Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carla (del 13/10/2022 @ 15:28:42, in Lettura, linkato 2559 volte)
Una breve lettura obbligatoria per tutti gli amanti del tennis
Questo libro include due piccoli saggi di Wallace. Nel primo racconta l'atmosfera e gli aneddoti di una giornata degli US Open. Nel secondo si concentra su Federer e sul suo meraviglioso tennis. Gli appassionati di tennis si ritroveranno in ogni sua parola, mentre vengono catapultati a bordo campo, e talvolta proprio dentro il campo, ma potranno scoprire anche tanti interessanti dettagli, leggendo le lunghe note a pie' di pagina. Da leggere.
Aggiungo che è un libro davvero molto breve, circa una novantina di pagine, che quindi si legge in pochissimo tempo. Viste le dimensioni è però un po' caro, persino nella versione ebook. Se lo si vuole soltanto leggere e non si è interessati a conservarne una copia, probabilmente è meglio prenderlo in prestito in biblioteca (o da un amico, come ho fatto io). Ma può essere un graditissimo regalo da offrire a un appassionato di tennis.
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Di Carla (del 27/04/2022 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3217 volte)
Un detective formidabile e umano, che però si crogiola nelle proprie sfortune
Harry Bosch è senza dubbio uno dei detective letterari più riusciti in cui mi sia mai imbattuta. Fin dal primo libro di questa serie, “La memoria del topo”, mi sono subito trovata in sintonia con lui, con il suo fare a pezzi le regole per trovare il colpevole, con le sue debolezze e il suo triste passato. Ciò che rende questi romanzi di Connelly dei veri e propri crime thriller è il modo in cui il protagonista si trova coinvolto a livello personale nei casi cui lavora, tanto che gli stessi casi sono uno strumento di conflitto che contribuisce all’evoluzione del personaggio. Il problema nasce però nel momento in cui la serie si allunga e, per poter continuare ad avere un protagonista che si trascini dietro qualche demone (cioè un eroe difettoso), tutte le volte che in un romanzo la sua vita sembra prendere una svolta positiva, in quello successivo ciò che ha ottenuto deve andare a pezzi.
Era ciò che temevo accadesse ne “Il ragno”, motivo per cui dopo aver terminato la lettura di “Musica dura”, con tanto di lieto fine, ho esitato per anni, prima di affrontarlo. Purtroppo l’avevo già comprato, altrimenti mi sarei fermata al precedente.
Ovviamente il mio cattivo presentimento si è avverato.
Ne “Il ragno” vediamo Bosch alle prese con un omicidio avvenuto sulla funicolare Angels Flight (che è anche il titolo originale del romanzo). Il morto è un avvocato di colore famoso per le cause contro la polizia.
Come sempre, Connelly mescola con sapienza eventi e personaggi inventati con altri reali, fornendoci un’immagine realistica della tensione sociale a Los Angeles alla fine degli anni novanta. Ciò che apprezzo particolarmente di questo autore è proprio la cura che mette nei dettagli, segno di un lavoro di ricerca approfondito e di una notevole comprensione dell’argomento. In questo contesto credibile si muove il nostro Bosch, barcamenandosi tra la stampa, i colleghi che gli mettono i bastoni tra le ruote, l’insofferenza nei confronti delle regole e le persone oggetto delle sue indagini. Lo fa come sempre con arguzia, seguendo le prove e il proprio intuito, e rischiando anche la pelle.
In questo romanzo in particolare le indagini lo portano a scoprire verità scomode e inconfessabili, che tendono a condurlo fuori strada. Il colpevole alla fine salterà fuori. Ammetto che l’avevo intuito semplicemente andando per esclusione. Ma qui l’autore aggiunge un colpo da maestro, regalandoci un finale inaspettato e drammatico, e allo stesso tempo perfetto.
