Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carla (del 26/02/2015 @ 04:23:46, in Lettura, linkato 4235 volte)
La serie che mi ha fatto rivalutare il cyberpunk
Il cyberpunk è un genere con cui non ho mai avuto grande affinità. I miei precedenti tentativi di leggerlo (“ Luce virtuale” di Gibson e “ Criptosfera” di Banks) non mi hanno particolarmente entusiasmato, benché, per ironia, mi sia cimentata nella scrittura (anche) di questo sottogenere della fantascienza. Sospettavo insomma che non fosse il sottogenere in sé il problema, ma che mi fossi imbattuta nei titoli sbagliati, almeno per ciò che riguardava i miei gusti personali. Infatti, leggendo libri più recenti in cui l’elemento cyberpunk era sì importante ma non predominante (come la Trilogia del Vuoto di Hamilton) mi sono sempre molto divertita.
Per fortuna, quando ho iniziato a leggere i libri di Effinger non avevo idea di trovarmi di fronte a uno dei padri del cyberpunk nel suo periodo di massimo sviluppo, gli anni ’80. Ciò dimostra come le etichette certe volte facciano più male che bene. Avevo solo due dei libri della serie, procurati in tempi diversi, senza neppure sapere che fossero collegati. Appena ho iniziato a leggere il primo, e ne sono rimasta rapita, mi sono subito prodigata a trovare una copia del terzo, poiché sapevo che mi sarebbe servito molto presto.
Avendoli letti uno di fila all’altro, ho deciso di recensirli insieme, anche perché mi è difficile giudicarli separatamente senza farmi influenzare dalle letture precedenti o successive.
La trilogia del Budayeen (sarebbe più corretto chiamarla serie, poiché l’autore aveva progettato almeno altri due libri, che purtroppo non ha fatto in tempo a scrivere prima di morire) non è solo cyberpunk. La storia è ambientata fra due secoli, in un quartiere malfamato, il Budayeen, di una città del mondo arabo non meglio specificata. Nel futuro immaginato da Effinger la gente si fa “circuitare” il cervello per potervi inserire dei moduli che permettono di fornire all’individuo nuove nozioni, capacità e persino personalità. L’elemento cyberpunk è fornito da questa tecnologia, che è di fatto uno dei pochi elementi fantascientifici presenti nella storia. Qui la fantascienza è solo uno strumento per raccontarci la storia dei personaggi e soprattutto per gran parte del primo libro (ma anche per ampie parti degli altri) la stessa storia funzionerebbe altrettanto bene se raccontata in un contesto al di fuori del fantastico.
Riguardando adesso, dopo trent’anni, questo futuro immaginario, esso appare costellato di elementi anacronistici, quasi fosse un universo alternativo o semplicemente al di fuori del tempo.
Il Budayeen in realtà è una metafora del quartiere francese di New Orleans (Effinger non l’aveva mai nascosto), con i suoi night club, dove pare sia abbastanza difficile trovare una donna che sia geneticamente tale, e con la sua malavita organizzata. A ciò si aggiunge il tocco esotico dell’averlo inserito nel mondo islamico, che viene rappresentato in maniera accurata con tutte le sue contraddizioni, ancora più evidenti se viste fra duecento anni. Il rapporto dei personaggi con la religione islamica, il rispetto verso di essa, accompagnato alle azioni più efferate è un astuto richiamo al contraddittorio ma tristemente reale binomio cattolicesimo-mafia, che non può far che sorridere. È un po’ come dire che anche nel futuro, pur cambiando le persone, i luoghi e persino la religione, i risultati che si ottengono sono sempre gli stessi.
Al di là di questa ambientazione, i romanzi di Effinger girano tutti intorno alla figura del protagonista, Marîd Audran, un investigatore drogato, cauto (per non dire codardo), pieno di difetti, ma estremamente umano, che cerca di sbarcare il lunario facendo lavoretti più o meno legali, tra un’ubriacatura e l’altra, coadiuvato dall’assunzione di pastiglie tra le più varie (a seconda delle occasioni: una per dormire, una contro l’ansia, una per stare sveglio e così via), e rischiando di farsi ammazzare a ogni istante. In tutto questo Marîd, che ci racconta la sua storia in prima persona, non perde mai la sua autoironia, neppure nelle situazioni peggiori. Insomma, è una simpatica canaglia, anzi un simpatico antieroe.
