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 Malta... di Carla
 

“Non avevo mai ucciso qualcuno prima d’oggi.”
Affinità d’intenti

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 05/09/2012 @ 02:49:01, in Lettura, linkato 3802 volte)

 Divertente e veramente… spaziale
 
Ho una particolare predilezione per la space opera, soprattutto laddove gli autori mettono grande cura nel creare in maniera dettagliata un universo complesso e credibile. Un libro con viaggi interstellari, situazioni d’azione, personaggi caratterizzati da ironia e coraggio ha già ottime probabilità di piacermi. Se poi la storia è carina ed è ben scritto, allora mi conquista.
Questo è il caso di “Galassia nemica” di Allen Steele, una vecchia conoscenza di questo sottogenere della fantascienza. La sua produzione letteraria comprende un buon numero di libri inseriti nella stessa linea temporale, ma indipendenti l’uno dall’altro, per cui li si può leggere in qualsiasi ordine e, una volta ambientati nel suo universo, ci si muove con disinvoltura concentrandosi quindi sulla trama.
La storia di “Galassia nemica” è avvincente, perché, come succede dei buoni libri, non sai cosa aspettarti dalla pagina successiva e, per questo, continui ad andare avanti. Il protagonista è simpatico, non si prende troppo sul serio e più di una volta ti fa scappare una risata durante la lettura. L’ambientazione, pur essendo fuori della realtà a cui siamo abituati, è comprensibilissima per merito dell’autore, che accosta immagini eccezionali ad altre molto più comuni e nelle quali è possibile riconoscersi. Il ritmo è incalzante e anche la parte tecnologica è molto credibile (nell’ambito della sospensione dell’incredulità).
Insomma, un bel libro.
E per una volta devo dare merito a Urania di averlo pubblicato in Italia.
 
 
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
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http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
 
Di Carla (del 30/08/2012 @ 22:45:16, in Lettura, linkato 3662 volte)
More about La giustizia di Iside