Ciò che non mi è piaciuto di questo libro, invece, riguarda la sfera personale relativa a Bosch. Come immaginavo, l’equilibrio e la felicità che aveva finalmente raggiunto in maniera inattesa (e forse troppo in facilmente) nel libro precedente vanno subito in frantumi, e alla fine lui si ritrova punto e a capo. Il suo personaggio subisce un’involuzione il cui scopo è far sì che continui a essere lo stesso eroe difettoso nei romanzi successivi (che non ho intenzione di leggere).
In particolare non ho apprezzato l’evanescenza di un personaggio importante come quello di Eleanor Wish, che nel primo libro della serie è stato cruciale nella definizione di Bosch agli occhi dei lettori, ma che sia in “Musica dura” che ne “Il ragno” sembra più una marionetta senz’anima, il cui scopo è portarlo in alto e poi farlo di nuovo precipitare (povero Bosch!). È un peccato, perché Eleanor mi piaceva e avrebbe meritato ben altro spessore.
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Di Carla (del 18/03/2022 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2546 volte)
Mi piacciono tanto i libri di Ludlum, nonostante mi renda conto di come l’autore riutilizzi spesso gli stessi tipi di personaggi (in particolare il protagonista, che, gira e rigira, è sempre lo stesso) e gli stessi temi. Ha la capacità, però, di riadattarli a situazioni, ambientazioni e trame che riescono a mantenere una certa dose di originalità. In particolare, sono affascinata dalle sue opere meno recenti, proprio perché raccontano un presente che si allontana molto da quello attuale e in cui la vita della spia (o figura simile) era resa un po’ più semplice dal fatto che la tecnologia non permeava ogni aspetto della realtà.
“L’inganno di Prometeo”, invece, è uno degli ultimi libri di Ludlum (il penultimo, se non erro), infatti è del 2000, per cui durante la lettura ci si muove in una realtà più familiare. Ciò è ancora più vero grazie alla capacità dell’autore di immaginare tecnologie invasive della privacy che, purtroppo, sono in gran parte diventate realtà. La cosa incredibile è che lui ne ha parlato prima che accadesse l’attentato dell’11 settembre 2001, ma a tratti si ha come l’impressione che abbia avuto la possibilità di dare una sbirciatina al futuro per trarne ispirazione.
A dire il vero, immagino che Ludlum non credesse realmente che ciò che si paventa nel suo libro avesse una possibilità di realizzarsi. Il suo era ovviamente uno sforzo creativo. Spesso chi scrive mostra scenari estremi solo per il gusto di cercare di inventarsene le conseguenze e di creare un conflitto in cui gettare i propri personaggi quasi allo sbaraglio, per vedere come se la cavano. Nel farlo, però, è stato a dir poco profetico.
Certo, si tratta di un libro lungo e con una trama veramente complessa, che si dipana attraverso una serie di voltafaccia dei personaggi e colpi di scena dietro ogni angolo. D’altronde, la parola “inganno” del titolo lo lasciava presagire. Bisogna avere pazienza e arrivare fino in fondo per poter unire tutti i fili. Quando mancano poche pagine alla fine, sembra davvero tutto perduto per i protagonisti, ma anche a quel punto arriverà un bel colpo di scena, che cambierà ogni cosa, di nuovo.
Di Carla (del 14/05/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3074 volte)
Siamo soli nell’universo?
Questo straordinario saggio del professor Paolo Musso non è ovviamente in grado di offrire una risposta alla domanda che molti si pongono nell’osservare le stelle, ma, dopo averlo letto, in un certo senso ci si sente più vicini a ottenerne una. Il grande merito di questo testo, unico nel suo genere in italiano, è proprio quello di portare il lettore più vicino alla comprensione della reale capacità che abbiamo di individuare i segni dell’esistenza di una civiltà extraterrestre che si trovi in qualche sistema stellare non “troppo” lontano dal nostro.
