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 Luna... di Carla
 

“Il fatto che le nostre specie sono nemiche non significa che anche tu e io dobbiamo esserlo.” Per caso

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 02/08/2012 @ 12:14:57, in Esplorazione spaziale, linkato 3201 volte)

© NASA/JPL Caltech
Il prossimo lunedì sarà un giorno veramente speciale. Il Mars Science Laboratory chiamato Curiosity atterrerà su Marte intorno alle 7.30 del mattino (ora italiana). Si tratta di un rover laboratorio inviato dalla NASA lo scorso 26 novembre 2011 e che, dopo aver viaggiato nello spazio per tutti questi mesi, si trova già nell'orbita marziana in attesa di iniziare la manovra di atterraggio.
Il rover lungo circa 3 metri e con una massa di 900 kg è il più grande finora inviato sul pianeta rosso e a differenza dei precedenti, il Sojourner e i due rover gemelli Opportunity (tuttora in attività dopo oltre 3000 sol, cioè giorni marziani, oltre 9 anni terrestri) e Spirit, non è dotato di un sistema di alimentazione a pannelli solari, bensì presenta un piccolo reattore nucleare che gli fornirà l'energia per 668 sol (circa 686 giorni terresti), dopodiché smetterà di funzionare. In questo lasso di tempo avrà un bel po' di lavoro da fare, grazie al sofisticato laboratorio che porta al suo interno e alla capacità di muoversi agevolmente per lunghe distanze sul suolo marziano.
La sua missione è analizzare grandi quantità di campioni di terreno e di roccia, per permetterci di sapere di più su questo pianeta tanto vicino e tanto simile alla Terra e per scoprire eventuali prove sulla capacità, presente e passata, di Marte di ospitare la vita.
L'atterraggio previsto per il 6 agosto avverrà nell'enorme cratere Gale (154 km di diametro), situato nell'emisfero meridionale di Marte, ma non molto lontano dall'equatore. La sua peculiarità è di essere una zona a una altitudine molto bassa, che nel tempo ha sicuramente raccolto una grande quantità di materiale, portata dall'acqua milioni di anni fa, quando essa era presente allo stato liquido sulla superficie del pianeta (cosa non possibile nelle condizioni di pressione attuali dell'atmosfera marziana).
La NASA afferma che questa missione avrà anche lo scopo di fungere da precursore di future missioni su Marte con equipaggio umano.

Personalmente attendo con ansia l'arrivo di Curiosity su Marte. In tempi non sospetti, due anni prima che la missione partisse, avevo partecipato per divertimento all'iniziativa del sito Mars Explorarion Program, che invitava le persone a inserire il proprio nome, che sarebbe stato inviato insieme al rover (ancora non se ne conosceva il nome) sul pianeta rosso. Vi mostro il certificato di partecipazione che mi avevano dato.

Al di là di questo, sono sempre stata affascinata da Marte, da quando il primo rover Sojourner aveva inviato delle bellissime foto del pianeta negli anni 90. Recentemente, come sapete, questo interesse verso il pianeta rosso ha fornito l'ispirazione per il mio romanzo a puntate "Deserto rosso" e ciò è senza dubbio un altro motivo di interesse, poiché una qualche rilevante scoperta scientifica che avvenisse prima della pubblicazione delle ultime puntate potrebbe magari avere un'influenza su di esse.

E voi non siete curiosi di sapere come andrà l'atterraggio di Curiosity?
Se lo siete, vi invito a collegarvi al sito di NASA TV lunedì mattina per seguire in diretta le fasi dell'atterraggio. Vista l'attuale posizione di Marte rispetto alla Terra, le immagini ci arriveranno con circa 14 minuti di ritardo, mentre l'intera procedura di atterraggio ne durerà solo 7.
Potete anche seguire l'evento su Facebook e Twitter.
Sfortunatamente proprio il 6 agosto non sarò a casa, perché sarò nel bel mezzo di una vacanza programmata più di un anno fa (una sola parola: Olimpiadi!). Mi dovrò quindi accontentare di quello che propone la TV. Un po' mi dispiace, ma sono certa che al mio ritorno vedrò di aggiornarmi. Di sicuro invidio i newyorkesi che seguiranno l'evento nel maxischermo a Time Square!
Nel frattempo il conto alla rovescia continua...

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E siamo arrivati al terzo della serie di articoli su Magrathea.it dedicati all'auto-pubblicazione digitale.

Nei primi due abbiamo parlato dei passi essenziali da compiere prima di pubblicare: editing, copertina, descrizione del libro (clicca per leggere l'articolo uno), formattazione e dove pubblicare (clicca per leggere l'articolo due).

Questo terzo articolo parla di come in pratica si può pubblicare il proprio ebook e si concentra soprattutto sulla più grande piattaforma di pubblicazione digitale per autori indipendenti, Smashwords, in quanto, a differenza di Amazon, presenta un'interfaccia tutta in inglese e non del tutto intuitiva. Grazie a questo articolo si potrà scoprire il sito di Smashwords e verrete guidati passo passo nelle fasi di impostazione dell'account, di pubblicazione del libro, di assegnazione dell'ISBN, di scelta dei canali di distribuzione e così via.
Cliccate qui per leggere l'articolo.