Ho riso tanto nel leggere questi romanzi, ma ciò che li rende così belli è la loro imprevedibilità. Effinger non segue schemi. La storia è realistica grazie al modo in cui gli eventi si susseguono quasi casualmente, proprio come nella realtà, senza una logica. Non sai mai cosa accadrà nella pagina dopo e non puoi fare altro che continuare a leggere. Così ogni giorno mi ritrovavo ad attendere con trepidazione il momento in cui sarei andata a letto e avrei preso in mano il libro.
Marîd si infila in un guaio dopo l’altro. Quando pensi che peggio di così non gli potrebbe andare, be’, gli va peggio. Ma bene o male se ne tira fuori, nel senso che sopravvive.
Nel primo libro si trova a investigare su degli omicidi, cerca di tenere in piedi la sua storia con la bella ballerina Yasmin (di cui lui è molto innamorato), che non è sempre stata una donna, cerca di evitare di finire sotto il controllo di Friedlander Bey, il “capo mafia” del Budayeen, e ovviamente di non farsi ammazzare.
Nel secondo si trova a scoprire un oscuro programma, chiamato Fenice, a causa del quale molte persone vengono uccise, e si ritrova a lavorare con la polizia.
Nel terzo finisce in esilio nel deserto arabico, dove vive per un certo tempo con i nomadi. Questo libro sembra quasi diviso in due, con una parte ambientata nel deserto e un’altra nel Budayeen che sono completamente separate.
Effinger era un grande autore e lo dimostra la maestria con cui usava le tecniche narrative più disparate.
Una cosa che ho particolarmente apprezzato è l’artificio narrativo con cui ci mostra le scene in cui Marîd indossa un modulo di personalità (detto moddy). Di colpo si passa dalla prima persona alla terza, creando una distanza tra il lettore e il personaggio che simula la sensazione che questo deve avere mentre il controllo di se stesso viene filtrato da un software, mentre la sua coscienza è quasi messa da parte, come se fosse uno spettatore. Nel leggere queste scene si ha davvero l’impressione di vivere in una sorta di stato alterato, un po’ come capitava allo stesso Marîd. Particolarmente divertente è quando il protagonista prova il moddy di Nero Wolf e si sente più grasso e del tutto disinteressato alle donne.
Lo stesso artificio viene utilizzato nelle due scene ambientate nella realtà virtuale (nel secondo libro), mentre Marîd e Chirinda stanno facendo un gioco. Le scene di per sé non portano avanti la trama, ma Effinger le ha scritte lo stesso e sono comunque molto godibili proprio per via della sensazione di “partecipazione filtrata” che esse danno e che le distingue dal resto del romanzo.
Altro aspetto che ho apprezzato è la tendenza dell’autore di mostrarci Marîd a un certo punto della storia e poi far sì che lui ricostruisca, tramite i suoi ricordi spesso offuscati, cosa è accaduto prima, con una transizione verso il flashback che imita alla perfezione il modo associativo con cui la memoria funziona. Marîd torna indietro nei suoi pensieri e ci mostra tutto ciò che è accaduto, anche per molte pagine, fino ad arrivare al punto di apparente tranquillità da cui il capitolo è iniziato. Così pian piano scopriamo che si trova in un grosso guaio da cui è impossibile immaginare come lui riuscirà a venire fuori. Spesso questa consapevolezza viene seguita da un colpo di scena che peggiora ancora di più le cose, se possibile.
Proprio per l’assenza di schemi e per la sottile vena di imperfezione che attraversa tutti i libri, ognuno di essi è caratterizzato da un finale malinconico o al massimo dolceamaro, ma comunque sempre aperto. E, considerato che Effinger è morto prima di scrivere i libri successivi, questi finali ci autorizzano a immaginarne noi il seguito.
A questo proposito aggiungo che esiste una raccolta postuma di racconti, purtroppo mai pubblicata in italiano, “Budayeen Nights” (la recensirò a parte), che include tutta una serie di scritti di Effinger tra cui l’inizio del quarto libro e soprattutto un racconto che ha come protagonista Marîd (benché il suo nome non venga mai pronunciato) che ci permette di dare uno sguardo al suo futuro in cui a quanto pare si è liberato dal controllo del “capo mafioso” del Budayeen e ha una vita abbastanza tranquilla, anche se ogni tanto viene coinvolto in qualche investigazione pericolosa.
