, la quale vorrebbe essere libera di vagare e sviluppare la storia come meglio crede. Ho sudato su ogni singola parola scritta, anzi, ho sudato prima ancora di scriverla. La cosa più difficile era proprio riuscire a calarsi, contro la mia stessa volontà, nei personaggi e nella ambientazioni e mettere nero su bianco quelle dannate scene.
Lo ammetto: mentre lo scrivevo, ho odiato profondamente questo libro.
Per rendermela più semplice, ho deciso di dividerlo in tre parti e dedicare a esse tre separate sessioni di scrittura. Avere un obiettivo non eccessivo di parole da raggiungere, senza l’assillo di completare per forza la storia, mi ha permesso di riuscire comunque a fare il mio lavoro. Anche se la terza parte è stata la più dura, poiché in quel caso la storia la dovevo proprio finire!
Questa esperienza mi ha però fatto scoprire che sono perfettamente in grado di scrivere anche se non ne ho voglia. E direi pure di scrivere bene.
Alla fine di ogni parte, dopo un periodo di pausa, quando mi sono messa a rileggerla, ho scoperto che mi piaceva. Non solo era scritta bene (come può essere scritta bene una prima stesura), ma i personaggi che sentivo così lontani, come per magia, prendevano vita e riuscivo a emozionarmi con loro, anche se sapevo come sarebbe andata a finire.
Me ne sto accorgendo ancora di più in questo preciso momento, a poche ore dalla fine della rilettura dell’ultima parte del libro.
Quando due settimane fa ho finito di scriverlo, pensavo che quest’ultima parte avrebbe avuto bisogno di un maggiore lavoro durante la fase di editing, poiché mentre la scrivevo, con grande sforzo,
avevo la percezione che la mia scrittura fosse diventata arida, per cui ero costretta a impegnarmi più di quanto non avessi fatto in passato per creare le singole scene. Nel rileggerla, invece, mi rendo conto che questa mia fatica non è affatto visibile.
Non avete idea di quale sollievo sia questa scoperta!
Sapete, noi scrittori viviamo immersi nei dubbi. Ci facciamo mille domande. La storia funziona? Riuscirò a trasmettere ciò che volevo al lettore? Il mio stile manterrà il livello dei miei libri precedenti?
Dopo che scrivi undici libri, la domanda “Riuscirò a finire questo libro?” non te la poni più, perché la risposta è senza dubbio sì, ma le altre restano.
Ecco, adesso,
l’aver portato a termine “Ophir”, nonostante quanto mi sia risultato faticoso farlo,
mi permette di rispondere con un chiaro “sì” anche alle altre domande. Per uno scrittore i dubbi sono normali, ma si dice che chi ha esperienza sappia che non hanno niente a che vedere con il risultato. Be’, ora credo di averne avuto l’ennesima clamorosa conferma.
Non so se ciò mi impedirà di pormi ancora quelle domande in futuro (magari no), ma forse ripensare a questo momento mi permetterà di rispondere a esse e affrontare i prossimi libri con maggiore sicurezza. E magari godermi un po’ più la fase creativa.
Questo lo scoprirò fra qualche mese, per ora
tutto ciò che mi aspetta, a partire dalla prossima settimana,
è l’editing di “Ophir”.
Okay, dopo aver fatto sorbire tutte le mie riflessioni sulla scrittura di questo libro, è arrivato il momento di raccontarvi qualcosa di più su di esso.
Iniziamo da qualche numero. Il conteggio delle parole, come ho detto, supera quota 136 mila, suddivise in tre parti per un totale di sedici capitoli.
La prima parte, intitolata “
Intelligenza artificiale”, a eccezione della primissima scena, è ambientata circa tre anni (terrestri) dopo la fine di “
Deserto rosso”, in quello che viene definito
anno 4 del Programma Aurora. La seconda (“
Coscienza artificiale”) e la terza (“
Vita artificiale”), invece, sono ambientate nell’
anno 13 del Programma Aurora, vale a dire dodici anni terrestri dopo la fine di “
Deserto rosso”.
Metà della storia si svolge su Marte e ha come voce narrante in prima persona
Melissa Diaz, alle prese con la necessità di gestire la comunità di cui è leader (e che controlla) e che allo stesso tempo deve far fronte al conflitto interiore tra l’entità che la guida e le sensazioni generate dal proprio corpo umano.
L’altra metà della storia, invece, ha luogo sulla Terra, con una breve incursione sul
lato lontano della Luna (nella prima parte), in cui ritroviamo gran parte dei personaggi che già abbiamo visto in “
Deserto rosso”, vale a dire Anna, Hassan, Jan, Kirsten, Martin Logan e Michael Gray. Inoltre compaiono due personaggi de “
L’isola di Gaia”, in una versione decisamente più giovane: Virginia Logan ed Elizabeth Caldwell. Quest’ultima ha un ruolo primario nella trama del romanzo.
E poi c’è CUSy, detta anche semplicemente Susy, l’IA complessa che gestisce gli habitat marziani e sue altre eventuali copie o versioni semplificate, che rappresenta una presenza costante e a tratti inquietante lungo tutta la storia e da cui derivano i titoli delle singole parti.
Di fatto
Susy (o una sua copia)
è uno dei pochissimi personaggi destinati a comparire in tutti i libri del ciclo dell’Aurora e svolgerà un ruolo fondamentale nella sua conclusione.
Come avrete intuito, in questo libro provo a esplorare il tema dell’intelligenza artificiale, anche se in maniera marginale. Inizio a chiedermi fino a che punto un software in grado di ragionare per conto proprio, apprendere, compiere delle scelte autonome ed evolversi possa essere considerato semplicemente uno strumento. Fino a che punto si può veramente essere certi di poterlo controllare? Fino a che punto ci si può fidare di lui?
In realtà non è un tema del tutto nuovo per i miei libri. In “
Deserto rosso” viene toccato verso la fine dell’ultimo libro, quando l’
entità estranea rivela la propria origine. Chi ha letto la serie sa di cosa parlo e può già intuire che si tratta ancora una volta del
ripetersi di uno schema (un po’ come accade in
Battlestar Galactica), le cui conseguenze, però, non sono necessariamente scontate e verranno affrontate nei due ultimi libri del ciclo, “
Sirius” e “
Aurora”.
Di certo in “
Ophir” scopriremo di più di questa entità e di come
essa sia ben diversa dall’essere implacabile e infallibile (campi magnetici permettendo) che ci ha fatto intendere di essere in “
Deserto rosso”.
Be’, preferisco fermarmi qui, su questi pochi concetti che pur anticipando alcuni temi di fatto svelano poco o nulla della trama. Per conoscerne i dettagli dovrete attendere il 30 novembre, ma mi sento di dirvi che ne varrà la pena.