Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Sono tornata a Varese dopo due anni e questa volta ci sono rimasta per otto giorni, in cui mi sono immersa nella vita universitaria e in questa bella città lombarda a due passi dalla Svizzera. Devo dire che il clima mi ha favorito. Vivendo a Cagliari, ero preoccupata di dover combattere il cattivo tempo e il freddo. Invece sono state perlopiù delle belle giornate di sole quelle che hanno fatto da cornice sia alla conferenza del 5 dicembre intitolata “Marte: quando andremo e cosa troveremo?” nell’aula magna dell’Università degli Studi dell’Insubria che al “Laboratorio di self-publishing nei sistemi multimediali” rivolto agli studenti dello stesso ateneo iscritti nei corsi di studi di Scienze delle Comunicazione e Scienze e Tecniche della Comunicazione tenutosi dal 6 all’11 dicembre.
La conferenza su Marte è stato per me un evento davvero particolare. Mi sono ritrovata a condividere il tavolo con due scienziati come Roberto Orosei ed Enrico Flamini dei quali finora avevo soltanto sentito parlare nelle notizie diffuse dall’ASI, dall’INAF e dai media sul web. Anche se era la prima volta che ci incontravamo di persona e avevamo avuto soltanto modo di scambiarci qualche informazione sui rispettivi interventi tramite e-mail, siamo riusciti a mettere insieme un discorso omogeneo in cui i singoli argomenti trattati da ognuno di noi si sono perfettamente incastrati l’uno con l’altro, con diversi precisi rimandi che quasi facevano pensare a una particolare preparazione, che in realtà non c’è stata!
È davvero entusiasmante trovarsi a parlare davanti a un pubblico numeroso e interessato di un argomento che ci sta a cuore con persone che nutrono lo stesso interesse e con cui di conseguenza si condividono i medesimi riferimenti sia di natura scientifica che fantascientifica.
Nella mia parte di conferenza, oltre a introdurre alcune nozioni generali su Marte, ho messo in evidenza come chi lavora nell’esplorazione spaziale e chi scrive fantascienza hard sul medesimo tema fanno tutti parte dello stesso circolo virtuoso. Il lavoro di scienziati come Orosei e Flamini inspira autori come me a scrivere storie in cui si racconta una scienza e una tecnologia plausibili. A loro volta storie come le mie incuriosiscono i lettori nei confronti del lavoro di quegli stessi scienziati. E l’interesse del pubblico è il primo motore che permette a chi fa scienza di disporre dei finanziamenti necessari a portare avanti le proprie ricerche.
Da ex-scienziata (in passato ho lavorato io stessa nell’ambito della ricerca universitaria) non posso che essere felice di fornire, nel mio piccolo, un contributo con le mie storie verso una maggiore consapevolezza del pubblico nei confronti nell’importanza dell’esplorazione spaziale, in particolare in un Paese come l’Italia, che è una vera a propria potenza mondiale in questo ambito, eppure questa sua eccellenza non è nota alla maggior parte della popolazione.
Unendo la mia fascinazione per il pianeta rosso, e in generale per lo spazio, le mie competenze in campo biologico, nonché la mia anima da insegnante, mi sono ritrovata a scrivere una fantascienza in cui racconto una scienza realistica, pur con qualche licenza, facendo sì che nei miei libri si unisca l’intrattenimento alla divulgazione scientifica.
In particolare, il mio intento è quello di mostrare delle storie
attraverso i personaggi, tramite i loro pensieri e i loro sensi, affinché il lettore si immedesimi in loro e
sperimenti sulla propria pelle cosa significa vivere su Marte ed esplorarlo. Attraverso Anna Persson e gli altri protagonisti di
“Deserto rosso” e il ciclo dell’Aurora, il lettore incontra i segni dell’antico passaggio dell’acqua, tempeste e diavoli di polvere, martemoti, vetro da impatto in un cratere, aurore blu, enormi dune barcane e addirittura
l’acqua sotterranea di Marte, la stessa acqua la
cui esistenza è stata provata per la prima volta proprio dal team di scienziati capeggiato da
Roberto Orosei e di cui fa parte
Enrico Flamini.