I tre romanzi della trilogia del Budayeen sono: “Senza tregua” edito dalla Nord, che è poi stato ripubblicato da Hobby & Work col titolo de “L’inganno della gravità” (fedele all’originare “When Gravity Fails”); “Programma Fenice” della Nord, poi ripubblicato da Hobby & Work come “Fuoco nel sole” (originale “A Fire in the Sun”); ed “Esilio dal Budayeen” della Nord e la sua riedizione di Tascabili Nord intitolata “La guerra di Marid Audran Esiliato dal Budayeen”.
Se avete l’occasione di procurarveli, non fateveli scappare.
Di Carla (del 13/02/2015 @ 18:09:07, in Lettura, linkato 3656 volte)
Orrore sulla Luna
E va bene, ho comprato questo libro perché c’era la parola Luna in copertina, anche se dalla descrizione avevo intuito che si trattava di un romanzo young adult, che non è proprio il mio genere. Devo dire che non sono rimasta delusa, anche perché sapevo dove stavo andando a cacciarmi. Il linguaggio del libro è molto semplice, come è giusto che sia trattandosi di un romanzo rivolto agli adolescenti. Per chi come me parla l’inglese come seconda lingua è sicuramente un vantaggio, poiché la lettura è andata avanti senza alcun intoppo. La parte scientifica, che poi è il motivo per cui ho deciso di leggerlo, è abbastanza accurata e alcune sequenze sulla superficie lunare sono davvero emozionanti. C’è da specificare che si tratta di una fantascienza che sfocia nell’horror e questo in parte giustifica l’assunto assurdo che esista una stazione sulla Luna di cui nessuno sa nulla, che le missioni lunari siano state interrotte perché c’è qualcosa di pericoloso lassù e che adesso si sia deciso di mandarci dei ragazzi e non una squadra super addestrata. Ma perché? Gli assunti delle storie dell’orrore sono spesso assurdi o comunque fanno già presagire il peggio. Il finale è in piena linea col genere del libro e senza dubbio è l’unico finale possibile che impedisca alla storia di crollare su se stessa e trasformarsi in qualcosa di insulso. Il libro però non è esente da difetti. La storia ci mette molto tempo a decollare. Il primo terzo del libro è troppo lento. L’autore si sofferma a presentare i personaggi che (sorpresa?!) saranno selezionati per la missione. Il loro background in realtà non è affatto funzionale alla trama e avrebbe potuto inserirlo qui e là, piuttosto che dedicarci interi capitoli. L’altra cosa che era proprio evitabile è la scelta di inviare degli adolescenti sulla Luna. Se proprio volevano mandarci della gente qualunque a scopo propagandistico, considerati i rischi, non vedo perché avrebbero dovuto inviarci dei ragazzini. Va bene che il libro è rivolto a un target giovane e si vuole far immedesimare i lettori, ma credo che avrebbe funzionato ugualmente se si fosse trattato almeno di maggiorenni. Se non altro, la sospensione dell’incredulità avrebbe retto un po’ di più. Nel complesso comunque non è un brutto libro. È stata una lettura piacevole.