Ciò è reso possibile anche dal fatto che a parlarci dello stato dell’arte della ricerca scientifica in questo ambito e del suo futuro sviluppo non è uno scienziato, bensì un filosofo. Il suo modo di affrontare l’argomento dell’eventuale diffusione della vita in altre parti della nostra galassia (e dell’universo) non si ferma alla pura speculazione matematica (o statistica), benché anche questo aspetto venga trattato (per esempio, con l’esauriente spiegazione dell’equazione di Drake), tanto meno lo fa riguardo ai dati tecnici nell’esporre al lettore l’effettiva capacità della strumentazione attuale (e futura) di captare e riconoscere una trasmissione aliena. Ma va oltre, riflettendo sulle implicazioni dell’entrare in contatto con tale civiltà, sulla possibilità di comprenderne il messaggio e sul quale potrebbe essere il modo più efficace di rispondere per poter essere a nostra volta compresi. E, nell’analizzare tutti questi aspetti, presenta dei parallelismi basati sulla sua esperienza professionale riguardo alle attuali interazioni tra culture diverse sulla Terra. Non solo. Riflette anche sull’effetto che un’eventuale conferma che non siamo affatto soli nell’universo, ma che là fuori c’è almeno una civiltà evoluta (e quindi probabilmente anche altre), potrebbe avere sull’umanità stessa, a livello culturale, psicologico e persino religioso.
Insomma, questa lettura è stata un bel viaggio, che mi ha permesso di mettere insieme molte delle cose che sapevo sull’argomento, colmando nel contempo le mie lacune e offrendomi nuove prospettive di riflessione che non avevo mai considerato prima.
E Paolo Musso riesce a fare tutto questo con uno stile fresco e un modo a tratti confidenziale di esporre dei contenuti tutt’altro che semplici, dando così l’impressione di ascoltare quel racconto appassionato direttamente dalla sua voce. Certo, il testo è decisamente qualche gradino più in alto della pura divulgazione. Affrontarlo senza avere una minima conoscenza di base sull’argomento e alcuni riferimenti scientifici ben chiari nella mente, soprattutto in alcuni passaggi, potrebbe non essere semplicissimo, ma la voce dell’autore riesce a metterne in evidenza in maniera efficace i punti fondamentali.
In altre parole, se anche nel leggerlo aveste l’impressione di non comprendere proprio tutto, non scoraggiatevi. Andate avanti. E vedrete che alla fine ciò che vi rimarrà, dopo l’ultima pagina, avrà messo radici nella vostra mente, insieme al desiderio di saperne di più.
Di Carla (del 22/04/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3155 volte)
Il circolo degli ex-malati di TBC
Questo libro di Linda Grant, che avevo già abbastanza apprezzato in “Upstairs at the Party”, trasporta il lettore in un sanatorio britannico degli anni cinquanta dello scorso secolo in cui venivano tenuti, o forse la parola più giusta è segregati, i malati di tubercolosi. La storia si svolge nel periodo in cui era stata già scoperta la streptomicina, ma ancora non era arrivata nel Regno Unito, per cui i personaggi vivono nella speranza di poter essere curati prima o poi e non fare la fine di tutti i loro predecessori.
La storia segue in particolare due gemelli adolescenti londinesi, Lenny e Miriam, che vengono inviati in un sanatorio nel Kent dal Sistema Sanitario Nazionale britannico. Qui convivono con persone di ben altra estrazione sociale, ma la malattia che accomuna tutti appiana le differenze e permette la creazione di rapporti molto stretti.
L’autrice usa toni a tratti leggeri nel raccontare le vicende dei protagonisti, ma accanto a ciò descrive i trattamenti dolorosi, crudeli e inutili, oltre che l’abuso psicologico, cui tutti i pazienti vengono sottoposti. Il contrasto tra le due cose lascia il segno durante la lettura, perché passi dalla risata all’orrore, alla rabbia e alla tristezza, e ti porta a rimuginare quando chiudi il libro.