A mercoledì prossimo per l'ultimo articolo della guida!

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Di Carla (del 10/08/2012 @ 16:13:00, in Calcio, linkato 2582 volte)

Lo scorso weekend sono andata a Londra per le Olimpiadi e ho avuto il piacere di assistere a un partita nel mitico tempio del calcio di Wembley.

La cara amica Stefania Mattana, un post della quale è già stato ospitato sul mio blog, mi ha chiesto di scrivere un breve articolo sull'argomento per il suo blog Daily Pinner, che in questo periodo si è trasformato in Olympinner. Potete leggerlo cliccando qui o sull'immagine.

Ho raccontato le mie sensazioni sulla manifestazione, sulle ottime capacità organizzative dei londinesi e ho parlato del significato dello spirito olimpico, che ho avuto modo di provare in prima persona in quei due giorni.

Siete curiosi?
Allora fate un salto sul Daily Pinner e non dimenticatevi di lasciare un vostro commento e magari condividere l'articolo con i vostri amici.
Buona lettura e buoni ultimi giorni dei giochi olimpici!
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Infine eccoci all'ultimo della serie di articoli su Magrathea.it dedicati all'auto-pubblicazione digitale.

Questa volta si parla di promozione. Dopo aver preparato il vostro libro, inclusa descrizione e copertina (leggi l'articolo uno), dopo averlo formattato correttamente e scelta la piattaforma di distribuzione (leggi l'articolo due) e dopo aver caricato e messo in vendita l'ebook sui vari negozi online (leggi l'articolo tre), resta un unico problema: come facciamo sapere al mondo che il nostro libro e stato pubblicato?
A questo scopo è necessiario programmare una promozione, che deve iniziare ben prima della pubblicazione stessa.

In questo articolo proporrò tutta una serie di suggerimenti per organizzare e portare avanti la promozione delle proprie opere, facendo una distinzione tra quelli da mettere in pratica prima di pubblicare un libro e quelli che invece possono essere utilizzati quando il proprio ebook è già presente negli store.
Cliccate qui per leggere l'articolo.

Con questo termina la mia breve guida. Spero che vi sia stata utile e vi incoraggio a condividerla con tutti coloro che possano essere interessati all'auto-pubblicazione digitale.
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Di Carla (del 22/08/2012 @ 23:07:31, in Musica, linkato 3759 volte)


Oggi vi presento il progetto di crowdfunding creato da Daniele Groff per produrre il suo nuovo album.

Il crowdfunding è un sistema di raccolta di fondi provenienti dai fan che promettono di investire una cifra (che può essere anche molto ridotta) in cambio di una ricompensa. Se l'insieme delle promesse raggiunge il totale previsto entro una determinata data, i soldi verranno riscossi e dati all'artista per mettere in pratica il suo progetto.

Nel caso specifico si parla di produrre il prossimo album di Daniele Groff, e quindi diventarne co-produttori a tutti gli effetti. A seconda del tipo di contributo si va da una semplice ricompensa simbolica ad altre ben più interessanti, quali ricezione in anteprima del CD autografato, lezione di musica su Skype, cena con Daniele e la sua band, biglietti per il prossimo tour, un giorno in studio con lui, fino addirittura a un concerto privato: insomma tutte cose molto allettanti per un fan, ma anche solo per un amante della buona musica.

Volete partecipare anche voi?
Allora vi basta avere un account Paypal o possedere una carta di credito (anche ricaricabile) e andare sul sito http://it.ulule.com/groff/. In esso sono contenute tutte le informazioni e l'elenco completo delle ricompense con relativi costi.
È doveroso precisare che al momento dell'adesione si accetta soltanto di promettere una certa cifra, ma non si paga ancora nulla. Solo in caso di raggiungimento dell'obiettivo la cifra viene prelevata dalla vostra carta o account Paypal. È anche possibile partecipare più volte a diverse ricompense, tenendo conto però che quasi tutte comprendono anche quelle di valore inferiore, quindi scegliete con attenzione.

Per chi avesse ancora dei dubbi, l'indirizzo email webmaster@danielegroff.com è a disposizione degli interessati, per rispondere a qualsiasi domanda.

In chiusura vi riporto l'invito di Daniele:

"Carissimi fans e amici, acquistate in anteprima il mio nuovo disco ed altri fantastici premi!

Diventate co-produttori, raccogliete la sfida e tenetevi pronti a cantare!

La missione è realizzare il mio primo album internazionale che verrà pubblicato, oltre che in Italia, nel resto d'Europa e nel mondo. E questo sarà possibile anche grazie a voi ed al vostro sostegno.

Per quelli di voi che hanno tanto pazientemente e fedelmente aspettato, non è più tempo di aspettare!

E' tempo di tornare a gioire,

è tempo di tornare ad essere fieri,

è tempo di stringersi le mani e guardarsi negli occhi,

è tempo di scrivere un nuovo pezzo di storia e di musica: la nostra.

Insieme!


Grazie.