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Di Carla (del 05/02/2015 @ 14:39:04, in Lettura, linkato 2830 volte)
Un romanzo che ti legge nella mente
Nell’intitolare questa recensione ho volutamente giocato con la trama del libro. “Mindstar Rising” infatti ha come protagonista un ex-militare, Greg Mandel, in cui è stata impiantata una speciale ghiandola che gli permette di percepire le emozioni delle altre persone e in un certo senso leggere la loro mente, anche se non letteralmente. Mandel è ora un detective privato che si ritrova a investigare su un intrigo di portata globale incentrato sulla giovane erede di un multimiliardario. La storia è ambientata in un futuro vicino notevolmente distopico, un futuro in cui il riscaldamento globale ha trasformato l’Inghilterra in un luogo quasi desertico dove i mari hanno invaso le coste e modificato la loro morfologia, dove il petrolio è finito, e le persone vivono in un mondo degradato in una mescolanza tra bassa e alta tecnologia, la seconda soprattutto ad appannaggio dei più ricchi. L’ambientazione è suggestiva, sebbene io non sopporti le storie post-apocalittiche, ma la trama gira intorno a ben altro e quindi questo aspetto non ha avuto influenze negative sul mio giudizio. Nonostante ci troviamo di fronte a situazioni ben diverse da quelle dei soliti libri di Hamilton, il suo stile è riconoscibilissimo nell’estrema complessità della trama, la descrizione disinvolta di situazioni erotiche raccontate come qualcosa di naturale, le sue lunghe scene che ti tengono incollato alle pagine del libro, il suo linguaggio ricercato che ti costringe a concentrarti al massimo nella lettura, il finale che riesce a strapparti un sorriso. Si tratta del primo romanzo di Hamilton, primo di una trilogia che continuerò presto a leggere. In un certo senso l’ho apprezzato anche di più della sua space opera, forse perché immaginare un futuro vicino mi ha dato più riferimenti nel presente e rende più semplice l’immedesimazione. I personaggi di Hamilton sono vivi e viene voglia di sapere di più su di loro. Inoltre si tratta di un thriller ambientato nel futuro con sfumature di transumanesimo, in altre parole un technothriller cyberpunk, ma molto contemporaneo, sebbene sia stato pubblicato vent’anni fa e qualche aspetto tecnologico sia leggermente sorpassato. Ma si differenzia da una certa astrusità di altri libri di questo sottogenere di dieci o più anni prima, rendendolo una lettura accessibile a un pubblico più vasto che prescinde anche la stessa fantascienza. Purtroppo il libro non è mai stato tradotto in italiano e la lettura in inglese richiede una buona conoscenza della lingua, vista la ricchezza del linguaggio usato dall’autore e il suo registro elevato. Ma può essere anche un’occasione per migliorare il proprio inglese. Infine l’edizione che ho letto, quella pubblicata in occasione del ventennale del romanzo (ogni copia è numerata e autografata dall’autore), contiene anche una novella precedentemente inedita riportata nella parte iniziale del libro, inserita cronologicamente alla fine della trilogia. Si tratta è un vero e proprio poliziesco, ma ambientato nel futuro e con un finale imprevedibile e politicamente scorretto, che definirei alla Hamilton e che lo fa distinguere da altre storie di questo genere.
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Di Carla (del 21/01/2015 @ 20:25:17, in Lettura, linkato 3818 volte)
Piacevole incontro ravvicinato con gli alieni più spietati del grande schermo
Ho un debole per i tie-in, lo ammetto. Ritrovare in un libro un’ambientazione già vista in un film o in una serie TV ha un che di rassicurante e semplifica le cose nel momento in cui ci si deve immaginare l’universo in cui la storia ha luogo o i suoi personaggi.
Questo tie-in della saga di “Alien” non fa eccezione. La storia di “Dentro l’alveare” non ha niente a che vedere con le vicende di Ripley, può essere letta tranquillamente da chi non ha mai visto nessuno dei film, ma una persona come me che li ha visti (d’altronde chi tra gli amanti della fantascienza non li hanno visti almeno una volta?) si trova immediatamente a suo agio nell’immaginare le creature aliene in cui i protagonisti si imbattono, il futuro narrato nel libro, le astronavi, e lo stesso alveare del titolo. Il ricordo aggiunge quel qualcosa in più che ti fa godere la storia e ti dà l’impressione di assistere a un film.
Al di là di questo, la trama ben costruita narra di una spedizione molto illegale per recuperare la pappa reale prodotta dalla regina aliena di un alveare con lo scopo di rivenderla. Il protagonista in realtà è un malato terminale e usa questa sostanza anche per alleviare il sintomi della sua malattia, ritrovandosi spesso in stati alterati in cui il tempo sembra scorrere in maniere indipendente. La storia inizia sulla Terra e continua nello spazio fino al pianeta madre delle creature aliene. Azione, ironia, colpi di scena caratterizzano questo romanzo che scorre via veloce con grande divertimento di chi lo legge. O almeno io mi sono divertita parecchio a leggerlo, nonostante il finale un po’ malinconico ma perfettamente in linea con la serie di film iniziata da Ridley Scott.
L’edizione italiana è accettabile, fatta eccezione per i cronici problemi relativi ai refusi ed errori vari che caratterizzano i libri di Urania (e in generale le edizioni supereconomiche). Tutto considerato è comunque una lettura che consiglio se si vuole passare qualche piacevole serata braccati dagli alieni più spietati del grande schermo.