 Originale ed esteticamente bello, ma porta alla distrazione
 
 
Romanzo molto particolare. Si tratta del secondo di una serie ambientata in un Egitto alternativo, a metà strada tra l’argomento storico e la fantascienza. In esso si mescolano luoghi e usanze dell’antico Egitto ed elementi fantasy, presi in prestito dalla religione egizia, a tecnologie fantascientifiche e pseudoecologistiche. Ne esce fuori un mondo pieno di contraddizioni e fortemente anacronistico, ma non privo di un certo fascino.
All’autrice, Clelia Farris, si deve riconoscere l’enorme fantasia che, unita a una certa conoscenza della storia e religione egizia, è stata in grado di concepire questo universo dall’indubbia originalità.
Molto particolare è anche il suo stile, fortemente costruito, elaborato, ricco di figure allegoriche, in cui si fa ampio uso di sensi inusuali per descrivere la realtà in cui si muovono i personaggi, cioè olfatto, tatto, perfino gusto. Questa scelta tende a trasmettere un’immagine quasi misteriosa delle scene mostrate.
Dovendo giudicare il romanzo, solo tenendo conto di questi due aspetti, cioè stile e ambientazione, non posso che considerarlo originale, quasi geniale, ed esteticamente molto bello.
Il problema, però, è che un romanzo deve anche raccontare una storia, che sappia emozionare i lettori e tenerli attaccati alle pagine, per sapere come andrà a finire, tanto più che questo libro sembra avere le caratteristiche di un thriller, o addirittura di un vero e proprio poliziesco. Infatti ci sono degli omicidi, c’è una squadra che investiga e alla fine si scopre il colpevole.
Nel leggerlo, però, succede una cosa strana: ci si distrae.
Lo stile bello, ma a volte criptico, non permette di visualizzare le scene e i personaggi, o meglio permette di farlo solo grazie a un certo sforzo da parte del lettore. Il risultato è che più volte mi sono ritrovata a tornare indietro e rileggere, perché semplicemente avevo perso il filo, avevo iniziato a pensare ad altro, perdendo la concentrazione nei riguardi della storia.
In poche parole la storia non riusciva a prendermi.
Ho cercato di capire quali fossero le cause delle mie distrazioni, a parte lo stile, al quale pian piano si finisce per abituarsi e diventa più facile da seguire.
C’è da dire che non ho letto il primo romanzo (“La pesatura dell’anima”), ma non penso che ciò abbia influito, in quanto mi sono documentata su di esso, per comprendere meglio l’ambientazione in cui mi stavo immergendo. Dal punto di vista della trama questo romanzo è indipendente rispetto al precedente, quindi non credo che sia questo il motivo.
Una causa può essere il fatto che io sono un’egittofila, cosa che poi mi ha spinto a leggere il libro, e mi sono trovata più volte a storcere il naso di fronte a certe scelte dell’autrice, come quella di un Egitto in cui il popolo si sia ribellato contro la dinastia, creando un governo rivoluzionario. Una storia del genere, che costituisce il background in cui si muove il romanzo, diverge moltissimo dall’idea che un egittofilo si fa della civiltà egizia (e da cui proviene gran parte del suo fascino), dove i faraoni erano venerati, ma soprattutto amati senza alcun tipo di costrizione, e visti come servi dell’Egitto e non come suoi padroni.
Okay, questo è un romanzo distopico e quindi si può fare quello che si vuole, ma non siamo tutti costretti a farcelo piacere.
Ma il motivo principale delle mie perplessità non è neppure questo. L’impressione generale che ho avuto è di una storia piena di tante di quelle cose, così da distrarre il lettore dalla stessa trama. Ci sono tante scene, belle e poetiche, che però non fanno avanzare la trama, ma la rallentano, la interrompono. Ci sono tanti personaggi, su cui l’autrice si è soffermata parecchio, ma alla fine nessuno di loro, nemmeno la protagonista, riesce a convincermi del tutto. L’(ab)uso dei sensi alternativi e delle figure allegoriche per la descrizione degli ambienti di fatto il più delle volte non permette di “vedere” la scena. Il coinvolgimento di più sensi dovrebbe arricchire questo aspetto, ma non se questo avviene a discapito dei sensi principali: vista e udito. Oppure laddove c’è una vera descrizione oggettiva di un ambiente, essa è talvolta ridotta a un freddo elenco.
Inoltre la parte per così dire poliziesca è un po’ dispersiva. Il cattivo di turno è evanescente, si ha l’impressione che non abbia nessuna importanza. Non si capisce esattamente quale sia il motore della storia: gli omicidi, gli scambi dell’anima o i cambiamenti fatti dalla protagonista nell’ambito sua vita? Forse tutti, ma nessuno di essi sembra mosso da motivazioni credibili.
Alla fine è forse una faccenda di credibilità.
O magari solo di gusti.
Voglio inoltre aggiungere un piccolo appunto all’eccessivo uso di terminologie “tecniche”, che insieme ai nomi, spesso difficili da ricordare, spezzano il ritmo del racconto. L’idea di mettere un glossario è buona. Peccato, però, che il suo eventuale uso, spesso poco agevole, non sia altro che un ulteriore fonte di distrazione durante la lettura.
 
 
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Di Carla (del 29/08/2012 @ 04:38:37, in Lettura, linkato 3887 volte)
More about Self-Editing for Fiction Writers, Second Edition