I personaggi escono dalle pagine e le loro banali vicissitudini quotidiane, nel modo in cui ci vengono mostrate dall’autrice, diventano quasi avvincenti, come pure si rimane scioccati nell’entrare nella mente malata di alcuni di essi, come in quella del medico che dovrebbe curarli.
Per me è stata anche un’occasione per conoscere meglio il periodo storico in relazione ai tentativi maldestri di trattamento della tubercolosi, prima che fossero disponibili delle cure efficaci e definitive.
Non ho messo la quinta stellina per via del finale dolceamaro. Forse era difficile inventarne uno migliore, vista la storia, ma, come era capitato con l’altro libro dell’autrice che ho letto, ho avuto la netta impressione che ci sia stato un calo di tensione e un eccessivo trascinarsi nella parte finale del libro.
Di Carla (del 15/02/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3069 volte)
Uno sguardo sul futuro, ma senza trama
Completare la lettura di questo libro è stato davvero difficile. Probabilmente, se non avessi acquistato l’edizione cartacea, non sarei andata oltre le prime 30-50 pagine. Eppure avevo letto i precedenti, “Red Mars” e “Green Mars”, e pensavo di essere preparata.
Be’, mi sbagliavo.
“Red Mars” effettivamente aveva una bella trama intrigante, che iniziava con un omicidio e poi ci riportava indietro per ricostruire ciò che era accaduto. Era ricco di parti di pura speculazione scientifica nell’ambito dell’astronautica e della colonizzazione di Marte. Certo, erano lunghe, ma erano ben equilibrate con gli eventi narrati e, visto che le trovavo interessanti, la loro lettura era andata avanti senza intoppi. Meno interessanti erano quelle relative ad argomenti psicologici, che infatti non mi vergogno affatto di dire di aver saltato. Ma nonostante tutto aveva una trama che, bene o male, si sviluppava nell’arco di tutto il romanzo. C’era un po’ di intrigo, persino di suspense, che mi faceva venire voglia di continuare a leggere per scoprire cosa sarebbe accaduto dopo (o cosa era accaduto prima). Nonostante non avessi apprezzato il finale, non avevo dubbi di trovarmi di fronte a un romanzo con tutti gli elementi necessari per essere definito tale.
Con “Green Mars” le cose si sono fatte più difficili. L’autore si è soffermato più nelle singole storie, una per parte, che finivano nel momento in cui iniziavo ad affezionarmi ai personaggi. Il minore apprezzamento che ho avuto nel leggere questo libro mi ha indotto a ritardare di diversi anni la lettura dell’ultimo della trilogia. Ho iniziato a leggerlo solo perché ce l’avevo già e mi sembrava doveroso giungere alla fine della storia.
Ciò che non mi sarei aspettata era l’assenza di una vera e propria storia.
“Blue Mars” è un tentativo di Robinson di immaginare il futuro della conquista della spazio da parte dell’umanità, partendo da Marte per poi andare oltre. Il worldbuilding è, infatti, eccezionale e rappresenta il motivo per cui ho deciso di dare al libro tre stelline, invece delle due che riflettono meglio le mie sensazioni.
Robinson ha sicuramente fatto delle ricerche pazzesche per scriverlo. E mostra una fantasia immensa. Non posso che inchinarmi di fronte a questi due aspetti.
Inoltre, con la sua bellissima prosa, descrive un Marte terraformato sicuramente affascinante.
Si è però dimenticato che stava scrivendo un romanzo, che, come tale, necessita di una trama, in cui i personaggi devono avere uno scopo da raggiungere, dei conflitti da affrontare e una crescita di qualche tipo, e soprattutto che chi legge si aspetta un arco narrativo.
E invece no.
