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 Luna... di Carla
 

“Il fatto che le nostre specie sono nemiche non significa che anche tu e io dobbiamo esserlo.” Per caso

 

\\ Blog Home : Storico : Come vivere su Marte (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 01/02/2022 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 3044 volte)
Per creare la nostra colonia su Marte, una volta risolto il problema di procurarsi acqua, energia e ossigeno, rimane quello di fornire ai nuovi colonizzatori qualcosa da mangiare.
Inizialmente è possibile portarsi dietro del cibo surgelato, liofilizzato e a lunga conservazione dalla Terra, ma a lungo andare sarà necessario produrlo direttamente sul pianeta rosso.
 
 
Tale cibo deve essere in grado di fornire i nutrienti essenziali per la salute umana nelle proporzioni corrette, deve essere nella quantità necessaria per il numero e la tipologia di persone da sfamare, infine deve fornire un’esperienza di alimentazione varia e piacevole, poiché ciò ha effetto sul benessere psicologico dei colonizzatori.
 
Le principali categorie di nutrienti sono i carboidrati, le proteine e i lipidi, che inoltre forniscono l’energia che alimenta il corpo umano. A questi si aggiungono alcuni minerali e le vitamine che, pur non producendo energia, sono essenziali per il normale funzionamento del nostro corpo. Un’alimentazione varia ci permette di assumere tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza porci troppi problemi, ma su Marte, dove possiamo contare su delle risorse limitate, dobbiamo trovare il modo per sfruttarle al meglio in modo da produrre il cibo che ci consenta di avere una dieta corretta.
 
C’è inoltre da considerare la quantità di cibo. Per misurare l’energia di cui abbiamo bisogno per il metabolismo del nostro corpo usiamo le chilocalorie (kcal). Una chilocaloria (1 kcal) corrisponde all’energia necessaria per far aumentare la temperatura un chilogrammo di acqua di un grado Celsius.
I carboidrati e le proteine contengono circa quattro chilocalorie per grammo (4 kcal/g), mentre i lipidi ne contengono circa nove (9 kcal/g). I cibi però sono spesso composti da più di una tipologia di queste sostanze, inoltre c’è da considerare che ci sono alcune di esse, come la cellulosa (che è un carboidrato), che non sono digeribili dagli esseri umani e altre, come gli alcoli, che vanno incontro a un processo metabolico diverso che produce meno energia.
 
 
Sulle base di queste osservazioni, sono stati individuati i cibi più adatti per la produzione su Marte. È ovvio che si tratta principalmente di organismi autotrofi (come le piante), perché allevare degli animali sarebbe troppo complicato e dispendioso, soprattutto all’inizio del processo di colonizzazione.
Tra le piante più adeguate a questo scopo ci sono le patate, perché hanno un elevato contenuto di energia (escludendo la cellulosa, contengono circa 1 kcal per grammo), una buona quantità di fibre (appunto la cellulosa), che anche se non vengono digerite sono essenziali per il corretto funzionamento dell’intestino, e importanti nutrienti come la vitamina C, la vitamina B6, il potassio e altri minerali.
Anche la lattuga può essere un cibo adatto per la vita su Marte. Anche se contiene poca energia, fornisce importanti nutrienti e la sua consistenza ha effetti benefici dal punto di vista psicologico sulle persone.
Un ottimo alimento è rappresentato anche da alcuni cianobatteri (detti anche alghe azzurre), tra cui la spirulina. Si tratta in realtà di un microrganismo procariote (cioè un organismo unicellulare che non possiede un nucleo ben definito) che possiamo vedere a occhi nudo solo quando è aggregato sotto forma di colonia e quindi in quantità tali da poter essere mangiato. Un grammo di spirulina contiene circa 2,90 kcal. Trattandosi di una forma di vita molto semplice, è altrettanto semplice favorirne la riproduzione e quindi produrla anche su Marte.
 
Questi alimenti rappresentano solo un punto di partenza, in quanto hanno un’ottima resa con uno sforzo contenuto. Con lo sviluppo della colonia sarà necessario ampliare la scelta di alimenti, anche se perlopiù saranno di tipo vegetale. In realtà, potrebbero essere introdotti anche degli animali, nello specifico degli insetti (come il grillo, già usati a scopo alimentare). Sarebbe ancora meglio se si trattasse di impollinatori. Questi ultimi avrebbero il doppio scopo di impollinare la piante, favorendone la riproduzione, e di fungere da alimento per i colonizzatori.
 
 
Okay, abbiamo individuato le piante da coltivare, ma di cosa hanno bisogno per crescere?
Come dicevo, sono organismi autotrofi, quindi hanno bisogno essenzialmente di acqua, anidride carbonica, alcuni minerali e luce. Le prime due e l’ultima le abbiamo.
In realtà, il fatto che su Marte c’è la luce del Sole non significa che possiamo coltivare le piante all’aperto. L’ambiente è ostile a qualsiasi forma di vita. Le radiazioni, laddove non uccidessero la pianta, provocherebbero mutazioni in grado di ridurne considerevolmente l’utilizzo a scopo alimentare. Poi c’è il problema della temperatura: le piante si congelerebbero!
Per ovviare a tutto ciò, è necessario dotarsi di un ambiente separato dall’esterno e riscaldato, come, per esempio, una serra (come ho immaginato di fare in “Deserto rosso). Ma poi bisogna assicurarsi di schermarla almeno in parte dalle radiazioni sterilizzanti, pur permettendo alla luce visibile di entrare, cosa tutt’altro che semplice. Oppure, invece di usare una serra, si potrebbero coltivare le piante di un laboratorio illuminato artificialmente, utilizzando solo le lunghezze d’onda del rosso e del blu, che rendono la fotosintesi più efficiente.
 