 
 Un testo indispensabile per qualsiasi scrittore

Ci sono molti libri che parlano di scrittura. Ognuno di loro, a suo modo, può essere utile allo scrittore di fiction (che siano romanzi, novelle o racconti), poiché gli permette di riflettere sulle mille sfaccettature del suo lavoro. Ma c’è un libro in particolare sulla scrittura che credo qualsiasi scrittore debba leggere e consultare tutte le volte che inizia il lavoro di riscrittura. Si tratta proprio di “Self-Editing for Fiction Writers”.
Questo libro è una vera e propria guida passo passo che fornisce allo scrittore, qualunque sia la lingua in cui scrive, le basi stesse del processo di editing.
In ogni capitolo si affronta un particolare argomento e viene mostrato, tramite brani tratti da scritti più o meno famosi, il modo per individuare i problemi, relativi ad esso, nel proprio testo, in modo da poterli correggere. Per facilitare il lavoro, alla fine di ogni capitolo è riportata una checklist con una serie di domande e punti da controllare prima di andare avanti.
Gli argomenti proposti sono: 1) differenza tra raccontare e mostrare; 2) caratterizzazione ed esposizione; 3) punto di vista; 4) come funzionano i dialoghi; 5) voce dei personaggi; 6) monologo interiore; 7) uso dei “beat” nei dialoghi; 8) paragrafazione; 9) ripetizioni; 10) proporzioni; 11) sofisticazioni e infine 12) voce dell’autore.
Analizzando i singoli capitoli, non solo si migliora il testo su cui si sta lavorando, ma si capiscono più a fondo i meccanismi della scrittura e di conseguenza si impara a scrivere meglio. Ci vuole pratica, ma questo libro è scritto in maniera talmente chiara che l’assimilazione dei concetti avviene in modo semplice, senza grandi sforzi.
Qualcuno potrebbe pensare che un libro del genere non vada bene per un autore che scrive in una lingua diversa dall’inglese, in realtà “Self-Editing for Fiction Writers” si concentra su argomenti universali riguardanti l’editing. E anche laddove fa dei riferimenti specifici alla lingua inglese, per essi esiste sempre (o quasi) il corrispondente italiano (per esempio l’uso degli avverbi in –ly/-mente o dei verbi in –ing/al gerundio).
In realtà ciò che mi ha veramente stupito di questo libro è il fatto che non sia mai stato tradotto nella nostra lingua, ma anche in generale che non esista nessun libro in italiano che tratti in maniera così sistematica e lineare l’argomento dell’editing, quasi che si voglia lasciare gli scrittori italiani nell’ignoranza. Fortunatamente non serve una conoscenza esagerata dell’inglese per comprendere questo testo molto semplice.
Infine un punto assolutamente in favore è il prezzo contenuto (circa 7 euro la versione Kindle, meno di 9 euro in cartaceo) rispetto ad altri libri simili, ma molto meno utili di questo.
Lo consiglio vivamente a tutti gli scrittori, ma in particolare agli autori indipendenti e a tutti coloro che vorrebbero diventare degli editor (e magari anche a chi fa già questo lavoro).


Self-Editing for Fiction Writers (formato Kindle) e Self-Editing for Fiction Writers (cartaceo) su Amazon.it.
Self-Editing for Fiction Writers (formato Kindle) su Amazon.com.
Questo libro è in lingua inglese!

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Di Carla (del 27/07/2012 @ 17:02:51, in Lettura, linkato 3868 volte)


 Storie da vivere, e talvolta vissute

Non sono di certo una grande lettrice di racconti, essenzialmente perché amo le storie complicate ed è raro che qualcosa del genere possa trovarsi in uno scritto breve. Nonostante ciò mi sono cimentata nella lettura di questa raccolta di Giovanni venturi, che include 15 racconti né troppo corti né troppo lunghi. Il tanto giusto da accompagnarti in una piacevole lettura, quando si ha il tempo di rilassarsi un po' e non si vuole affrontare testi troppo impegnativi. È successa però una cosa strana: mi sono ritrovata a leggerli quasi tutti in una volta sola, catturata dallo stile scorrevole e coinvolgente dell'autore, ma soprattutto dalla grande varietà delle storie. Ce n'è davvero per tutto i gusti. Alcuni racconti fanno ridere, altri fanno riflettere, altri ancora sorprendono. La scrittura è fresca e accattivante. Le storie raccontate appaiono vere in ogni loro aspetto, persino quella de "Il lampione", il cui protagonista è appunto un lampione! Punti di vista tra i più vari, emozioni intense, gioie, dolori, nostalgia sono tutti ingredienti di "Deve accadere".
Nella lettura si nota che le storie sono frutto di periodi diversi della vita dell'autore, che passa con disinvoltura da temi adolescenziali ad altri ben più maturi. Ognuna di esse, però, ha un'anima distinta e pulsante, che colpisce, qualunque siano età ed esperienze del lettore.
Una doverosa nota va fatta a proposito di "23 novembre 1980", che, apprendiamo dalle note del libro, racconta una storia vera, quella del terremoto in Irpinia vissuto e riferito da un bambino, lo stesso Venturi. Qui il coinvolgimento del lettore raggiunge il massimo. La descrizione di fatti così tragici tramite l'innocenza e la fantasia dell'infanzia viene attenuata, trasformandolo verso la fine in uno dei racconti dai toni più positivi dell'intera raccolta.
Potrei restare qui a commentare ogni singola storia, ma preferisco non rovinare ai futuri lettori la sorpresa di scoprirle una per una leggendole.
Vivamente consigliato.

