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 Fiordo svedese... di Carla
 

“Il fatto che le nostre specie sono nemiche non significa che anche tu e io dobbiamo esserlo.” Per caso

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 25/04/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2058 volte)

 Splendida space opera che ti lascia a bocca aperta
 
Questo è il terzo libro di Reynolds che leggo e ancora una volta mi trovo di fronte a qualcosa di totalmente diverso. In “Century Rain” avevo trovato un approccio completamente originale al viaggio nel tempo e all’ucronia, senza che fosse nessuna delle due cose. In “Revelation Space” mi ero immersa in una space opera cupa e pessimistica. In “House of Suns” invece sono stata travolta dall’incontenibile fantasia dell’autore, che meraviglia il lettore e gli presenta un futuro di notevole ottimismo.
Nonostante le enormi differenze tra questi tre libri, a farmi riconoscere l’autore sono stati la sua prosa molto ricercata e ricca e, ovviamente, la presenza di numerosi elementi di fantascienza hard, nonostante si tratti di space opera. Infatti, che Reynolds sia uno scienziato è evidente nella scelta dei temi da esplorare attraverso la narrazione. Pur dovendo inserire nella storia tecnologie lontanissime da quelle presenti (e molto probabilmente mai raggiungibili), riesce comunque a mantenere una certa plausibilità scientifica su alcune dinamiche del suo svolgimento (per esempio, tramite l’uso di astronavi che non superano la velocità della luce), mescolando, con sapienza, fantasia e astrofisica e dando così al lettore l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo, mentre nella sua mente si dipanano scenari che lasciano a bocca aperta.
Io stessa, mentre seguivo le avventure dei due protagonisti (i cloni Campion e Purslane), mi sono ritrovata a immaginare in maniera vivida i luoghi dello spazio mostrati attraverso i loro occhi, quasi come se li vedessi o fossi lì insieme a loro.
All’inizio le loro avventure procedevano senza che io avessi la più pallida idea di dove il libro volesse andare a parare. Inoltre, la scelta di usare la prima persona per entrambi i protagonisti e per una terza voce narrante (Abigail Gentian, la creatrice della linea del Gentian, di cui i cloni fanno parte) è abbastanza destabilizzante (all’inizio di ogni capitolo bisogna capire chi sta parlando) e credo che, insieme alla lunghezza del libro, potrebbe scoraggiare la lettura. E nel mio caso ci stava quasi riuscendo. Ma poi mi sono resa conto di aver fatto bene a continuare, poiché i vari filoni aperti hanno iniziato a collegarsi e con essi a realizzarsi i primi colpi di scena. La stessa scelta di usare sempre la prima persona ha assunto un significato ben definito, togliendomi il timore che fosse dovuta a una certa sciatteria da parte dell’autore. A un certo punto non mi importava più di cercare di capire la direzione della storia, ma preferivo farmi trascinare da essa, felice che ci fosse ancora tanto da narrare e che la fine fosse lontana. E, man mano che mi avvicinavo a essa, più aumentava la mia meraviglia e il mio divertimento.
Non posso né voglio dire altro sulla trama, poiché è talmente vasta e complessa che ogni mio tentativo di indicarne qualche punto saliente sarebbe insufficiente. Mi limito a dire che raramente mi è capitato di incontrare nello stesso romanzo tante idee e tutte così ben sviluppate. È un libro lungo non perché abbia un ritmo lento, bensì perché succede davvero tantissimo, abbastanza da soddisfare, almeno per un po’, la fame di nuove storie di chiunque ami leggere la fantascienza.
E infatti, una volta terminatane la lettura, è stata dura per me trovare un altro libro da leggere che potesse reggere il confronto.
 