Il discorso dei minerali è un po’ più complesso, poiché le piante li assorbono in forma disciolta in acqua dal terreno. Inoltre, c’è da considerare che alcune sostanze presenti nel terreno potrebbero inibire la crescita delle piante o ucciderle.
Ed ecco che la nostra attenzione si sposta sul suolo marziano.
 
Così com’è la regolite marziana non è adatta per la coltivazione. Non ha un pH neutro (che è quello preferito dalle piante), ha troppi perclorati e metalli pesanti, e non contiene materiale organico.
Possiamo facilmente correggere il pH.
Quello dei perclorati e dei metalli pesanti, invece, è un problema un po’ più serio. Bisogna trovare dei sistemi per bonificare il terreno da queste sostanze. Alcuni batteri sulla Terra usano i perclorati, quindi ci potrebbero tornare utili a questo scopo per preparare il suolo marziano. In quanto ai metalli pesanti, se ne dovrebbe monitorare la quantità assorbita dalle piante. Magari si potrebbero selezionare delle piante che assorbono queste sostante, da utilizzare solo con lo scopo di preparare il terreno a coltivazioni successive.
Resta infine il problema del materiale organico. Il terreno deve essere fertilizzato e ciò può essere fatto aggiungendo rifiuti organici umani (avete letto o visto “The Martian”?) o parti non edibili di piante coltivate, in altre parole rifiuti compostabili. La presenza di batteri e funghi faciliterà la trasformazione del terreno, rendendolo adatto alla coltivazione di altre piante.
 
In alternativa a tutto ciò, c’è l’uso delle colture idroponiche. Esse consistono nella coltivazione di piante svolta immergendone le radici in una soluzione acquosa che contiene tutti i nutrienti necessari e facendo a meno del terreno.
 
 
Con questo si chiude la mia serie di articoli su Marte iniziata qualche anno fa. Vi siete persi gli altri? Partite da qui.
 
 
Le prime due immagini sono della NASA, la terza proviene dal film "The Martian" (© Twentieth Century Fox) e l'ultima è della SpaceX. Fate clic su di esse per vederle nelle dimensioni originali.
 
Di Carla (del 15/05/2019 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 2720 volte)
Affinché possiamo vivere nella nostra colonia marziana (immagine sotto di NASA/Clouds AO/SEArch), dobbiamo essere in grado di respirare e quindi ci serve ossigeno.
Sfortunatamente nella sottile atmosfera di Marte ci sono solo tracce di questo fondamentale gas, perciò dobbiamo trovare il modo di produrlo nella quantità necessaria per nostra sopravvivenza.
 
Courtesy of NASA/Clouds AO/SEArch
 
L’atmosfera marziana è così rarefatta per via della massa del pianeta, che genera una forza di gravità di appena il 37% di quella terrestre, e per l’assenza di una magnetosfera, cioè un campo magnetico permanente, senza la quale esso è in balia dei venti solari, che in miliardi di anni hanno strappato quasi tutti i gas che lo avvolgevano, disperdendoli nello spazio, come dimostrato dalle ricerche svolte per mezzo della sonda orbitante MAVEN della NASA.
Sulla Terra la notevole concentrazione di ossigeno molecolare nell’atmosfera (quasi il 21%) è dovuta alla presenza della vita. Questo gas, infatti, è notevolmente reattivo, per cui è necessario che venga prodotto in continuazione. Tale produzione è iniziata circa 3,8 miliardi di anni fa nelle acque grazie ai cianobatteri (organismi unicellulari detti anche alghe azzurre) e successivamente anche grazie ad altre forme di vita autotrofe, vale a dire quelle in grado di utilizzare l’energia solare per produrre energia chimica e rilasciare come prodotto di scarto proprio l’ossigeno, tramite un processo chiamato fotosintesi clorofilliana.
Grazie a questi organismi, si produsse così tanto ossigeno nelle acque, che quello in più andò ad arricchire l’atmosfera, permettendo la conquista delle terre emerse da parte della vita aerobica (cioè che dipende dalla presenza di ossigeno).
 
Non sappiamo se su Marte sia mai esistita la vita, ma le peculiari caratteristiche di questo pianeta hanno fatto in modo che gran parte della sua atmosfera venisse spazzata via (e il processo è tuttora in corso), trasformandolo nel mondo freddo e arido che conosciamo. Quasi tutto l’ossigeno molecolare libero ha reagito con altre sostanze, in particolare col ferro, determinando il colore rossastro tipico del pianeta.
Un recente studio del Caltech (ottobre 2018) afferma, però, che un bacino sotterraneo o subglaciale (come quello scoperto da un team italiano nel luglio 2018) di acqua salata liquida potrebbe contenere notevoli concentrazioni di ossigeno disciolto, tali da sostenere forme di vita aerobiche. Quindi su Marte ci sarebbe ancora tanto ossigeno, ma non prontamente reperibile per le necessità di una colonia umana.
 