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Di Carla (del 18/05/2012 @ 03:11:14, in Lettura, linkato 6336 volte)
More about Burton racconta Burton

 
 Tim nel paese delle meraviglie

Dire che Tim Burton è un genio visionario del cinema si avvicina sicuramente alla verità, ma se si vuole avere un'idea di tutto ciò che si cela dietro il lavoro di questo regista/autore/disegnatore, il libro "Burton racconta Burton" è senza dubbio una buona base di partenza.
Ho amato questo regista dalla fine degli anni '80, esattamente dall'89, quando uscì "Batman", film che ha permesso anche a noi, che stiamo da questa parte dell'oceano, di conoscerlo. Da allora in poi ho seguito la sua carriera passo passo, tornando anche indietro a vedere il suo precedente "Beetlejuice", che è tuttora il film che ho visto più volte in assoluto (ho perso il conto intorno a quota 40), sia in italiano che in lingua originale e che di tanto in tanto riguardo con piacere.
Mi ha fatto commuovere con "Edward Mani di Forbice", in cui c'è stato il mio (e il suo) primo incontro con Johnny Depp, mio attore preferito da oltre 20 anni. Mi ha divertito con film come "Mars Attacks!", "Ed Wood" e "Il mistero di Sleep Hollow", mi ha entusiasmato con "Batman", "Batman - Il ritorno" (un po' meno del primo) e il recente "Dark Shadows" (a cui dedicherò un post a parte), mi ha fatto meravigliare con "La Sposa Cadavere", "Nightmare before Christmas", "Alice in Wonderland", mi ha intrigato con "Sweeney Todd". In alcuni casi non mi ha convinto del tutto, come in "Il Pianeta delle Scimmie". Altri suoi film non li ho visti affatto sia per scelta, "Big Fish" e "La Fabbrica di Cioccolato", che per mancanza di opportunità, "Pee Wee's Big Adventure", ma prima o poi li vedrò.
In ogni caso è senza dubbio il mio regista preferito. Nei suoi film, se da una parte si può vedere il suo tocco e la presenza ricorrente di certi temi, esiste però una notevole varietà di generi. Abbiamo il fantastico, la commedia paranormale, il supereroe, la fantascienza, l'animazione, il musical, la favola per bambini, il giallo, la biografia. Ce n'è per tutti i gusti.
Leggendo questo bellissimo libro, in cui lo stesso Burton racconta se stesso nelle varie fasi della sua carriera e della sua vita, si riesce a capire veramente a cosa sia dovuta questa varietà e che cosa allo stesso tempo renda i suoi film "burtoniani". Si scopre come spesso sia arrivato a fare un film quasi per caso e come in altre occasioni si trattasse di storie create da lui e da lui stesso fortemente volute, a costo di lunghe attese.
Burton ci racconta la genesi spesso inusuale di certi film, come "Nightmare Before Christmas", la cui storia venne scritta passo passo con la creazione della colonna sonora. Ci parla del suo sodalizio con Johnny Depp, con Danny Elfman e con altri collaboratori che hanno lavorato spesso con lui. Ci mostra il mondo spesso spietato di Hollywood, al quale ha sempre cercato di non piegarsi, sostenendo di voler fare solo ciò che sentiva nelle sue corde, perché tutto il resto non era semplicemente in grado di farlo. Ci rivela l'uomo dietro il regista, da ragazzino "particolare" a talentuoso disegnatore, fino a (quasi casualmente) regista.
Ciò che emerge è senza dubbio la sua enorme fantasia unita a una forte volontà di trasformarla in realtà.
Questo libro è a mio parere una vera ispirazione, per tutti coloro che hanno un talento artistico e vogliono trovare il modo di utilizzarlo al meglio, senza scendere a compromessi. Ma è anche soltanto la vita di un uomo, la semplicità del quale appare evidente da come parla e da quello che dice. Lui non si sente e non vuole essere una celebrità. Vuole solo portare in vita i suoi personaggi e le sue storie. È un artista vero.
Da fan ed esperta di Tim Burton, nel leggere questo libro, ho sperimentato quasi un viaggio nel tempo, ripercorrendo insieme a lui i periodi in cui ha lavorato ai suoi film. Ma credo che "Burton racconta Burton" sia un'ottima lettura anche per l'amante del cinema in generale, poiché offre una prospettiva privilegiata nei confronti di questo mondo, da cui molti sono affascinati.
Ottimo il lavoro del curatore, Mark Salisbury, che ha messo sapientemente insieme i testi tratti dalle varie interviste, intermezzandoli con interessanti spiegazioni. Infine devo fare una nota alle due prefazioni scritte da Johnny Depp, che hanno aggiunto al tutto un po' di colore, raccontandoci Burton da un punto di vista diverso, quello di un amico, che ha condiviso (e tuttora condivide) con lui la parte più importante della sua carriera di attore.