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Di Carla (del 12/06/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2206 volte)

 Se solo non avessi previsto ogni singolo colpo di scena
 
Non vorrei apparire presuntuosa nell’intitolare in questo modo la mia recensione, ma io stessa per prima mi rammarico dell’eccessiva prevedibilità, almeno dal mio punto di vista, nello svolgimento di questo romanzo.
De Marco ha senza dubbio fatto un ottimo lavoro nel sviluppare l’ambientazione. I dettagli sono tali e tanti che pare quasi che lui sia nato e cresciuto a Richmond. Forse il fatto che siano a volte eccessivi tradisce il suo voler informare un pubblico italiano, per consentirgli di comprendere il mondo in cui si muovono i personaggi. E questo è solo uno dei tanti aspetti che mi ha distratto e ha reso difficile la mia immedesimazione in quegli stessi personaggi.
La realtà è che non sono riuscita a farmene piacere alcuno, a sentirmi nei panni di almeno uno di essi, cosa essenziale per un mio completo coinvolgimento nella storia. Ciò è forse avvenuto un po’ perché ce ne sono tanti cui è affidato un ruolo prominente (Sandra, Gina e Annette), che rendono in tal modo questo romanzo quasi corale, mentre altri che avevano tutte le carte in regola per essere interessanti sono stati appena abbozzati (come John, l’avvocato e lo stesso Alan), e un po’ perché ho trovato irritante e poco credibile quella che può esserne considerata la protagonista (Sandra). Un effetto collaterale di questa situazione è stato che i tentativi dell’autore di distrarmi, di portarmi fuori strada, non hanno funzionato. Li ho notati tutti e ovviamente ho subito pensato che l’opposto fosse la verità. E non ha di certo aiutato l’effetto straniente dell’uso della terza persona al presente, che fa tanto sceneggiatura, ma durante la lettura di un romanzo induce il mio editor interiore a intervenire, facendomi notare un tempo sbagliato (al presente invece che al passato, o al passato invece che al trapassato), per poi correggersi come si rende conto che tutti i verbi sono diversi da quelli che si aspetta di trovare. Le uniche scene in cui ciò non si osservava sono quelle poche in cui il punto di vista di Sandra è in prima persona, ma nel leggerle spesso me ne accorgevo solo quando ero a metà e mi chiedevo perché proprio quella scena e non altre che la vedevano come protagonista. Il motivo di tale scelta in quel momento non mi era chiaro. Per comprenderlo dovrei scorrere di nuovo il romanzo, isolare quelle scene e probabilmente a quel punto coglierei l’intenzione dell’autore. L’assenza di una segnalazione visiva della transizione (basta un asterisco all’inizio e alla fine di quel tipo di scene) mi ha impedito di farlo durante la lettura e magari di apprezzare la scelte compiute in questo senso da De Marco. Ed è un peccato, perché io adoro l’uso non convenzionale della persona narrante.
Insomma, non so quali di questi aspetti sia il vero colpevole, sta di fatto che ho anticipato in pratica ogni singolo evento, persino quelli più clamorosi messi lì col chiaro scopo di lasciare a bocca aperta, inclusa l’ultimissima scena alla fine dell’epilogo, che dovrebbe essere una rivelazione straordinaria per il lettore, mentre a me è parsa una cosa del tutto logica cui avevo già pensato diverse pagine prima.
Peccato. Sì, sono proprio dispiaciuta, poiché volevo dare un buon voto a questo libro. Perché è scritto da un italiano che ha osato raccontare una storia che nulla ha a che vedere con l’Italia. Perché scrive davvero bene. Perché è evidente quanto si sia documentato. Purtroppo è stato forse l’unico thriller tra i tantissimi letti nella mia vita del quale sono riuscita ad anticipare tutto, senza neanche fare chissà quale sforzo di immaginazione, e la mancanza dell’effetto sorpresa non può che influenzare negativamente il mio giudizio.
 
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Di Carla (del 19/08/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2162 volte)