Ogni parte è raccontata dal punto di vista di un personaggio, ma di fatto non accade nulla o almeno nulla di rilevante. Ci si continua a spostare avanti nei decenni e a passare da un racconto all’altro degli sviluppi politici e della descrizione dei luoghi. Attraverso numerose lunghe pagine, fitte di resoconti, tutto viene raccontato e quasi nulla mostrato. Le poche vere scene, cioè quelle in cui i personaggi interagiscono o addirittura dialogano, non aggiungono nulla narrazione, poiché non ce n’è veramente una. I personaggi sono di fatto solo un elemento di contorno.
Il motivo per cui ci ho messo più di quattro mesi per leggere questo libro è perché mi ha annoiato terribilmente.
E, quando non mi annoiavo, provavo un senso di tristezza per gli scorci di esistenza (spesso deprimenti) dei personaggi che l’autore buttava lì, di tanto in tanto, per evitare di trasformare il libro in un saggio speculativo sul futuro.
Di Carla (del 14/07/2020 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1778 volte)
Rapido e spietato
Nessuno racconta il male come Thomas Harris, in tutte le sue sfumature, che vanno dalla paura alla fascinazione. Anche per questo è il mio autore preferito, nonostante (o forse grazie al fatto che) non sia molto prolifico. Perciò, quando ho saputo che stava per uscire un suo nuovo libro dopo ben tredici anni dal precedente, non stavo nella pelle nell’anticipazione della sua lettura. Ovviamente, non l’ho comprato appena uscito. Come tutti i libri dei miei autori preferiti, l’ho lasciato maturare, mi sono guardata intorno, ho letto i giudizi poco lusinghieri che ha raccolto e, a ogni pessima recensione in cui mi imbattevo, sentivo che sarebbe stata una grande lettura. E non mi sbagliavo.
“Cari Mora” è sintetico. Una prosa accattivante senza fronzoli né informazioni inutili. Ogni parola è una pennellata precisa sui protagonisti di questa storia e sul mondo spietato in cui si muovono, dove nessuno è buono, ma tutti sono cattivi o danneggiati (o entrambe le cose). Qualcuno di più, qualcuno di meno.
È rapido. Non ci sono riflessioni, pause. Tutto accade molto velocemente. Sembra una storia concepita per essere trasformata in un film. Sarebbe un grande film nelle mani del giusto sceneggiatore e del giusto regista.
Il titolo non è altro che il nome del personaggio principale, ma l’autore non si limita a indugiare su di lei. Entra in profondità nella mente dei comprimari e in particolare dell’antagonista. E un brivido ti corre nella schiena nell’affacciarti, anche solo per un istante, sui pensieri di quest’ultimo. Ma non c’è tempo per rimuginarci sopra, perché la storia continua, veloce e inesorabile.
Come in tutti i libri di Harris, non puoi semplicemente smettere di leggere. Il libro ti chiama durante il giorno, reclama la tua attenzione. Non sono una persona dalle letture compulsive o che si dimentica di tutto il resto per leggere. Solo i libri di Harris mi fanno questo effetto.
La parte più entusiasmante è senza dubbio il finale, in cui ti senti spacciato come Cari, ma lotti per la tua vita, senza fiato, col cuore a mille. Qui il personaggio esprime se stesso al massimo e mostra uno scorcio dell’immenso potenziale che possiede.
Se non sapessi quanto Harris è restio a scrivere con una certa frequenza, penserei che “Cari Mora” abbia proprio lo scopo di presentare questo personaggio (e quello del poliziotto), come primo di una serie di libri. Ma forse ciò che Harris vuole è solo offrirci gli elementi affinché la nostra fantasia vada avanti per conto proprio. Oppure dobbiamo aspettarci in futuro una serie TV ispirata proprio a questo romanzo.
Non lo so. So solo che spero che Harris scriva ancora.