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Di Carla (del 12/05/2012 @ 07:50:28, in Lettura, linkato 2922 volte)


 Azione e divertimento

Ho iniziato a leggere questo libro senza sapere esattamente di cosa trattasse, ma già dalle prime righe mi ha catturato. L'incipit è quasi traumatico. Tutto avviene in un unico lungo periodo e a quel punto devi andare avanti per sapere cosa accadrà dopo.
La storia è quella di un americano che si trova costretto a lavorare per una banda messicana che traffica droga attraverso il confine con gli Stati Uniti. Si vede l'ascesa del personaggio da uomo comune, che deve fare tesoro delle proprie conoscenze per rendersi indispensabile al suo nuovo "capo", evitando così la propria morte e quella di sua figlia, a trafficante esperto e criminale senza scrupoli.
Il ritmo è quello di una storia d'azione, ma la suspense è tipica di un thriller. Nell'accompagnare il personaggio verso la sua discesa all'inferno ci si chiede sempre più come farà a uscire da quella situazione, venendo di tanto intanto sconfessati nelle nostre teorie dall'ennesimo colpo di scena.
Lo stesso titolo "Borderline Case" ha il doppio significato di caso di confine e caso di un paziente borderline, sottolineando la doppia lettura della storia.
Nonostante sia raccontato in terza persona, di fatto il romanzo segue quasi esclusivamente il personaggio principale, Eric, a eccezione di alcune scene, in questo modo lo si finisce per conoscere alla perfezione e simpatizzare per lui. Gli altri personaggi sono quasi tutti descritti in maniera abbastanza superficiale, forse volutamente per non distrarre troppo il lettore dal problema principale (la sopravvivenza di Eric) e fare in modo che non se la prenda troppo nel caso in cui facciano una pessima fine. Cosa che accade spesso.
Se fosse un film visto al cinema, direi che il biglietto è costato veramente poco, se il prezzo viene diviso per il numero di morti. E questo aspetto, se si parla di traffici di droga e soprattutto azione, è senza dubbio positivo.
Davvero un'eccellente lettura.

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Di Carla (del 22/04/2012 @ 13:33:29, in Lettura, linkato 6202 volte)


 Alla riconquista dell'Egitto

Leggere un libro di Jacq è come visitare un vecchio amico. Sebbene le storie siano diverse, le atmosfere, il carisma dei personaggi, i sentimenti descritti e la loro fierezza convergono nel raccontarci la personale visione che l'autore ha dell'antico Egitto, un po' mitica, un po' magica e po' storica.
La figura del faraone nubiano, per quanto si discosti in origini e indole da quella tanto celebrata di Ramses o a quella dei faraoni della trilogia de "La regina libertà", finisce inesorabilmente per conformarsi all'immagine maestosa, fiera e allo stesso tempo divina dei suoi predecessori, raggiungendo la loro stessa credibilità, così come avviene per la sua regina. Accanto a lui si sviluppano tutta una serie di personaggi, che a loro volta ricordano quelli già visti in altri libri.
Nonostante il ripetersi di questo schema nella maggior parte dei suoi romanzi, la storia non annoia, in quanto l'autore trova sempre nuovi espedienti per raccontarcela e soprattutto mostrarci gli aspetti più sconosciuti di questa grande civiltà del passato che da sempre affascina l'immaginario dei lettori.
Ci si immerge in un mondo in cui la magia è reale, governato da valori imprescindibili, dove l'onore e l'impegno preso valgono più di qualsiasi altra cosa, che sia nei confronti di una persona o dell'intero Egitto. La prosa di Jacq e le parole dei suoi personaggi sono caratterizzati da una poesia che sa di un passato glorioso e che grazie ad esse ridiventa attuale. Ci ritroviamo così a vivere nella valle del Nilo, a combattere al fianco del suo faraone per riconquistare questa terra sacra e riportare Maat nel cuore e nella vita dei suoi abitanti.
Le pagine scorrono leggere in questo bellissimo sogno e, quando arriviamo all'ultima, non possiamo che chiudere il libro con un ampio sorriso.