 Angosciante e dal finale inaspettato
 
Questo gioiellino di fantascienza si discosta dai romanzi epici cui Reynolds mi ha abituato, non solo per la lunghezza (si tratta infatti di una novella), ma soprattutto per l’apparente semplicità della trama. La storia è narrata dal punto di vista di Dimitri Ivanov, un cosmonauta russo, su due linee temporali parallele. Offre un’immagine pessimistica del futuro, in cui l’esplorazione spaziale si è praticamente arrestata a causa dell’interazione con un misterioso artefatto di origine aliena, che i russi chiamano Matryoshka.
In una linea narrativa vediamo Dimitri che scappa da una struttura per malati di mente e cerca di raggiungere qualcuno cui rivelare ciò che ha scoperto nella sua ultima missione spaziale. La missione viene mostrata nell’altra linea temporale, in cui lui e altri due colleghi si stanno avvicinando alla Matryoshka e si apprestano a prelevare dei campioni.
Nel futuro alternativo in cui sono narrate le vicende di questo cosmonauta, solo la Russia ha mantenuto un minimo di attività spaziale, mentre il resto del mondo si arreso all’impossibilità di svelare l’enigma delle apparizioni dell’artefatto alieno. E gli stessi cosmonauti russi sono spinti nella loro ricerca più da necessità di sopravvivenza che dal desiderio della scoperta. Se ciò che scopriranno non sarà gradito al governo, potrebbero comunque fare una brutta fine.
Un senso di angoscia pervade entrambe le linee narrative e l’assenza di divisione in capitoli incalza il lettore, inducendolo a completare la lettura il prima possibile. Ho apprezzato particolarmente tutta la parte spaziale, che come in tutte le opere di Reynolds mescola scienza rigorosa con aspetti che, per via della loro origine, vanno oltre la nostra capacità di stabilire quanto possano o meno essere realistici. Più andavo avanti e più cresceva in me la curiosità di conoscere ciò che era celato all’interno della Matryoshka.
E la risposta arriva in un finale inaspettato e quindi soddisfacente, non tanto per il suo contenuto, che, pensandoci bene, è tutt’altro che originale, ma piuttosto per la bravura dell’autore nel distrarre il lettore e poi stupirlo.
 
Ho letto l’edizione inglese di questo libro, ma è disponibile anche in italiano col titolo “L’ultimo cosmonauta”.
 
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Di Carla (del 02/11/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2551 volte)

 Inaspettatamente coinvolgente
 
Ho deciso di leggere questo libro perché avevo bisogno di immergermi nell’atmosfera lunare durante la scrittura del mio attuale ‘progetto in corso’ e devo ammettere che, dopo l’esperienza con “Red Mars” e “Green Mars” (devo ancora leggere il terzo della trilogia) temevo di trovarmi catapultata dentro un trattato scientifico-politico-psicologico, costellato di brevi storie di diversi personaggi. Sono, invece, rimasta positivamente sorpresa nel rendermi conto che questo romanzo aveva solo pochi personaggi e seguiva solo le loro vicende.
Certo, Robinson non può fare a meno di infarcire la sua scrittura di informazioni, soprattutto di argomento politico, ma il fatto che la prospettiva della narrazione originasse perlopiù da personaggi cinesi (da qui il “rossa” del titolo) ha attirato la mia attenzione.
“Luna rossa” è un libro che prova a immaginare l’evoluzione politica, legata a quella tecnologica, della Cina nel prossimo futuro, e lo fa attraverso un numero ristretto di personaggi con caratteristiche diverse, ben mostrate al lettore, con i quali è facile creare da subito non rapporto stretto. Ciò fa sì che la lettura scorra veloce, per il modo in cui si susseguono senza pausa gli eventi narrati e anche grazie alla lunghezza non eccessiva del romanzo.
La Luna, in realtà, non occupa tutta la storia. Una buona parte di essa si svolge in Cina, una Cina del futuro che ci viene mostrata in maniera efficace e coinvolgente. Eppure la Luna è al centro di tutto.
La parte tecnologica è come sempre molto curata e caratterizzata da una notevole plausibilità, in grado di spingere la mente del lettore a vedere gli eventi come un futuro reale che a tempo debito si realizzerà.
Personalmente ho apprezzato la scelta dell’autore di mostrare alcuni luoghi della Luna, come la base al polo sud, quella nella zona di librazione e quella dentro un cratere, sia per quanto riguarda i paesaggi reali, ricreati in maniera perfetta nella mia mente dalla sua bella prosa evocativa, sia per la sua capacità immaginativa nel proporre ciò che l’umanità costruirà in quei luoghi.
Il tutto è favorito da una lettura scorrevole, nel senso buono del termine, vale a dire che, pur tramite un linguaggio tutt’altro che semplice e banale, la voglia di sapere ciò che sarebbe accaduto dopo mi spingeva ad andare avanti e la bellezza della prosa facilitava le cose.
L’unico aspetto negativo è rappresentato da alcuni dettagli della traduzione. Era la prima volta che leggevo un libro di Robinson in italiano e un po’ mi sono pentita della scelta. È evidente che il traduttore, pur essendo bravo, non possiede le conoscenze tecniche necessarie per affrontare un libro di fantascienza hard in ambito astronautico. Il risultato è che certe traduzioni fanno un po’ sorridere. Così, per esempio, i retrorazzi diventano retromissili, i veicoli spaziali o i razzi diventano missili, e una base di lancio diventa una base missilistica. Insomma, missili dappertutto anche in contesti di astronautica civile. Siccome dubito che l’errore di terminologia fosse dell’autore, temo che il colpevole sia, se non il traduttore, che essendo letterario non è tenuto ad avere un’esperienza tecnica, di coloro che si sono occupati di revisionare la traduzione o della loro assenza, quindi in ultima analisi dell’editore.
Spero vivamente che queste criticità (purtroppo l’esempio dei “missili” non è l’unico) interessino solo la primissima tiratura e siano state eliminate in seguito (o che lo siano presto), almeno nella versione ebook.
 