Di Carla (del 15/01/2015 @ 17:28:22, in Lettura, linkato 2853 volte)
Chick-lit divertente e arguto
Nel mio girovagare tra i generi letterari mi sono imbattuta in questo chick-lit un po’ fuori dagli schemi.
L’impatto con la storia non è facile. Si apre con un prologo del tutto inutile, poiché anticipa una scena che si vedrà nella seconda parte del libro. È stato messo lì per attirare la lettrice (eh, sì, è un libro da donne!) e compensare con il vero inizio che forse è un po’ lento. Il problema è che purtroppo rivela qualcosa su come si svolgerà la storia, per questo motivo consiglierei di saltarlo a pie’ pari.
Archiviato il prologo, che ho subito cercato di dimenticare, la storia mi ha subito incuriosita. La protagonista ci racconta del suo “piano” non ben definito per conquistare il suo capo, che pare invece non avere neanche idea della sua esistenza. Il tono è molto ironico. La struttura a diario, che all’inizio di ogni capitolo indica il giorno dal momento dell’assunzione e alcune frasi riassuntive che delineano la situazione, strappa più di un sorriso. Lo stile è caratterizzato da periodi brevi, anche di una sola parola, che riproducono bene il pensiero frammentario della protagonista. Sembra davvero di essere nella sua testa, di vivere le sue emozioni.
Il linguaggio è sempre garbato, mai volgare, anche in alcune lunghe scene intime, dove si fa largo uso di figure retoriche.
Storia forse non originale come trama generale, ma costruita in maniera sorprendente, con dei cambi di direzione inattesi. Il fatto che l’abbia letto in appena tre giorni, nonostante non si tratti di un romanzo brevissimo, conferma la capacità dell’autrice di tenere il lettore (lettrice) incollato alle pagine.
Una cosa che non mi è chiara è perché in alcuni siti venga catalogato come un romanzo erotico, quando non lo è affatto e, aggiungerei, per fortuna. Si tratta di un chick-lit stile “Sex and the City” neanche tanto esplicito.
Una lettura assolutamente consigliata.
Di Carla (del 25/11/2014 @ 22:22:48, in Lettura, linkato 2397 volte)
Finalmente Chase rivela un po’ di sé al lettore
Dopo i mini-racconti delle raccolte di “Cutting Right to the Chase” e l’intrigante novella “Into the Killer Sphere” finalmente arriva il primo vero romanzo che vede Chase Williams come protagonista. Il nostro ex-detective di Scotland Yard preferito si trova a indagare insieme all’amico ispettore Angelo Alunni su due omicidi in quel di Tursenia, che coinvolgono delle giovani promesse olimpiche. I due casi sono separati nel tempo e apparentemente indipendenti l’uno dall’altro, ma alcuni dettagli li collegano, dando luogo a un intricato mistero che metterà ancora una volta alla prova le doti investigative del nostro Chase.
In questo romanzo corposo, la Mattana coniuga il classico giallo britannico, quasi impossibile da risolvere, dove il lettore ha tutto davanti agli occhi ma non è in grado di collegare i fili, con una sottotrama accattivante che getta un po’ di luce sul passato del protagonista. Cosa è accaduto a Chase a Londra? Quale terribile fatto l’ha spinto a lasciare il suo lavoro nella Polizia Metropolitana di Londra per ritirarsi a vivere in un luogo quasi sperduto in Toscana?
Mentre l’investigazione va avanti, impareremo a conoscere meglio Chase e ad affezionarci a lui, e a soffrire un po’ insieme a lui. Il finale è assolutamente perfetto: appaga il lettore e allo stesso tempo lo lascia col desiderio di leggere altro.
La Mattana dimostra in questo romanzo la sua ottima capacità di gestire una trama complessa mantenendo il difficile equilibrio tra lo sviluppo della storia e l’introspezione dei personaggi, che prendono vita, escono dalle pagine del libro e diventano amici del lettore, tanto che questo si ritrova ad attendere con impazienza il momento di tornare a leggere il libro per passare un po’ di tempo con loro.
E, adesso che ho finito di leggerlo, non mi resta che attendere il prossimo della serie, sperando che l’attesa non sia troppo lunga.
Questo libro è in lingua inglese!