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Di Carla (del 13/04/2012 @ 07:47:21, in Lettura, linkato 2954 volte)


 Perché?

Questa semplice domanda mi aleggiava in testa durante tutta la lettura del romanzo. Seguivo le vicende ripetitive e dolorose di questo protagonista senza nome, tempo o luogo preciso (un transessuale sado-masochista) e mi chiedevo dove l'autore volesse andare a parare.
 Sicuramente riesce a colpire il lettore con il suo linguaggio crudo nel descrivere alcune scene, ma il coinvolgimento si perde più volte durante le pagine e pagine di monologo interiore, in cui il protagonista letteralmente vomita tutto il suo disagio psicologico. E qui fa capolino la noia.
 Eppure ci sono delle belle scene, soprattutto nei flashback, dove succede qualcosa, dove le emozioni dei personaggi giungono nitide al lettore, senza che vengano inutilmente spiegate, in altre però le continue interruzioni del pensiero del protagonista diventano irritanti. I ricordi inoltre non riescono a chiarire del tutto cosa porti esattamente il personaggio alla condizione in cui si trova al tempo della narrazione. Si ha la sensazione che continui a mancare qualche tassello.
 A ciò vanno aggiunti degli eventi che neppure la sospensione dell'incredulità può spiegare, tipo omicidi impuniti, equipaggiamenti da CIA nelle mani di una cassiera che va matta per il gossip e nel contempo fa lunghi monologhi usando un linguaggio che non sembra calzarle per nulla (forse perché non lo farebbe con nessuno). Per non parlare della totale assenza di persone almeno vagamente normali in tutta la storia, giusto per dare un minimo appiglio realistico, a cui il lettore posse ancorarsi.
 Arrivati verso la fine si spera se non altro in un cambiamento. In fondo se si racconta una storia sotto forma di romanzo, qualcosa deve pur succedere.
 E invece no.
 Ci sono i pressupposti per il cambiamento, ma il protagonista ci rinuncia e decide (non si capisce bene perché) di continuare a "vivere" in quel modo.
 È normale che poi alla fine uno si chiede il perché di tutto ciò. L'unica spiegazione che mi viene in mente è che l'autore abbia scritto questo romanzo divertendosi a mischiare le carte e a presentare vicende del tutto improbabili, proprio per spiazzare il lettore.
 Di certo è riuscito in questo intento, ma siamo sicuri che questo sia piaciuto al lettore?
 A me non particolarmente. Mi ha lasciato per lo più perplessa.
 Spero non me ne voglia l'autore.
 Mentre leggo le ultime righe, però, ecco che arriva l'illuminazione. Immagino di sfrondare pagine e pagine di concetti ripetuti e monologhi interiori, di ridurre all'osso i dialoghi, e ottenerne una bella novella di un'ottantina di pagine o magari un racconto ancora più piccolo.
 Così avrebbe avuto un senso.

 Una breve nota sull'edizione. A parte i numerosi refusi, non capisco alcune scelte di punteggiatura sul discorso diretto. Non so se dovute all'autore o all'editor.
 Lo stile del primo, se non altro, è interessante.

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Di Carla (del 06/04/2012 @ 06:35:29, in Lettura, linkato 4851 volte)
More about The Case for Mars


 Ma perché non siamo ancora andati su Marte?