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Di Carla (del 23/12/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1927 volte)

 Ironia, dramma e chiacchiere verso l’oblio
 
È la seconda volta che mi imbatto nella meravigliosa penna di Mahfuz. La prima volta fu con una raccolta di romanzi storici ambientati nell’antico Egitto. Stavolta, tramite questa breve opera, l’autore racconta un Egitto a lui quasi contemporaneo. “Vicolo del mortaio” è infatti stato scritto nel 1947 e narra le vicende degli abitanti di un vicolo del Cairo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. La sua però non è una rappresentazione realistica della vita di un vicolo della sua città, bensì uno splendido tentativo di raccontare le mille sfaccettature dell’umanità attraverso i suoi abitanti.
Nel vicolo del mortaio, infatti, vivono, le une accanto alle altre, persone delle classi più basse e delle classi medie, e per qualche motivo altre che appartengono a classi più elevate finiscono per incapparvi. Ogni personaggio rappresenta una tipologia di individuo: il virtuoso, l’orgoglioso, il corrotto, l’avida e così via. Non si tratta di uno spaccato di vita reale nel senso classico del termine. L’autore non vuole creare personaggi realistici, ma li utilizza per mostrare la realtà della natura umana, nei suoi pregi e nelle sue miserie, facendo di ognuno di essi un esempio portato fino all’eccesso.
Il tutto avviene attraverso una serie di episodi che oscillano tra ironia e dramma, in cui i personaggi vanno a uno a uno incontro al proprio destino, mentre il vicolo continua a essere sempre lo stesso. Il clamore per ogni evento, perfino il più tragico, si perde in poco tempo tra le chiacchiere cerimoniose dei suoi abitanti fino a cadere per sempre nell’oblio.
 
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Di Carla (del 16/03/2020 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1979 volte)

 Ingannata da un infelice accostamento con Crichton
 
 
Questo è un classico esempio di come delle cattive scelte di marketing possono danneggiare un libro. Sulla copertina c’è infatti scritto “Michael Crichton for the next generation”, cioè “Il Michael Crichton della prossima generazione” in riferimento all’autore del libro. Be’, Crawford non ha nulla a che vedere con Crichton, ma proprio nulla. Chi come me ha preso il suo libro aspettandosi un technothriller incentrato su un argomento di natura scientifica e corroborato da un’accurata ricerca è destinato a rimanere deluso.
Di vagamente scientifico c’è solo l’idea di base, cioè che un qualche batterio sia in grado di prolungare la vita delle persone. Ma poi non si va oltre.
Gli unici elementi positivi di questo libro, per quanto mi riguarda, sono appunto l’idea di base, ma non sviluppata dal punto di vista scientifico, qualche battuta simpatica dei personaggi, anche se a un certo punto stufano, e alcuni colpi di scena, che sarebbero stati anche interessanti, se non avessi interrotto la lettura mille volte, poiché la storia non riusciva proprio a prendermi.
Ma non è colpa del libro in sé. Il punto è che non era il libro che volevo leggere.
Si tratta del classico thriller d’azione commerciale (niente di male di per sé, ma, ripeto, non fa per me) con i soliti personaggi stereotipati: il vecchio ricchissimo supercattivo (senza un motivo particolare) da una parte, l’eroe infallibile dall’altra, con la battuta sempre pronta e che nonostante vada incontro alle peggiori situazioni possibili non si fa nemmeno un graffio, e una partner che è il solito cliché di donna forte e irascibile con cui l’eroe ha un rapporto che pare trascendere l’amicizia, ma non va mai oltre.
Sono elementi che, con la sola sostituzione del cattivo di turno, permettono di creare una serie teoricamente infinita di questo tipo di thriller, leggibili in qualsiasi ordine e in cui i personaggi principali, essendo del tutto bidimensionali, non vanno incontro ad alcuna crescita.
Ripeto, non ho nulla contro questo tipo di libri, a parte il fatto che preferisco leggere altro, ma il punto è che non hanno assolutamente nulla a che fare con Crichton. Visto che l’editore mi ha indotto all’acquisto con l’inganno, la recensione negativa è d’obbligo.
Mi spiace per l’autore, perché è evidente che sa fare egregiamente il suo lavoro.
 