Ciò che rimane al giorno d’oggi dell’atmosfera marziana contiene per il 95% anidride carbonica, la cui molecola è costituita da un atomo di carbonio e due di ossigeno. In teoria, perciò, a partire da una molecola di anidride carbonica è possibile produrne una di ossigeno molecolare (che contiene due atomi).
 
Courtesy of NASA
 
Esiste già la tecnologia per estrarre ossigeno dall’anidride carbonica. Questa è stata ideata dalla NASA e realizzata tramite il cosiddetto MOXIE (Mars Oxygen In-situ Resources Utilisation Experiment, esperimento di utilizzo in situ su Marte di risorse per produrre ossigeno; l’immagine sopra, che è della NASA, è lo schema di una piccola versione di questo strumento). MOXIE usa la tecnologia della cella a combustibile a ceramica, che converte l’anidride carbonica in ossigeno e in monossido di carbonio (CO). Con questa reazione può produrre 15 litri di ossigeno molecolare all’ora, che possono supportare un essere umano sedentario.
Chiaramente, per poter produrre abbastanza ossigeno per un’intera colonia, serve un MOXIE molto più grande e un impianto nucleare che lo alimenti. Nel frattempo, però, una versione più piccola di questo strumento (quella della figura sopra) verrà inviata sul pianeta rosso insieme al prossimo rover della NASA (che partirà nel 2020; immagine sotto di NASA/JPL-Caltech), per essere testata.
 
Ma l’ossigeno non serve solo per respirare. Nella Terra non ci facciamo caso, poiché l’ossigeno è dappertutto nell’aria, ma la sua presenza è fondamentale per i processi di combustione.
A dire la verità, anche la respirazione cellulare è un lento processo di combustione, durante il quale delle molecole biologiche vengono demolite, permettendo il rilascio di energia che viene accumulata in una sostanza chimica chiamata ATP. Questa a sua volta viene utilizzata come sorgente di energia per svolgere le funzionalità del nostro organismo.
Analogamente, per far funzionare un veicolo con un propulsore a combustione (come un veicolo spaziale), è necessario che avvenga una reazione chimica (combustione) tra un combustibile e un comburente (agente ossidante). Quest’ultimo è in genere proprio l’ossigeno. Su Marte, però, l’ossigeno scarseggia, quindi è necessario produrlo anche per far funzionare il razzo con cui andare in orbita e magari tornare sulla Terra. Oppure può risultare pratico avere dei rover con un motore a combustione (per esempio, alimentati a metano e ossigeno, come quelli che utilizzati in “Deserto rosso”), piuttosto che dover dipendere solo dal funzionamento a batteria.
 
Courtesy of NASA/JPL-Caltech
 
L’ossigeno può anche essere prodotto dall’elettrolisi dell’acqua, che genera inoltre idrogeno, che a sua volta può essere usato come combustibile. Questa tecnologia, però, richiede l’uso di acqua, che come sappiamo è già difficile da reperire, e un certo dispendio energetico.
Infine, si potrebbe pensare di utilizzare degli organismi biologici (cianobatteri e alghe) per estrarre ossigeno dalla regolite marziana in strutture chiamate biocupole, che ospiterebbero dei veri e propri ecosistemi in miniatura (a questo tipo di ricerca si riferisce l’immagine in basso, che è della NASA).
 
L’ossigeno prodotto per la respirazione deve essere utilizzato in maniera adeguata per comporre l’aria all’interno dell’habitat. Il corpo umano infatti è ottimizzato per funzionare con una concentrazione di ossigeno al 21% a una pressione di circa 1 atmosfera, come si osserva sulla Terra. Se questa sale, superando il 23% (a 1 atm), l’ossigeno diventa tossico (come ho raccontato a proposito della Stazione Alfa in “Deserto rosso - Nemico invisibile”).
Sulla Terra il resto dell’atmosfera è costituita perlopiù da azoto (78%) e argon (0,93%), che sono gas inerti. E poi ci sono l’anidride carbonica, la cui concentrazione è intorno al 0,04%, e il vapore acqueo (molto variabile in base alle condizioni meteorologiche).
Nei veicoli pressurizzati usati per i viaggi spaziali sono state spesso ricreate delle condizioni di bassa pressione, che permettono di utilizzare come unico gas l’ossigeno puro. Quando la sua pressione parziale (che è un valore assoluto) è molto bassa, nonostante la sua concentrazione sia al 100%, questo non crea problemi di salute. Rappresenta però un problema di ordine pratico, poiché un’atmosfera ricca di ossigeno è un ambiente pericoloso: basta una scintilla per far partire un incendio che è poi difficile da domare (come nel tragico caso dell’Apollo 1).
Per questo motivo, per la nostra colonia marziana sarà consigliabile creare un’atmosfera interna dell’habitat con una pressione più vicina a quella terrestre. A questo scopo dovremo aggiungere a essa un gas inerte, come appunto l’azoto o l’argon. Questi dovranno essere estratti dai materiali presenti sulla superficie del pianeta per mezzo di procedure chimiche, poiché sono presenti in quantità troppo basse nell’atmosfera marziana.
 