È la domanda che mi è sorta spontanea più volte, leggendo questo saggio originariamente datato 1996. Sono passati 16 anni e ancora nessun uomo è arrivato su Marte, né se ne parla come una cosa che avverrà in tempi brevi. Eppure, leggendo questo libro del fondatore della Mars Society, la tecnologia per arrivarci, esplorarlo e tornare indietro c'è già. Anzi, c'era già 16 anni fa.
Ma allora perché siamo ancora tutti qui?
Bella domanda, ma ad essere bello è ancora di più questo libro, che è assolutamente un must per qualsiasi amante dell'astronomia e anche della fantascienza.
Tempo fa avevo letto "First Landing" dello stesso autore. Quella volta si trattava di un romanzo, ma che immaginava una missione sul pianeta rosso utilizzando la tecnologia effettivamente esistente al tempo (per la cronaca il romanzo è stato pubblicato nel 2001).
In questo saggio invece Zubrin affronta l'argomento da un punto di vista più tecnico, ma non per questo meno godibile. La mole di informazioni fornite è davvero enorme. Va da quanta energia serve per lasciare l'orbita terrestre, a come produrre carburante, acqua e ossigeno su Marte, passando per la costruzione di serre sul pianeta (per coltivare le piante), per i costi dei terreni durante la colonizzazione, fino addirittura alla terraformazione.
Nel leggerlo si realizza veramente che siamo di fronte a un pianeta molto simile alla Terra, sebbene più piccolo, relativamente molto vicino, ricco di risorse e di conseguenza con tutte le caratteristiche necessarie non solo per essere colonizzato, ma anche per essere trasformato in tempi umani in un luogo ben più confortevole, più simile al nostro pianeta. Inoltre ci si rende anche conto di come una conquista del genere avrebbe delle ripercussioni enormi sullo sviluppo della civiltà umana, sia sulla Terra, che in prospettiva di una nostra ulteriore conquista dello spazio.
Vengono anche affrontati tutta una serie di argomenti di natura socio-politica, poiché questo libro oltre a informare ha lo scopo di fare propaganda per spingere chi ha il potere per farlo a trasformare questi progetti in realtà.
Può sembrare a prima vista come una battaglia contro i mulini a vento, vista l'enormità della faccenda, ma Zubrin ci spiega in maniera dettagliata (talvolta molto tecnica, ma sempre comprensibile), quanto la conquista di Marte sia del tutto alla nostra portata. Se siamo arrivati sulla Luna oltre 40 anni fa, in un ambiente a gravità zero, senza atmosfera, né risorse, caratterizzato da temperature estreme, e siamo tornati indietro con successo, perché Marte adesso continua a sembrarci così irraggiungibile? Il fatto che sia lontano non è un motivo sufficiente, visto che ci vogliono da sei a dieci mesi di viaggio per arrivarci. Sono più dei tre giorni per arrivare sulla Luna, ma in proporzione sono davvero pochi considerando che si parla di viaggiare attraverso 400 milioni di chilometri. Tutti gli altri timori, che Zubrin spiega uno dopo l'altro, non sono meno inconsistenti.
E allora perché non siamo ancora andati su Marte?
Questo libro non ha la risposta, ma è in grado di spiegarci in dettaglio come, prima o poi, ci andremo.

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Di Carla (del 31/03/2012 @ 04:25:58, in Lettura, linkato 4383 volte)


 Il tic. La pausa.

Molto legal e poco thriller, questo romanzo di Grisham torna dopo "L'ultimo appello" e "Innocente" a parlare di pena di morte e a denunciare il sistema giudiziario americano, degli stati in cui è ancora applicata, per il modo in cui viene di fatto usata a scopo politico e con eccessiva leggerezza.
Lo slogan riportato sulla copertina ("Un innocente sta per essere giustiziato. Solo un criminale può salvarlo") fa pensare erroneamente a un thriller, sebbene così venga definito. In realtà questa storia inventata, ma del tutto plausibile (ed è questo che fa paura), ancora una volta parla della gente, nel bene e soprattutto nel male. I suoi personaggi sono dannatamente reali, a iniziare da Travis Boyette, quello che confessa, che con i suoi tic e le sue pause, la sua personalità controversa di criminale con i sensi di colpa, perché qualcuno sta pagando per un suo reato, provoca nel lettore fastidio, disgusto, ma anche pena. Non è il classico cattivo, ma un personaggio che vive nella zona d'ombra tra la luce e il buio, qualcuno nel quale nonostante tutto ci si può immedesimare.
Qui si vede la bravura di questo scrittore, che con il raggiungimento di una fama stabile può prendersi la libertà di raccontare le sue storie, che come nella realtà non hanno un colpo di scena finale né un lieto fine. Ma sono vere, quasi più della realtà.
Per quanto la trama si sviluppi intenzionalmente in maniera lenta, saltando da un luogo all'altro, non si perde affatto la concentrazione, ma si rimane catturati da essa fino alla fine. E per quanto lasci l'amaro in bocca, allo stesso tempo c'è qualcosa di consolatorio, che ci fa chiudere il libro con un senso di soddisfazione. Quella che si prova solo dopo aver letto un buon libro.

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