Di Carla (del 24/09/2014 @ 04:43:30, in Lettura, linkato 2593 volte)
Audace, inquietante, appassionante e… cattivo
C’è sempre una prima volta e questa è la mia nel recensire un romanzo erotico. Ma attenzione: come potete notare dal numero delle stelline, siamo di fronte a qualcosa di molto particolare.
Prendete un supereroe (il protagonista maschile), uno di quelli oscuri tipo Batman, ma con veri superpoteri ottenuti con dei trattamenti fantascientifici, ricco erede di scienziati, con una casa immensa e il fedele maggiordomo, ma immaginatelo cattivo, addirittura cruento, spesso senza controllo, che prova piacere nel fare del male, sebbene in genere (!) lo faccia solo nei confronti dei cattivi. Insomma, un personaggio a metà strada tra il bene e il male, decisamente un anti-eroe.
E poi c’è la protagonista femminile: la solita orfana, squattrinata, incasinata, un tantinello ingenua (ma solo all’inizio), ma una di carattere, combattiva, una che all’interno della storia ha una vera crescita.
Aggiungete nella miscela un po’ di sindrome di Stoccolma con tanto di abusi sessuali ed ecco a voi “Hero”.
Gli elementi presi singolarmente sono già visti, ma la loro combinazione è senza dubbio originale. Il genere sfuma tra erotico, dark romance e un po’ di azione, il tutto ben condito con una buona dose di introspezione. Se non vi fate spaventare dal contenuto (attenzione: la parte sugli abusi un tempo era correttamente segnalata nella descrizione del libro, ma adesso l’avviso è stato cancellato) e decidete di leggerlo, tenendo bene in mente cosa aspettarvi, be’ potreste apprezzarlo, soprattutto perché stiamo parlando di un libro scritto bene (per quanto la mia conoscenza dell’inglese mi permetta di valutare).
Ma veniamo ai dettagli. Cosa c’è di tanto positivo in questo libro da meritare addirittura cinque stelle?
Prima di tutto, a differenza di altri libri di questo genere, non ha né un prologo né un epilogo, che in genere non aggiungono niente alle storie, per cui è decisamente meglio che non ci siano.
Poi abbiamo, come dicevo sopra, l’originalità nel miscelare gli elementi creando qualcosa di abbastanza nuovo. I personaggi sono caratterizzati da una notevole profondità psicologica, che viene mostrata poco a poco, e vanno incontro a un’evidente evoluzione in questo senso, anche se non necessariamente in meglio. Questa evoluzione si sviluppa in maniera equilibrata durante tutto il libro, che è abbastanza lungo.
La prosa presenta una struttura ricercata e un linguaggio mai banale, che si mantiene di alto livello lungo tutto il libro.
Il doppio punto di vista nettamente suddiviso tra i due personaggi fa sì che siano entrambi ugualmente protagonisti. In questo senso le parti dal punto di vista di lui sono a mio parere le più interessanti, proprio per via dell’oscurità del personaggio, mentre quelle dal punto di vista di lei a tratti peccano di originalità.
Le scene erotiche sono pressoché tutte funzionali alla trama e non messe lì per fare numero, rischiando di far scendere il latte alle ginocchia al lettore (vabbe’, lettrice). Ma la vera forza del libro sono i dialoghi, che sono di notevole impatto emotivo, proprio perché tramite essi viene veicolato gran parte del conflitto che regge la trama.
Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte all’eccessiva cattiveria del protagonista maschile nei confronti di quella femminile (ci sono diverse situazioni davvero pesanti, volendo usare un eufemismo), ma l’autrice se la cava abbastanza bene introducendo una spiegazione fantascientifica, che in qualche modo riesce a giustificare questo lato oscuro e allo stesso tempo offre una risoluzione delle vicenda convincente.
Inoltre la storia si sviluppa nelle tempistiche giuste, nell’ordine di mesi e non di giorni, grazie alla lunghezza del libro, e ciò ne aumenta la credibilità nel trattare un argomento spinoso come la sindrome di Stoccolma.
Infine il romanzo si chiude con un finale aperto, per niente stucchevole. È vero che pare sia destinato a essere solo il primo di una serie di libri, ma apprezzo la scelta di chiuderlo lasciando la possibilità al lettore di immaginarsi cosa sarebbe successo dopo, senza raccontarlo.
