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Another Earth: può esistere davvero una seconda possibilità?
Di Carla (del 30/08/2016 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 3410 volte)



Ci sono tanti bei film che non arrivano nei nostri cinema e di cui difficilmente sentiremo parlare. “Another Earth” (2011) ne è un esempio. Anche se il film è stato poi doppiato e forse distribuito in qualche sala in Italia (ma non ne sono del tutto certa), di fatto ha potuto raggiungerci veramente grazie all’home video e soprattutto alle pay TV. Ma, se il 24 luglio del 2011 non avessi letto un brevissimo post di Gary Lightbody (cantante degli Snow Patrol) che affermava di volerlo vedere e allegava un link al trailer, difficilmente mi sarebbe venuto in mente di cercarlo, tra le tante scelte possibili di Sky o di altre fonti.
 
E invece è bastato un brevissimo post a incuriosirmi, ma poi il film è rimasto lì per anni prima che mi decidessi a guardarlo, qualche giorno fa.
 
Si tratta di un film indipendente, quindi non attendetevi effetti speciali mirabolanti o un grande cast (grande nel senso di numero di attori), ma allo stesso tempo potete stare certi che ne rimarrete stupiti, poiché, essendo svincolati dalle logiche dei blockbuster che devono essere dei successi a tutti i costi per coprire le enormi spese per realizzarli, i film indipendenti (un po’ come le opere dei musicisti indipendenti o degli autori indipendenti) hanno il privilegio di poter osare.
A dirigere il film è Mark Cahill, un regista semisconosciuto che ha all’attivo tre film (di cui questo è il secondo), tutti indipendenti.
I ruolo della protagonista femminile è affidato a Brit Marling, anche lei al tempo inserita nello stesso circuito cinematografico, ma che successivamente ha recitato in film come “La Frode” (in cui interpretava la figlia di Richard Gere e Susan Sarandon) e “La regola del silenzio” (di Robert Redford).
Quello del protagonista maschile è di William Mapother, che gli amanti delle serie TV ricorderanno nel ruolo di Ethan Rom in “Lost”, ma che bazzica il grande cinema, sebbene in ruoli minori, già dal 1989.
 
La trama a prima vista parrebbe quella di un film di fantascienza o più genericamente di un film che rientra nel genere fantastico, facendo un po’ pensare a “Ai Confini della Realtà”.
Viene scoperto un pianeta abitabile, identico alla Terra, che si sta avvicinando a essa. Lo chiamano Terra 2, per semplicità. Il suo essere identico alla Terra non riguarda, però, soltanto la sua conformazione. Questo fatto già da di per sé dovrebbe spaventare tutti gli abitanti del nostro pianeta e fare credere loro di essere vittime di un’allucinazione collettiva, invece in una sorta di atmosfera surreale le persone ne sono appena incuriosite. Ma a rendere ancora più incredibile tale scoperta c’è il fatto che, dopo quattro anni, quando i due pianeti sono a distanza di comunicazione, ci si rende conto che Terra 2, almeno all’apparenza, ha gli stessi abitanti della Terra.
 
Staranno vivendo davvero la stessa vita identica?
 
In questo contesto si inserisce la storia di Rhoda Williams, che nella notte del primo avvistamento di Terra 2, un po’ alticcia dopo una festa, è alla guida di un’auto mentre cerca di ammirare quel nuovo puntino blu nel cielo notturno e, così facendo, provoca un incidente in cui muoiono due persone e una finisce in coma.
Non vi dico cosa succede dopo, perché il bello di questo film è seguire l’imprevedibile volgere degli eventi. Anzi, vi ho già rivelato troppo accennandovi all’inizio.
 
Vi basti sapere che è una storia drammatica, di redenzione, che sfrutta un contesto fantasioso per affrontare il tema delle seconde possibilità.
 
Può esistere una seconda possibilità per una persona che ha compiuto un atto talmente orribile che neanche lei riesce a perdonare a se stessa?
 
Rhoda cerca di scoprirlo nel rimettere insieme la propria vita e nel provare a fare ammenda, ma le cose non vanno esattamente nella maniera in cui aveva previsto.
In circa 90 minuti di film la seguiamo col fiato sospeso, solo parzialmente interessati alla vicenda della seconda Terra, che però si rivelerà cruciale, fino alla conclusione che si consuma negli ultimi 10 minuti finali, lasciandoci interdetti a riflettere su di essa per qualche minuto. Oppure per qualche altro giorno, come è capitato a me.
 

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