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Di Carla (del 14/07/2020 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1780 volte)

 Rapido e spietato
 
Nessuno racconta il male come Thomas Harris, in tutte le sue sfumature, che vanno dalla paura alla fascinazione. Anche per questo è il mio autore preferito, nonostante (o forse grazie al fatto che) non sia molto prolifico. Perciò, quando ho saputo che stava per uscire un suo nuovo libro dopo ben tredici anni dal precedente, non stavo nella pelle nell’anticipazione della sua lettura. Ovviamente, non l’ho comprato appena uscito. Come tutti i libri dei miei autori preferiti, l’ho lasciato maturare, mi sono guardata intorno, ho letto i giudizi poco lusinghieri che ha raccolto e, a ogni pessima recensione in cui mi imbattevo, sentivo che sarebbe stata una grande lettura. E non mi sbagliavo.
“Cari Mora” è sintetico. Una prosa accattivante senza fronzoli né informazioni inutili. Ogni parola è una pennellata precisa sui protagonisti di questa storia e sul mondo spietato in cui si muovono, dove nessuno è buono, ma tutti sono cattivi o danneggiati (o entrambe le cose). Qualcuno di più, qualcuno di meno.
È rapido. Non ci sono riflessioni, pause. Tutto accade molto velocemente. Sembra una storia concepita per essere trasformata in un film. Sarebbe un grande film nelle mani del giusto sceneggiatore e del giusto regista.
Il titolo non è altro che il nome del personaggio principale, ma l’autore non si limita a indugiare su di lei. Entra in profondità nella mente dei comprimari e in particolare dell’antagonista. E un brivido ti corre nella schiena nell’affacciarti, anche solo per un istante, sui pensieri di quest’ultimo. Ma non c’è tempo per rimuginarci sopra, perché la storia continua, veloce e inesorabile.
Come in tutti i libri di Harris, non puoi semplicemente smettere di leggere. Il libro ti chiama durante il giorno, reclama la tua attenzione. Non sono una persona dalle letture compulsive o che si dimentica di tutto il resto per leggere. Solo i libri di Harris mi fanno questo effetto.
La parte più entusiasmante è senza dubbio il finale, in cui ti senti spacciato come Cari, ma lotti per la tua vita, senza fiato, col cuore a mille. Qui il personaggio esprime se stesso al massimo e mostra uno scorcio dell’immenso potenziale che possiede.
Se non sapessi quanto Harris è restio a scrivere con una certa frequenza, penserei che “Cari Mora” abbia proprio lo scopo di presentare questo personaggio (e quello del poliziotto), come primo di una serie di libri. Ma forse ciò che Harris vuole è solo offrirci gli elementi affinché la nostra fantasia vada avanti per conto proprio. Oppure dobbiamo aspettarci in futuro una serie TV ispirata proprio a questo romanzo.
Non lo so. So solo che spero che Harris scriva ancora.
 
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Di Carla (del 15/02/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3072 volte)