Per completezza devo dire che a questo romanzo segue una novella, che però non raggiunge lo stesso livello di qualità, ma pare più un elemento di transizione verso un romanzo successivo, che deve ancora uscire.
Chiaramente esistono anche degli elementi negativi e non posso evitare di citarli. In particolare trovo deprecabile la scelta di usare due punti di vista entrambi in prima persona. C’è poco da fare: creano confusione. Lo so che moltissime autrici di questo genere fanno uso di questa tecnica a mio parere discutibile, ma proprio perché la usano tutti si dovrebbe provare a fare qualcosa di diverso. Se non ci si vuole avventurare in strutture narrative complesse, si può sempre ricorrere alla cara vecchia terza persona limitata vicina, che, costringendo l’autore a dire il nome del personaggio del punto di vista all’inizio del capitolo o scena, evita di scriverlo in un titolo (altra pratica fastidiosa) ed evita qualsiasi tipo di confusione durante la lettura da parte del lettore.
Infine devo criticare la descrizione del libro che svela subito l’identità del protagonista maschile. È uno spoiler a tutti gli effetti. Sarebbe stato molto meglio se il lettore l’avesse scoperta leggendo il libro, in cui viene rivelata solo quando la stessa protagonista femminile la scopre (intorno a un quarto della storia). Per questo motivo, se mai aveste intenzione di provare questo libro, magari scaricandone l’anteprima, non leggete la trama, perché altrimenti vi rovinate la sorpresa.
Questo libro è scritto in lingua inglese!
Di Carla (del 11/09/2014 @ 21:53:20, in Lettura, linkato 4149 volte)
Lettura casuale rivelatasi gradevole
Questo libro rientra sicuramente nelle letture casuali. Non ricordo come sono approdata alla pagina del prodotto su Amazon, comunque l’avevo preso poiché era gratuito (credo che lo sia sempre). Con delle premesse del genere non ti aspetti un granché ed è per questo che gli do cinque stelle: supera senza dubbio le aspettative.
La storia è una miscela di thriller, intrigo, romance e umorismo, in altre parole il genere è romantic suspense. Abbiamo la protagonista, Sinclair, che è una parrucchiera, il suo amico gay Jesse, il fratello di quest’ultimo Reed (ovviamente molto affascinante) e uno stalker che perseguita appunto la protagonista a sua insaputa. Ovviamente il bello di turno è ricchissimo, mentre lei è la cenerentola della situazione. Ovviamente lui ha una fidanzata e dei genitori spregevoli, in particolare il padre. Ovviamente finisce tutto bene.
Insomma tanti cliché. Eppure mi è piaciuto. Gli elementi sono giocati bene, la storia è gradevole e divertente. Una lettura rilassante.
So che ne esiste anche una versione tradotta in italiano, ma, da quello che leggo nelle recensioni, la traduzione non è delle migliori.
Di Carla (del 07/09/2014 @ 23:38:24, in Lettura, linkato 4098 volte)
Voltapagine di nome e di fatto
Una cosa che mi ha piacevolmente colpito di questo libro è l’estrema bellezza della prosa, che si trasferisce altrettanto bene nella traduzione italiana. Mi ci sono imbattuta per caso e sono rimasta folgorata dal meraviglioso suono che sembrava quasi provenire dalle parole scritte. Devo ammettere che questo aspetto, unito al fatto che nel particolare momento in cui l’ho letto ero proprio in cerca di una lettura del genere, è riuscito a sopperire a qualche altro che ho meno gradito, tra cui devo annoverare la trama che non era esattamente nelle mie corde, anche se poi, andando avanti con la lettura, l’ho trovata a tratti molto divertente.
Il personaggio della madre del protagonista è un tantinello stereotipato e sopra le righe, fino a tendere un po’ alla bidimensionalità, come tutti quelli femminili in questo romanzo, mentre quelli maschili funzionano decisamente meglio.
Forse un altro aspetto che mi ha lasciato perplessa è stata la sensazione di incompletezza che ho ricavato alla fine della lettura. C’è tanta carne sul fuoco per sviluppare una storia molto più lunga e complessa, ma, proprio quando le cose iniziano a prendere vita, la storia finisce, lasciando l’amaro in bocca. Mi sono chiesta cosa ne sarebbe stato del protagonista e degli altri personaggi principali. Mi sono domandata quale fosse la motivazione dietro il libro, cosa l’autore avesse voluto davvero raccontare. Ho avuto l’impressione che si sia limitato a offrirci uno sguardo in un mondo, quello della musica classica (e tutte le faccende umane che vi girano intorno), senza che avesse realmente l’intenzione di mostrarci un percorso che andasse verso una fine.