Courtesy of NASA
 
Infine, l’attività respiratoria umana degli abitanti della nostra colonia, oltre a consumare ossigeno, produrrà anidride carbonica e vapore acqueo.
La prima deve essere in qualche modo intrappolata, prima che diventi tossica (sopra il 4% a 1 atm), e poi riciclata per produrre nuovo ossigeno. A questo scopo si possono utilizzare delle celle di rigenerazione al superossido di potassio, già utilizzate negli Space Shuttle, oppure dei setacci molecolari, costituiti da minerali naturali che presentano dei canali in cui l’anidride carbonica viene intrappolata. Questa può essere liberata tramite riscaldamento e poi riciclata, per esempio, con un MOXIE.
Per quanto riguarda il vapore acqueo, c’è da considerare che l’aria espirata dagli essere umani ne contiene circa il 5%, ciò significa che, se non viene in qualche modo recuperato, l’ambiente dell’habitat è destinato a diventare molto umido. Per evitare che ciò avvenga, basta utilizzare un comune materiale essiccante, che blocca l’acqua in eccesso, diminuendo l’umidità atmosferica dell’habitat, e permettendo che questa venga riciclata.
 
Adesso abbiamo quasi tutto quello che ci serve per vivere su Marte: energia, acqua e ossigeno. Ci manca soltanto qualcosa da mangiare. E proprio di come produrre cibo parlerò nel prossimo articolo.
 
 
 
Tutte le immagini sono della NASA. Fate clic su di esse per vederle nelle dimensioni originali.
 
Di Carla (del 13/12/2017 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 5839 volte)
Se vogliamo far funzionare la nostra colonia su Marte, abbiamo prima di tutto bisogno di energia. Come possiamo ottenerla?
 
Courtesy of NASA/JPL
 
La prima e più ovvia fonte di energia è il Sole (nella foto sopra un tramonto nel Cratere Gale su Marte). La radiazione solare raggiunge costantemente la superficie di Marte e per poterla trasformare in una forma di energia sfruttabile si può far uso di una tecnologia già ampiamente utilizzata nel nostro pianeta: i pannelli fotovoltaici.
Questi pannelli sono costituiti da celle che a loro volta presentano diversi strati costituiti da una coppia di fogli di silicio, di cui uno è caricato positivamente e uno negativamente. Quando la radiazione solare li raggiunge, questa fa eccitare l’elettrone del foglio negativo, che a sua volta migra verso quello positivo. Tale fenomeno, ripetuto per tutti i singoli elettroni presenti, dà luogo a una corrente elettrica.
In pratica si verifica una trasformazione dell’energia solare in energia elettrica, che può essere immagazzinata in batterie e utilizzata per tutte le necessità del nostro insediamento sul pianeta rosso. L’efficienza della trasformazione è di circa il 20%, ma tende a crescere col migliorare di questa tecnologia. Inoltre i pannelli solari hanno una vita utile abbastanza lunga, soprattutto considerando che su Marte sarebbero sottoposti a eventi meteorologici molto più miti, cosa che li trasforma in una fonte di energia rinnovabile a lungo termine.
Ci sono però tre limiti legati all’uso dei pannelli solari.
 
Il primo, che si osserva ovviamente anche sulla Terra, è che funzionano solo durante le ore di luce (il cosiddetto dì), mentre smettono del tutto di funzionare di notte. Inoltre la loro produzione di energia non è costante, ma varia lungo l’arco della giornata, raggiungendo il massimo quando il sole è allo zenit durante il solstizio d’estate (se le condizioni meteorologiche lo consentono). La soluzione a questo problema è semplicemente quella di accumulare l’energia prodotta durante il dì in batterie, in modo da averne a disposizione in maniera costante durante tutto il sol (giorno marziano).
 
Il secondo limite, invece, riguarda proprio Marte: il pianeta rosso è più lontano dal Sole rispetto alla Terra, quindi a parità di superficie dei pannelli solari questi ricevono una quantità inferiore di energia. Per ovviare a questo problema, in realtà basterebbe installare più pannelli. Di certo su Marte non manca lo spazio per farlo. Ma significa anche avere più dispositivi cui dover fare una costante manutenzione affinché funzionino sempre al meglio.
 
E questo ci porta al terzo limite: i diavoli di polvere e le tempeste di polvere.
Sappiamo che l’atmosfera di Marte è appena l’1% in densità rispetto a quella terrestre, nonostante ciò non è del tutto esente da importanti fenomeni meteorologici. La superficie del pianeta infatti è spazzata da frequenti venti che possono ampiamente superare i 100 chilometri orari. Nonostante l’aria sia sottile, i venti sono in grado di sollevare il pulviscolo più leggero generando colonne rotanti di aria scaldata dal Sole chiamate diavoli di polvere (nella foto sotto un diavolo di polvere in azione ripreso dall’orbita di Marte, simile a quello osservato da Melissa alla fine di “Deserto rosso”). I diavoli di polvere marziani sono molto più alti rispetto agli omonimi terrestri, ma, proprio per via della presenza di un’aria sottile, non sarebbero in grado di provocare danni a un insediamento umano. Tranne quello di coprire di polvere i pannelli solari, riducendo o annullando la loro efficienza!
Anche questo problema ha una semplice soluzione, vale a dire pulire periodicamente i (numerosi) pannelli, cosa che aggiunge un ulteriore consumo di quella stessa energia che producono. Talvolta, però, può accadere il contrario: un diavolo di polvere può casualmente pulire un pannello solare, come è accaduto al rover Spirit nel 2005, ma di certo non possiamo sperare in una tale casualità.
 