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Di Carla (del 16/03/2020 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1977 volte)
Ingannata da un infelice accostamento con Crichton
Questo è un classico esempio di come delle cattive scelte di marketing possono danneggiare un libro. Sulla copertina c’è infatti scritto “Michael Crichton for the next generation”, cioè “Il Michael Crichton della prossima generazione” in riferimento all’autore del libro. Be’, Crawford non ha nulla a che vedere con Crichton, ma proprio nulla. Chi come me ha preso il suo libro aspettandosi un technothriller incentrato su un argomento di natura scientifica e corroborato da un’accurata ricerca è destinato a rimanere deluso.
Di vagamente scientifico c’è solo l’idea di base, cioè che un qualche batterio sia in grado di prolungare la vita delle persone. Ma poi non si va oltre.
Gli unici elementi positivi di questo libro, per quanto mi riguarda, sono appunto l’idea di base, ma non sviluppata dal punto di vista scientifico, qualche battuta simpatica dei personaggi, anche se a un certo punto stufano, e alcuni colpi di scena, che sarebbero stati anche interessanti, se non avessi interrotto la lettura mille volte, poiché la storia non riusciva proprio a prendermi.
Ma non è colpa del libro in sé. Il punto è che non era il libro che volevo leggere.
Si tratta del classico thriller d’azione commerciale (niente di male di per sé, ma, ripeto, non fa per me) con i soliti personaggi stereotipati: il vecchio ricchissimo supercattivo (senza un motivo particolare) da una parte, l’eroe infallibile dall’altra, con la battuta sempre pronta e che nonostante vada incontro alle peggiori situazioni possibili non si fa nemmeno un graffio, e una partner che è il solito cliché di donna forte e irascibile con cui l’eroe ha un rapporto che pare trascendere l’amicizia, ma non va mai oltre.
Sono elementi che, con la sola sostituzione del cattivo di turno, permettono di creare una serie teoricamente infinita di questo tipo di thriller, leggibili in qualsiasi ordine e in cui i personaggi principali, essendo del tutto bidimensionali, non vanno incontro ad alcuna crescita.
Ripeto, non ho nulla contro questo tipo di libri, a parte il fatto che preferisco leggere altro, ma il punto è che non hanno assolutamente nulla a che fare con Crichton. Visto che l’editore mi ha indotto all’acquisto con l’inganno, la recensione negativa è d’obbligo.
Mi spiace per l’autore, perché è evidente che sa fare egregiamente il suo lavoro.
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Questo libro è in lingua inglese.
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su: aNobii: http://www.anobii.com/anakina/booksGoodreads: http://www.goodreads.com/anakina
Di Carla (del 23/12/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1926 volte)
Ironia, dramma e chiacchiere verso l’oblio
È la seconda volta che mi imbatto nella meravigliosa penna di Mahfuz. La prima volta fu con una raccolta di romanzi storici ambientati nell’antico Egitto. Stavolta, tramite questa breve opera, l’autore racconta un Egitto a lui quasi contemporaneo. “Vicolo del mortaio” è infatti stato scritto nel 1947 e narra le vicende degli abitanti di un vicolo del Cairo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. La sua però non è una rappresentazione realistica della vita di un vicolo della sua città, bensì uno splendido tentativo di raccontare le mille sfaccettature dell’umanità attraverso i suoi abitanti.
Nel vicolo del mortaio, infatti, vivono, le une accanto alle altre, persone delle classi più basse e delle classi medie, e per qualche motivo altre che appartengono a classi più elevate finiscono per incapparvi. Ogni personaggio rappresenta una tipologia di individuo: il virtuoso, l’orgoglioso, il corrotto, l’avida e così via. Non si tratta di uno spaccato di vita reale nel senso classico del termine. L’autore non vuole creare personaggi realistici, ma li utilizza per mostrare la realtà della natura umana, nei suoi pregi e nelle sue miserie, facendo di ognuno di essi un esempio portato fino all’eccesso.