 Uno sguardo sul futuro, ma senza trama

Completare la lettura di questo libro è stato davvero difficile. Probabilmente, se non avessi acquistato l’edizione cartacea, non sarei andata oltre le prime 30-50 pagine. Eppure avevo letto i precedenti, “Red Mars” e “Green Mars”, e pensavo di essere preparata.
Be’, mi sbagliavo.
“Red Mars” effettivamente aveva una bella trama intrigante, che iniziava con un omicidio e poi ci riportava indietro per ricostruire ciò che era accaduto. Era ricco di parti di pura speculazione scientifica nell’ambito dell’astronautica e della colonizzazione di Marte. Certo, erano lunghe, ma erano ben equilibrate con gli eventi narrati e, visto che le trovavo interessanti, la loro lettura era andata avanti senza intoppi. Meno interessanti erano quelle relative ad argomenti psicologici, che infatti non mi vergogno affatto di dire di aver saltato. Ma nonostante tutto aveva una trama che, bene o male, si sviluppava nell’arco di tutto il romanzo. C’era un po’ di intrigo, persino di suspense, che mi faceva venire voglia di continuare a leggere per scoprire cosa sarebbe accaduto dopo (o cosa era accaduto prima). Nonostante non avessi apprezzato il finale, non avevo dubbi di trovarmi di fronte a un romanzo con tutti gli elementi necessari per essere definito tale.
Con “Green Mars” le cose si sono fatte più difficili. L’autore si è soffermato più nelle singole storie, una per parte, che finivano nel momento in cui iniziavo ad affezionarmi ai personaggi. Il minore apprezzamento che ho avuto nel leggere questo libro mi ha indotto a ritardare di diversi anni la lettura dell’ultimo della trilogia. Ho iniziato a leggerlo solo perché ce l’avevo già e mi sembrava doveroso giungere alla fine della storia.
Ciò che non mi sarei aspettata era l’assenza di una vera e propria storia.
“Blue Mars” è un tentativo di Robinson di immaginare il futuro della conquista della spazio da parte dell’umanità, partendo da Marte per poi andare oltre. Il worldbuilding è, infatti, eccezionale e rappresenta il motivo per cui ho deciso di dare al libro tre stelline, invece delle due che riflettono meglio le mie sensazioni.
Robinson ha sicuramente fatto delle ricerche pazzesche per scriverlo. E mostra una fantasia immensa. Non posso che inchinarmi di fronte a questi due aspetti.
Inoltre, con la sua bellissima prosa, descrive un Marte terraformato sicuramente affascinante.
Si è però dimenticato che stava scrivendo un romanzo, che, come tale, necessita di una trama, in cui i personaggi devono avere uno scopo da raggiungere, dei conflitti da affrontare e una crescita di qualche tipo, e soprattutto che chi legge si aspetta un arco narrativo.
E invece no.
Ogni parte è raccontata dal punto di vista di un personaggio, ma di fatto non accade nulla o almeno nulla di rilevante. Ci si continua a spostare avanti nei decenni e a passare da un racconto all’altro degli sviluppi politici e della descrizione dei luoghi. Attraverso numerose lunghe pagine, fitte di resoconti, tutto viene raccontato e quasi nulla mostrato. Le poche vere scene, cioè quelle in cui i personaggi interagiscono o addirittura dialogano, non aggiungono nulla narrazione, poiché non ce n’è veramente una. I personaggi sono di fatto solo un elemento di contorno.
Il motivo per cui ci ho messo più di quattro mesi per leggere questo libro è perché mi ha annoiato terribilmente.
E, quando non mi annoiavo, provavo un senso di tristezza per gli scorci di esistenza (spesso deprimenti) dei personaggi che l’autore buttava lì, di tanto in tanto, per evitare di trasformare il libro in un saggio speculativo sul futuro.
 
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Di Carla (del 22/04/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3156 volte)