Courtesy of NASA/JPL
 
Ma i venti e la polvere creano anche un problema molto più serio. Su Marte, infatti, il continuo soffiare dei venti, in particolare in certi periodi dell’anno, è in grado di dare luogo a tempeste di polvere, in grado di ricoprire ampie aree e di durare anche per mesi. Anche nel caso della tempesta di polvere non abbiamo a che fare con un evento meteorologico distruttivo. La spinta che un vento può dare anche a 150 chilometri orari su Marte è sempre un centesimo di quanto avverrebbe sulla Terra. Tant’è vero che alcune tempeste di sabbia potrebbero essere così lievi da non venire affatto percepite al livello del suolo, almeno non dall’occhio umano, ma lo sarebbero per i pannelli solari. La polvere sospesa nell’aria, infatti, può ridurre in maniera drammatica la percentuale di energia solare in grado di raggiungere la superficie dei pannelli, e ciò può andare avanti per settimane o mesi, rendendoli di fatto inutili allo scopo di produrre energia elettrica.
Per questo motivo non possiamo fare affidamento soltanto sul Sole come fonte diretta di energia.
 
Come ho appena detto, però, su Marte c’è un sacco di vento ed esso porta con sé altra energia, sfruttabile attraverso l’impiego di turbine eoliche (come quelle utilizzate nella Stazione Alfa in “Deserto rosso”). Nonostante si tratti di un’energia eolica in proporzione nettamente inferiore a quella che si può sfruttare nel nostro pianeta, la maggiore frequenza e la maggiore velocità media dei venti li rende fonte di energia alternativa da affiancare a quella solare. A ciò si aggiunge il fatto che nei diavoli di polvere la frizione tra le particelle crea delle cariche elettrostatiche e periodicamente si scaricano sotto forma di fulmine e, almeno in teoria, si potrebbe provare a intrappolare anche quell’energia.
 
Resta però da considerare il peggiore degli scenari, che è tutt’altro che raro: una lunga tempesta di polvere che blocchi la luce del Sole, ma che allo stesso tempo non sia caratterizzata da venti tanto forti e costanti da sopperire al mancato funzionamento dei pannelli solari.
Inoltre queste fonti di energia rinnovabili, oltre a essere incostanti, hanno anche a pieno regime in proporzione un’efficienza più bassa rispetto a ciò che avviene sulla Terra, pur presentando problematiche di manutenzione non trascurabili. È probabile che la necessità di energia di una futura colonia marzia diventi un incentivo per cercare di migliorare questo tipo di tecnologie o addirittura inventarne di nuove in grado di sfruttare l’energia solare ed eolica, cosa che avrebbe poi degli importanti benefici sulla Terra.
Ma, nel frattempo, se vogliamo poter disporre di un’energia costante che sia disponibile in quantità notevoli, tali da portare avanti il funzionamento di un insediamento sul pianeta e la sua espansione nel tempo, è necessario rivolgerci a una fonte più potente, più affidabile e più facilmente gestibile, anche se magari, almeno per il momento, ce la dobbiamo portare dalla Terra.
 
Courtesy of NASA/JPL
 
Prendiamo il caso del rover Curiosity (foto sopra). A differenza di Opportunity e degli altri rover (ora non più funzionanti) Spirit e Sojouner, Curiosity non ha pannelli solari, bensì è alimentato esclusivamente da un generatore termoelettrico a radioisotopi. Questo dispositivo presenta un modulo contenente un isotopo radioattivo del plutonio, che decadendo diventa una fonte di calore. Questo calore viene trasformato da un convertitore termoelettrico in energia elettrica. Un generatore di questo tipo è abbastanza piccolo e può produrre energia in maniera continua per anni. Ovviamente, se usato da esseri umani, deve essere opportunamente schermato per evitare l’esposizione a radiazioni. Ma ciò vale in pratica per qualsiasi attività si svolga su Marte, che è costantemente raggiunto da radiazioni ionizzanti, solo in piccola parte bloccate dalla sottile atmosfera. Purtroppo c’è un limite alla potenza che un generatore di questo tipo può generare, ma esso è utile per far funzionare per lunghissimo tempo singole apparecchiature con un consumo di potenza contenuto, come la sonda Voyager 1 che è stata lanciata nel 1977 e adesso che è uscita dal Sistema Solare continua a comunicare con la Terra (di recente sono stati addirittura riaccesi i suoi propulsori per compiere una breve manovra, dopo 37 anni dall’ultima volta che sono stati utilizzati).
 
Per creare, far andare avanti ed espandere una colonia sul pianeta rosso ci serve, però, molta più energia. La risposta a questa necessità è estrarla dagli atomi. Per farlo è necessario disporre la nostra colonia di piccoli reattori nucleari, cioè delle strutture opportunamente schermate in cui facilitare le reazioni nucleari in combustibili come l’uranio, il plutonio e il torio, in modo che rilascino molta più energia di quella generata dal loro lento decadimento spontaneo. Nello specifico il processo cui vanno incontro si chiama fissione, cioè la separazione in due parti del nucleo atomico. Il calore generato viene poi convertito in energia elettrica.
 