Il tutto avviene attraverso una serie di episodi che oscillano tra ironia e dramma, in cui i personaggi vanno a uno a uno incontro al proprio destino, mentre il vicolo continua a essere sempre lo stesso. Il clamore per ogni evento, perfino il più tragico, si perde in poco tempo tra le chiacchiere cerimoniose dei suoi abitanti fino a cadere per sempre nell’oblio.
Di Carla (del 02/11/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2551 volte)
Inaspettatamente coinvolgente
Ho deciso di leggere questo libro perché avevo bisogno di immergermi nell’atmosfera lunare durante la scrittura del mio attuale ‘progetto in corso’ e devo ammettere che, dopo l’esperienza con “Red Mars” e “Green Mars” (devo ancora leggere il terzo della trilogia) temevo di trovarmi catapultata dentro un trattato scientifico-politico-psicologico, costellato di brevi storie di diversi personaggi. Sono, invece, rimasta positivamente sorpresa nel rendermi conto che questo romanzo aveva solo pochi personaggi e seguiva solo le loro vicende.
Certo, Robinson non può fare a meno di infarcire la sua scrittura di informazioni, soprattutto di argomento politico, ma il fatto che la prospettiva della narrazione originasse perlopiù da personaggi cinesi (da qui il “rossa” del titolo) ha attirato la mia attenzione.
“Luna rossa” è un libro che prova a immaginare l’evoluzione politica, legata a quella tecnologica, della Cina nel prossimo futuro, e lo fa attraverso un numero ristretto di personaggi con caratteristiche diverse, ben mostrate al lettore, con i quali è facile creare da subito non rapporto stretto. Ciò fa sì che la lettura scorra veloce, per il modo in cui si susseguono senza pausa gli eventi narrati e anche grazie alla lunghezza non eccessiva del romanzo.
La Luna, in realtà, non occupa tutta la storia. Una buona parte di essa si svolge in Cina, una Cina del futuro che ci viene mostrata in maniera efficace e coinvolgente. Eppure la Luna è al centro di tutto.
La parte tecnologica è come sempre molto curata e caratterizzata da una notevole plausibilità, in grado di spingere la mente del lettore a vedere gli eventi come un futuro reale che a tempo debito si realizzerà.
Personalmente ho apprezzato la scelta dell’autore di mostrare alcuni luoghi della Luna, come la base al polo sud, quella nella zona di librazione e quella dentro un cratere, sia per quanto riguarda i paesaggi reali, ricreati in maniera perfetta nella mia mente dalla sua bella prosa evocativa, sia per la sua capacità immaginativa nel proporre ciò che l’umanità costruirà in quei luoghi.
Il tutto è favorito da una lettura scorrevole, nel senso buono del termine, vale a dire che, pur tramite un linguaggio tutt’altro che semplice e banale, la voglia di sapere ciò che sarebbe accaduto dopo mi spingeva ad andare avanti e la bellezza della prosa facilitava le cose.
L’unico aspetto negativo è rappresentato da alcuni dettagli della traduzione. Era la prima volta che leggevo un libro di Robinson in italiano e un po’ mi sono pentita della scelta. È evidente che il traduttore, pur essendo bravo, non possiede le conoscenze tecniche necessarie per affrontare un libro di fantascienza hard in ambito astronautico. Il risultato è che certe traduzioni fanno un po’ sorridere. Così, per esempio, i retrorazzi diventano retromissili, i veicoli spaziali o i razzi diventano missili, e una base di lancio diventa una base missilistica. Insomma, missili dappertutto anche in contesti di astronautica civile. Siccome dubito che l’errore di terminologia fosse dell’autore, temo che il colpevole sia, se non il traduttore, che essendo letterario non è tenuto ad avere un’esperienza tecnica, di coloro che si sono occupati di revisionare la traduzione o della loro assenza, quindi in ultima analisi dell’editore.
Spero vivamente che queste criticità (purtroppo l’esempio dei “missili” non è l’unico) interessino solo la primissima tiratura e siano state eliminate in seguito (o che lo siano presto), almeno nella versione ebook.
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