C’è anche da dire che talvolta è meglio chiudere una storia senza completarla che dare a essa una fine che scada nella banalità. Anche per questo motivo, il finale estremamente aperto, seppure da una parte sembrerebbe una mancanza, forse potrebbe trasformarsi in pregio.
Di certo il titolo è azzeccato: è un vero “page-turner” (letteralmente appunto voltapagine), cioè un libro da cui è difficile staccarsi e che si legge in un lampo, anche perché non lunghissimo.
Di Carla (del 25/08/2014 @ 01:21:13, in Lettura, linkato 3324 volte)
Una lettura impegnativa ma non ricompensata dal finale
Non ho un rapporto felicissimo con la narrativa cyberpunk o è più corretto dire che finora solo raramente sono riuscita a trovare dei libri di questo sottogenere della fantascienza che mi fossero congeniali. Non credo che sia colpa del cyberpunk, che anzi affronta tematiche decisamente sfiziose, ma piuttosto immagino di essermi imbattuta in qualche libro sbagliato. “Criptosfera” è in gran parte uno di essi, per quanto nel complesso non mi sia dispiaciuto.
Non parlerò della trama in questa recensione, poiché forse la cosa più bella è immergersi nell’universo creato dall’autore senza sapere nulla e lasciarsi meravigliare dai prodigi partoriti dalla sua fantasia. Preferisco concentrarmi su come è scritto e cercare di capire perché non mi sia piaciuto del tutto.
Ho apprezzato le scelte compiute da Banks nell’uso delle tecniche narrative, ma non del tutto come le ha messe in pratica. Portare avanti dei filoni separati di una storia per farli ricongiungerle è una bella sfida. Purtroppo ciò impedisce di fornire al lettore un protagonista ben definito. Ognuno dei personaggi principali dei singoli filoni ha tutto ciò che serve per essere apprezzato dal lettore, ma il modo frammentario con cui viene presentato gli fa perdere la speciale connessione che si crea tra questo e il protagonista o un altro personaggio principale al quale il lettore tende ad affezionarsi. Ciò è accentuato dal fatto che alcuni di questi personaggi sono pochissimo approfonditi, sono quasi evanescenti. Si ha la costante sensazione di leggere in parallelo delle storie separate, quasi dei libri diversi ambientati nello stesso universo, ma non tutti dello stesso livello di qualità. Ciò tende un po’ a disorientare, soprattutto all’inizio della lettura, ma poi le cose migliorano, soprattutto se come me si è abituati a fare delle letture parallele e riuscire a tenerle vive allo stesso tempo nella propria mente.
Altro elemento di difficoltà è dato dalla scelta di raccontare la storia narrata da Bascule, uno di questi personaggi principali, usando un’ortografia di tipo fonetico (sto parlando di circa un quarto dell’intero romanzo). È necessario sentire le sue parole nella mente per poterle capire. Sicuramente è una scelta coraggiosa e molto originale. Al lato pratico, però, io che amo leggere anche per migliorare l’uso della lingua (che sia l’italiano o altra lingua in cui leggo) l’ho trovata semplicemente fastidiosa e me ne rammarico, poiché il personaggio di Bascule è il meglio tratteggiato di tutto il romanzo, anche perché racconta la sua storia in prima persona e lo fa con una notevole ironia.
Al di là di questi aspetti, come dicevo, il modo in cui la storia viene narrata non mi è del tutto dispiaciuto. Durante la lettura si iniziano a scorgere i collegamenti tra i vari filoni e si crea una sensazione di attesa per un finale che promette grandi rivelazioni.
E qui nasce il problema principale. Dopo una serie di scene d’azione avvincenti si arriva di colpo al finale che pare sbucare dal nulla, senza risolvere assolutamente nulla!
Purtroppo un buon libro con un finale che non funziona, per quanto mi riguarda, smette di essere buono. Peccato.
Una nota sul traduttore: merita sei stelle, se non altro per la capacità che ha avuto di decifrare la parte di Bascule in “inglese” e trasferirla degnamente in “italiano”.
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