All’inizio si dovranno importare dalla Terra i combustibili nucleari, ma in un tempo successivo sarà possibile estrarli su Marte esattamente come si fa sul nostro pianeta (bisogna prima scoprire dove trovarli). Il vantaggio delle reazioni nucleari è che da piccole quantità di materia prima si possono estrarre grandi quantità di energia. Inoltre i reattori hanno una durata molto maggiore rispetto ai pannelli solari o alle turbine eoliche.
Vi consiglio la visione di questo breve video che parla di una ricerca della NASA riguardo all’utilizzo di reattori nucleari (in cui avviene la reazione di fissione) per lunghe missioni nello spazio o per la colonizzazione di altri corpi celesti, incluso Marte.
 
 
Adesso che abbiamo l’energia, possiamo procurarci l’acqua, ma per colonizzare Marte ci servono tante altre cose. La prossima della nostra lista è l’ossigeno (dovremo pur respirare!), ma di questo parlerò nel prossimo articolo.
 
Tutte le foto di Marte sono della NASA. Fate clic sulle immagini per vederle nelle dimensioni originali.
 
Di Carla (del 22/11/2017 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 5108 volte)
Una delle prime cose di cui abbiamo bisogno per colonizzare Marte è l’acqua. Come sappiamo, l’acqua è essenziale per la vita come noi la conosciamo. In media una persona è costituita per il 65% da acqua e tutti i processi biologici utilizzano l’acqua come solvente.
Perché proprio l’acqua?
 
Immagine di HeNRyKusNon è un caso che l’acqua sia diventata la sostanza alla base della vita. L’acqua, tanto per iniziare, ha la particolare caratteristica di trovarsi in forma liquida all’interno di un intervallo di temperature molto elevato (dai 0 ai 100°C) a una pressione pari a 1 atmosfera. Il punto di ebollizione dell’acqua è molto più elevato di quello di altre sostanze con una massa simile e questa differenza, che la rende così importante, è dovuta alla sua struttura chimica.
 
È una molecola costituita da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (H2O). I due atomi di idrogeno solo legati entrambi all’unico atomo di ossigeno in modo tale che gli elettroni non sono distribuiti in maniera uguale tra gli atomi. Gli atomi di idrogeno, infatti, presentano una piccola carica positiva, mentre l’atomo di ossigeno ha una piccola carica negativa. Questa polarità fa sì che si creino dei legami (chiamati legami a idrogeno) tra gli atomi di molecole diverse.
I legami a idrogeno non sono tanto forti, ma lo sono abbastanza da tenere le molecole vicine anche a temperature elevate, rendendo l’acqua poco volatile.
Oltre essere la causa dell’elevata temperatura di ebollizione dell’acqua, i legami a idrogeno determinano la disposizione ordinata delle molecole nello stato solido, che risulta essere meno denso di quello liquido. Per questo motivo il ghiaccio galleggia sull’acqua e fa sì che la vita sia possibile al di sotto di esso.
Tutto questo discorso vale sulla Terra, a una pressione di 1 atmosfera o 1013 millibar.
 
NASA Planetary Science
 
E su Marte?
Sappiamo che in passato Marte aveva oceani, laghi e fiumi. Abbiamo le prove geologiche del passaggio e della presenza dell’acqua. Ciò era reso possibile dalla presenza di un’atmosfera molto più spessa di quella attuale e, di conseguenza, di temperature più elevate (immagine sopra: confronto tra Marte oggi e in passato; fare clic sull’immagine per guardare il video di NASA Planetary Science).
Al giorno d’oggi (e da qualche miliardo di anni), come vi ho raccontato nell’articolo precedente, la pressione sulla superficie di Marte oscilla tra i 6 e gli 11 millibar. In questa condizione anche all’equatore, dove la temperatura può raggiungere i 15-20°C, l’acqua non può esistere allo stato liquido, poiché il suo punto di ebollizione è inferiore a questi valori. Ciò fa sì che questa sostanza essenziale per la vita si trovi solo allo stato solido oppure a quello gassoso.
È stato scoperto recentemente che durante l’estate marziana si formano in alcune aree, in corrispondenza di pendii, delle linee scure ricorrenti (individuate dalla fotocamera HiRISE del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA; foto sotto: linee ricorrenti in Juventae Chasma, NASA/JPL), che sono state attribuite alla presenza di acqua che, dalle profondità del terreno, emerge e si scioglie. Di fatto quest’acqua riesce a trovarsi (forse) in forma liquida solo perché è ricca di sali che ne innalzano il punto di ebollizione. Ma pare anche che la presenza in questo stato sia solo transitoria e caratterizzata dal suo successivo passaggio allo stato gassoso, e che le linee ricorrenti siano di fatto provocate dallo spostamento di materiale granuloso.
Perciò pensare di andare a raccogliere acqua da questi ruscelli temporanei è fuori discussione.
 
NASA/JPL
 
Su Marte, comunque, ci sono delle fonti ben più evidenti di acqua: il ghiaccio delle calotte polari. Ciò è particolarmente vero per il polo nord (foto sotto: calotta del polo nord di Marte vista da HiRISE/NASA), dove il ghiaccio d’acqua è facilmente raggiungibile, mentre al polo sud questo è intrappolato sotto una calotta di ghiaccio secco (anidride carbonica solida).
In teoria potremmo andare a prendere l’acqua al polo nord di Marte, ma ciò non sarebbe pratico se decidessimo di costruire una colonia umana in altri luoghi del pianeta, con un clima più mite e con un’esposizione più regolare ai raggi solari (che potrebbero tornarci utili per produrre energia).
 