 Il circolo degli ex-malati di TBC
 
Questo libro di Linda Grant, che avevo già abbastanza apprezzato in “Upstairs at the Party”, trasporta il lettore in un sanatorio britannico degli anni cinquanta dello scorso secolo in cui venivano tenuti, o forse la parola più giusta è segregati, i malati di tubercolosi. La storia si svolge nel periodo in cui era stata già scoperta la streptomicina, ma ancora non era arrivata nel Regno Unito, per cui i personaggi vivono nella speranza di poter essere curati prima o poi e non fare la fine di tutti i loro predecessori.
La storia segue in particolare due gemelli adolescenti londinesi, Lenny e Miriam, che vengono inviati in un sanatorio nel Kent dal Sistema Sanitario Nazionale britannico. Qui convivono con persone di ben altra estrazione sociale, ma la malattia che accomuna tutti appiana le differenze e permette la creazione di rapporti molto stretti.
L’autrice usa toni a tratti leggeri nel raccontare le vicende dei protagonisti, ma accanto a ciò descrive i trattamenti dolorosi, crudeli e inutili, oltre che l’abuso psicologico, cui tutti i pazienti vengono sottoposti. Il contrasto tra le due cose lascia il segno durante la lettura, perché passi dalla risata all’orrore, alla rabbia e alla tristezza, e ti porta a rimuginare quando chiudi il libro.
I personaggi escono dalle pagine e le loro banali vicissitudini quotidiane, nel modo in cui ci vengono mostrate dall’autrice, diventano quasi avvincenti, come pure si rimane scioccati nell’entrare nella mente malata di alcuni di essi, come in quella del medico che dovrebbe curarli.
Per me è stata anche un’occasione per conoscere meglio il periodo storico in relazione ai tentativi maldestri di trattamento della tubercolosi, prima che fossero disponibili delle cure efficaci e definitive.
Non ho messo la quinta stellina per via del finale dolceamaro. Forse era difficile inventarne uno migliore, vista la storia, ma, come era capitato con l’altro libro dell’autrice che ho letto, ho avuto la netta impressione che ci sia stato un calo di tensione e un eccessivo trascinarsi nella parte finale del libro.
 
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Di Carla (del 14/05/2021 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3075 volte)

 Siamo soli nell’universo?
 
Questo straordinario saggio del professor Paolo Musso non è ovviamente in grado di offrire una risposta alla domanda che molti si pongono nell’osservare le stelle, ma, dopo averlo letto, in un certo senso ci si sente più vicini a ottenerne una. Il grande merito di questo testo, unico nel suo genere in italiano, è proprio quello di portare il lettore più vicino alla comprensione della reale capacità che abbiamo di individuare i segni dell’esistenza di una civiltà extraterrestre che si trovi in qualche sistema stellare non “troppo” lontano dal nostro.
Ciò è reso possibile anche dal fatto che a parlarci dello stato dell’arte della ricerca scientifica in questo ambito e del suo futuro sviluppo non è uno scienziato, bensì un filosofo. Il suo modo di affrontare l’argomento dell’eventuale diffusione della vita in altre parti della nostra galassia (e dell’universo) non si ferma alla pura speculazione matematica (o statistica), benché anche questo aspetto venga trattato (per esempio, con l’esauriente spiegazione dell’equazione di Drake), tanto meno lo fa riguardo ai dati tecnici nell’esporre al lettore l’effettiva capacità della strumentazione attuale (e futura) di captare e riconoscere una trasmissione aliena. Ma va oltre, riflettendo sulle implicazioni dell’entrare in contatto con tale civiltà, sulla possibilità di comprenderne il messaggio e sul quale potrebbe essere il modo più efficace di rispondere per poter essere a nostra volta compresi. E, nell’analizzare tutti questi aspetti, presenta dei parallelismi basati sulla sua esperienza professionale riguardo alle attuali interazioni tra culture diverse sulla Terra. Non solo. Riflette anche sull’effetto che un’eventuale conferma che non siamo affatto soli nell’universo, ma che là fuori c’è almeno una civiltà evoluta (e quindi probabilmente anche altre), potrebbe avere sull’umanità stessa, a livello culturale, psicologico e persino religioso.
Insomma, questa lettura è stata un bel viaggio, che mi ha permesso di mettere insieme molte delle cose che sapevo sull’argomento, colmando nel contempo le mie lacune e offrendomi nuove prospettive di riflessione che non avevo mai considerato prima.
E Paolo Musso riesce a fare tutto questo con uno stile fresco e un modo a tratti confidenziale di esporre dei contenuti tutt’altro che semplici, dando così l’impressione di ascoltare quel racconto appassionato direttamente dalla sua voce. Certo, il testo è decisamente qualche gradino più in alto della pura divulgazione. Affrontarlo senza avere una minima conoscenza di base sull’argomento e alcuni riferimenti scientifici ben chiari nella mente, soprattutto in alcuni passaggi, potrebbe non essere semplicissimo, ma la voce dell’autore riesce a metterne in evidenza in maniera efficace i punti fondamentali.
In altre parole, se anche nel leggerlo aveste l’impressione di non comprendere proprio tutto, non scoraggiatevi. Andate avanti. E vedrete che alla fine ciò che vi rimarrà, dopo l’ultima pagina, avrà messo radici nella vostra mente, insieme al desiderio di saperne di più.
 
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