Infine, dopo aver condiviso col pubblico le
mie fonti di ispirazione (i libri di Robert Zubrin “First Landing” e “The Case for Mars”) e alcune informazioni su
altri autori di fantascienza hard contemporanei che si sono occupati di Marte (Kim Stanley Robinson con la sua trilogia di Marte e
Andy Weir con “The Martian”), è proprio agli altri due relatori che ho lasciato la parola.
A quanto pare quello che io e numerosi altri autori di fantascienza ritenevamo un assunto plausibile, vale a dire che su Marte esistesse dell’acqua rimasta intrappolata sotto terra, è ora confermato.
Nell’ultima parte della conferenza si è tracciata una possibile timeline dell’esplorazione futura, fino a immaginare l’arrivo dei primi esseri umani sul pianeta rosso. A questo proposito ho trovato divertente il fatto che Roberto Orosei abbia mostrato proprio la timeline fantasiosa raccontata nel film “The Martian”, quello cioè tratto dal libro di cui avevo parlato io poco prima.
Giuro che non ci siamo messi d’accordo neppure su questo dettaglio!
Infine è arrivato il turno delle domande e forse la più interessante di tutte è stata l’ultima proposta da Paolo Musso, organizzatore e moderatore dell’evento, che ha chiesto a ognuno di noi se fossimo o meno ottimisti riguardo all’approdo umano su Marte in un futuro molto prossimo. E anche qui, senza nessun particolare accordo, siamo passati da un certo pessimismo di Orosei a un moderato ottimismo di Flamini fino al mio ottimismo pieno, sostenuto dal fatto che sta aumentando sempre più la consapevolezza e l’entusiasmo del pubblico nei confronti dell’esplorazione spaziale, grazie alla facilità con cui al giorno d’oggi ognuno di noi ha completo accesso a tutte le informazioni. Credo che più ci si impegnerà a far comprendere all’uomo comune l’importanza di questo campo della scienza e più lo si coinvolgerà nel suo sviluppo, tanto più si svilupperà la volontà, anche dal punto di vista economico, nel puntare su di esso. Se ciò avverrà, e siamo sulla buona strada, arriveremo su Marte molto presto.
A partire dal 6 dicembre, invece, ho tenuto per la seconda volta
il corso di self-publishing. Le caratteristiche del corso non sono cambiate (
qui potete leggere il resoconto del 2016), ma credo che questa volta, rispetto alla precedente, ci sia stato ancora maggiore interesse da parte degli studenti, che si sono dimostrati
molto attivi durante le lezioni e mi hanno rivolto numerose domande, talvolta anche anticipando argomenti che avrei trattato poco dopo.
È stato bello poter insegnare a questi ragazzi
cosa significa veramente essere un autoeditore, vale a dire entrare a far parte in maniera professionale del mercato dell’editoria come un vero editore che si distingue da quelli tradizionali soltanto per il fatto che è anche autore dei libri che pubblica.
Il giorno della presentazione dei progetti, poi, è stato davvero divertente. Si è spaziato dal libro di strategia per il Risiko (vedi immagine accanto; trattandosi di un uso didattico, non si intende in alcun modo violare il copyright della Editrice Giochi) al romanzo fantasy, dal saggio sulle macchine di Agostino Ramelli alla trilogia paranormal romance e così via, senza soluzione di continuità. Gli studenti hanno dato fondo alla propria fantasia, corredando le presentazioni di immagini, di piani editoriali e promozionali complessi e in un caso persino di una sorta di colonna sonora.
Tutti quanti alla fine ci siamo chiesti: ma quando esce il libro?
Era un vero peccato che si trattasse soltanto di una simulazione, ma per fortuna alcuni di quei progetti sono reali e forse in un prossimo futuro sentiremo parlare dei loro autori.
Concludo questo breve resoconto che riesce appena a scalfire tutto quanto è stato fatto e detto in quegli otto giorni, ringraziando ancora una volta tutte le persone che hanno reso possibile sia la conferenza che il corso, ma anche in generale la mia piacevole permanenza a Varese, in particolare Paolo Musso e Alberto Vianelli, Roberto Orosei ed Enrico Flamini, e ovviamente tutti gli studenti del corso di self-publishing e quelli del corso del professor Musso con i quali ho avuto il piacere di parlare.
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