NASA/JPL
 
Secondo varie ricerche, pare che notevoli quantità di ghiaccio siano presenti anche a latitudini più basse, ma in profondità. Se si riuscisse a individuare uno di questi depositi, sarebbe un’ottima idea stabilirsi sopra di esso ed estrarre ghiaccio d’acqua dal sottosuolo.
Inoltre, non è del tutto da escludere l’idea che nel sottosuolo si creino delle condizioni di pressione e temperatura tali da permettere l’esistenza di acqua liquida, magari termale (una teoria che compare spesso nella narrativa di fantascienza e che ho usato anch’io in “Deserto rosso” e in “Ophir. Codice vivente”), ma non è affatto semplice trovarla.

IMPORTANTE AGGIUNTA DEL 2019. Nel luglio 2018 è stata annunciata la scoperta di un lago subglaciale di acqua liquida (soluzione acquosa di sali) vicino al polo sud marziano, grazie al lavoro svolto da un team di ricerca italiano, capeggiato da Roberto Orosei, con lo strumento MARSIS, che si trova a bordo dell’orbiter dell’ESA Mars Express. Per maggiori informazioni è possibile leggere e seguire i link in questo articolo.
 
NASA/JPLIn realtà esiste però una grande quantità di acqua diffusa su tutto il pianeta, sebbene a basse concentrazioni, intrappolata in forma solida o parzialmente liquida (in presenza di sali) nelle rocce e nel terreno, in particolare nella regolite (lo strato più superficiale costituito da sabbia, polvere, piccole pietre; nella foto: particolare della sabbia di Marte ripreso dal rover Curiosity, NASA/JPL).
E (come ho scritto in “Deserto rosso”) è assolutamente possibile estrarre l’acqua da questo materiale. Prima di tutto lo si deve raccogliere e portare in un ambiente chiuso con una pressione simile a quella terrestre, in cui l’acqua può esistere allo stato liquido. Quindi lo si scalda prima per scioglierla e poi per farla evaporare. Il vapore viene quindi separato e poi condensato. In pratica l’acqua verrebbe separata dalla regolite tramite distillazione.
Questa conterrà ancora numerose sostanze tossiche, che possono essere eliminate tramite un processo di purificazione. L’acqua viene fatta passare attraverso una resina a scambio ionico (una tecnologia già usata per addolcire le acque dure), in cui queste sostanze vengono sostituite con altre non pericolose, come il sodio.
 
Come potete vedere, si tratta di tecnologie esistenti e relativamente semplici da applicare. L’unico problema è che richiedono una notevole quantità di energia, visto il notevole fabbisogno d’acqua dei colonizzatori.
Infatti, un essere umano assume in varie forme più di due litri d’acqua al giorno, inoltre ha bisogno di acqua per l’igiene personale. Ma c’è anche da considerare che consuma tanta acqua quanta ne perde. Per questo motivo è possibile controllare i consumi di acqua tramite l’implementazione di tecnologie che ne consentano il riciclo completo (o quasi), come quelle tuttora utilizzate sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Il riciclo è possibile grazie alla cattura del vapore acqueo che si concentra nell’aria all’interno dell’habitat e di quello recuperato dalle tute spaziali dopo l’uso, cui si aggiungono tutte le acque usate. Tutta l’acqua raccolta viene sottoposta a filtrazione, prima per rimuove materiale solido e particolato, poi impurità organiche e inorganiche, infine subisce un’ossidazione catalitica,che elimina composti organici volativi e tutti i microrganismi.
 
Tutto questo, manco a dirlo, richiede altra energia. E proprio di come produrre energia su Marte parlerò nel prossimo articolo.
 

Tutte le foto di Marte sono della NASA. Fate clic sulle immagini per vederle nelle dimensioni originali.
 
Di Carla (del 10/11/2017 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 3959 volte)
Conoscete la mia passione per il quarto pianeta del sistema solare, vale a dire Marte. Ne sono affascinata da una ventina di anni, da quando nel 1997 il rover Sojouner, inviato con la missione della NASA Mars Pathfinder, ha iniziato a scorrazzare (si fa per dire) tra le rocce e la polvere del pianeta rosso e a inviare delle immagini mozzafiato di un mondo che, pur essendo alieno, di fatto non pareva tanto diverso dal nostro (foto sotto scattata dal rover Curiosity/NASA).
 
NASA/JPL-Caltech
 
E infatti Marte per molti versi assomiglia al nostro pianeta. È roccioso, è ricoperto da valli, monti, deserti sabbiosi, non è eccessivamente lontano dal Sole, ha una durata del giorno (detto sol) molto simile a quella terrestre (circa 24 ore e 39 minuti terrestri), un asse con un’inclinazione tale da conferirgli un’alternanza di quattro stagioni anch’essa simile alla nostra, e soprattutto possiede gli elementi e le molecole necessarie alla vita, come carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno e persino acqua, sia in forma solida sia, come si è scoperto recentemente, liquida (non pura). Queste condizioni esistono adesso, ma esistevano ancora di più miliardi di anni fa, quando Marte aveva un’atmosfera più densa e un clima più caldo (e quindi aveva laghi, fiumi e oceani), nello stesso periodo in cui compariva per la prima volta la vita sulla Terra.
Per questo motivo è abbastanza probabile che la vita, nella sua forma microscopica, sia esistita su Marte in passato, e forse addirittura che continui a esistere in luoghi del pianeta che possiedono le stesse condizioni trovate in alcune regioni della Terra dove sappiamo che vivono organismi estremofili.
 
Tutto ciò rende Marte un luogo interessante per studi nell’ambito dell’astrobiologia e nello specifico dell’esobiologia (il campo di ricerca di Anna Persson, la protagonista di “Deserto rosso”).
Ma, nonostante le condizioni ambientali di Marte siano drammaticamente cambiate negli ultimi 3,7 miliardi di anni, con la perdita di gran parte della sua atmosfera, spazzata via dall’azione dei venti solari a causa di una forza di gravità insufficiente e dell’assenza di una magnetosfera (l’atmosfera di Marte viene attualmente studiata dalla sonda MAVEN della NASA), il pianeta rosso è l’unico corpo celeste del nostro sistema solare ad avere tutte le carte in regola per essere colonizzato dall’uomo, con qualche aggiustamento. E fortunatamente è anche il secondo pianeta più vicino alla Terra (il più vicino è Venere, che però ha condizioni molto più sfavorevoli), cosa che lo rende raggiungibile in tempi accettabili (foto sotto: dune di Marte viste da HiRISE/NASA).
 
JPL/NASA
 
Chiaramente questa affermazione è valida in teoria. Ma in pratica in che modo potremmo vivere su Marte?
È vero, come ho detto sopra, che Marte è molto simile alla Terra. Esistono però delle differenze tutt’altro che trascurabili.
Prima di tutto ha un diametro che è pari a circa la metà di quello terrestre (e al doppio di quello della Luna) e una massa di appena l’11% rispetto a quella della Terra. Ciò si traduce in una gravità di 0,376 g (cioè poco più di un terzo di quella terrestre), che influenza la capacità del pianeta di trattenere l’atmosfera.
Possiede due satelliti naturali, Phobos e Deimos, che, a differenza della Luna, viste le piccole dimensioni (sono probabilmente degli asteroidi catturati nell’orbita) non hanno una forma sferica.
Inoltre si trova più distante dal Sole di circa 78 milioni di chilometri rispetto alla Terra. Per questo motivo la durata dell’anno su Marte è di 687 giorni terrestri (quasi il doppio di quella terrestre), che corrispondono a 668,6 sol, al contempo le temperature variano da -140°C a 20°C, con un valore medio di -60°C.
 
Marte è un pianeta roccioso con una crosta e un mantello simili a quelli terrestri, ma sappiamo poco su ciò che si trova al di sotto di quest’ultimo. Sulla Terra abbiamo un nucleo di ferro solido, avvolto da ferro liquido che ruotando determina la presenza di un campo magnetico permanente che ci protegge dai raggi cosmici. Al contrario, non sappiamo per certo come sia fatto il nucleo di Marte, ma potrebbe essere di ferro allo stato viscoso, vale a dire non in grado di ruotare, in quanto il pianeta non possiede attualmente una vera e propria magnetosfera, la cui esistenza è cruciale per la vita sulla superficie del pianeta.
A ciò si aggiunge il fatto che l’atmosfera di Marte ha una pressione che va da 6 a 11 millibar (quella media della Terra è di 1013 millibar), così bassa da impedire all’acqua pura di trovarsi allo stato liquido (a seconda della temperatura è presente sotto forma di vapore acqueo oppure di ghiaccio), ed è costituita perlopiù da anidride carbonica e pochissimo ossigeno. Quest’ultimo si trova in buona parte intrappolato negli ossidi di ferro che conferiscono il caratteristico color ruggine al pianeta. Un’atmosfera così sottile fornisce al pianeta una protezione molto bassa nei confronti dei raggi ionizzanti provenienti dal Sole, che letteralmente sterilizzano la sua superficie (foto sotto: Phobos e Marte, visti da Mars Express/ESA).
 
DLR/ESA
 
Va da sé che in condizioni del genere, cioè se non vogliamo congelarci o liofilizzarci (secondo la temperatura) istantaneamente oltre che soffocare prima ancora di poter essere uccisi dalle radiazioni, per vivere su Marte abbiamo bisogno di organizzarci un po’.
Tanto per iniziare, ci serve un habitat termostatato, pressurizzato e schermato, delle tute con le medesime caratteristiche per uscire all’aperto e dei mezzi di trasporto. Tutte queste cose ce le possiamo portare dalla Terra. Altre però, vista la distanza dal nostro pianeta d’origine, dobbiamo essere in grado di procurarcele direttamente su Marte.
Queste sono essenzialmente quattro: acqua, energia, ossigeno e cibo.
In questa serie di articoli, che come potete vedere hanno un taglio divulgativo, ho intenzione di parlarvi, tanto per iniziare, di come procurarci questi elementi essenziali per poter vivere sul pianeta rosso.
 
Nell’attesa del prossimo articolo, se non l’avete già fatto, vi invito a iniziare il vostro viaggio su Marte insieme all’esobiologa Anna Persson attraverso la lettura della mia serie di fantascienza “Deserto rosso” e successivamente con il resto del ciclo dell’Aurora, in particolare la terza parte, “Ophir. Codice vivente”, che vede ancora una volta come protagonista il pianeta rosso e i suoi misteri.
 
Tutte le foto sono della NASA o dell’ESA. Fate clic sulle immagini per vederle nelle dimensioni originali.
 
Pagine: 1

 

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