Daniele"

 

Per gli appassionati della musica dal vivo segnalo inoltre i prossimi concerti dell'artista:

24 agosto 2012 - Piazza Garibaldi - Campitello di Marcaria (MN)
Ospitata in solo per sostenere una raccolta di fondi in favore dei terremotati.
L'evento inizia alle 22.30.

6 agosto 2012 - Spinetoli (AP)
I dettagli verranno riportati presto sui vari siti. Si tratta di un concerto di piazza con tutta la band!

Come sempre, se cercate informazioni per far suonare Daniele Groff nel vostro evento, scrivete a: booking@danielegroff.com

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Di Carla (del 29/08/2012 @ 04:38:37, in Lettura, linkato 3886 volte)
More about Self-Editing for Fiction Writers, Second Edition

 
 Un testo indispensabile per qualsiasi scrittore

Ci sono molti libri che parlano di scrittura. Ognuno di loro, a suo modo, può essere utile allo scrittore di fiction (che siano romanzi, novelle o racconti), poiché gli permette di riflettere sulle mille sfaccettature del suo lavoro. Ma c’è un libro in particolare sulla scrittura che credo qualsiasi scrittore debba leggere e consultare tutte le volte che inizia il lavoro di riscrittura. Si tratta proprio di “Self-Editing for Fiction Writers”.
Questo libro è una vera e propria guida passo passo che fornisce allo scrittore, qualunque sia la lingua in cui scrive, le basi stesse del processo di editing.
In ogni capitolo si affronta un particolare argomento e viene mostrato, tramite brani tratti da scritti più o meno famosi, il modo per individuare i problemi, relativi ad esso, nel proprio testo, in modo da poterli correggere. Per facilitare il lavoro, alla fine di ogni capitolo è riportata una checklist con una serie di domande e punti da controllare prima di andare avanti.
Gli argomenti proposti sono: 1) differenza tra raccontare e mostrare; 2) caratterizzazione ed esposizione; 3) punto di vista; 4) come funzionano i dialoghi; 5) voce dei personaggi; 6) monologo interiore; 7) uso dei “beat” nei dialoghi; 8) paragrafazione; 9) ripetizioni; 10) proporzioni; 11) sofisticazioni e infine 12) voce dell’autore.
Analizzando i singoli capitoli, non solo si migliora il testo su cui si sta lavorando, ma si capiscono più a fondo i meccanismi della scrittura e di conseguenza si impara a scrivere meglio. Ci vuole pratica, ma questo libro è scritto in maniera talmente chiara che l’assimilazione dei concetti avviene in modo semplice, senza grandi sforzi.
Qualcuno potrebbe pensare che un libro del genere non vada bene per un autore che scrive in una lingua diversa dall’inglese, in realtà “Self-Editing for Fiction Writers” si concentra su argomenti universali riguardanti l’editing. E anche laddove fa dei riferimenti specifici alla lingua inglese, per essi esiste sempre (o quasi) il corrispondente italiano (per esempio l’uso degli avverbi in –ly/-mente o dei verbi in –ing/al gerundio).
In realtà ciò che mi ha veramente stupito di questo libro è il fatto che non sia mai stato tradotto nella nostra lingua, ma anche in generale che non esista nessun libro in italiano che tratti in maniera così sistematica e lineare l’argomento dell’editing, quasi che si voglia lasciare gli scrittori italiani nell’ignoranza. Fortunatamente non serve una conoscenza esagerata dell’inglese per comprendere questo testo molto semplice.
Infine un punto assolutamente in favore è il prezzo contenuto (circa 7 euro la versione Kindle, meno di 9 euro in cartaceo) rispetto ad altri libri simili, ma molto meno utili di questo.
Lo consiglio vivamente a tutti gli scrittori, ma in particolare agli autori indipendenti e a tutti coloro che vorrebbero diventare degli editor (e magari anche a chi fa già questo lavoro).


Self-Editing for Fiction Writers (formato Kindle) e Self-Editing for Fiction Writers (cartaceo) su Amazon.it.
Self-Editing for Fiction Writers (formato Kindle) su Amazon.com.
Questo libro è in lingua inglese!

Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
aNobii:
http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina

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Di Carla (del 30/08/2012 @ 22:45:16, in Lettura, linkato 3662 volte)
More about La giustizia di Iside


 Originale ed esteticamente bello, ma porta alla distrazione
 
 
Romanzo molto particolare. Si tratta del secondo di una serie ambientata in un Egitto alternativo, a metà strada tra l’argomento storico e la fantascienza. In esso si mescolano luoghi e usanze dell’antico Egitto ed elementi fantasy, presi in prestito dalla religione egizia, a tecnologie fantascientifiche e pseudoecologistiche. Ne esce fuori un mondo pieno di contraddizioni e fortemente anacronistico, ma non privo di un certo fascino.
All’autrice, Clelia Farris, si deve riconoscere l’enorme fantasia che, unita a una certa conoscenza della storia e religione egizia, è stata in grado di concepire questo universo dall’indubbia originalità.
Molto particolare è anche il suo stile, fortemente costruito, elaborato, ricco di figure allegoriche, in cui si fa ampio uso di sensi inusuali per descrivere la realtà in cui si muovono i personaggi, cioè olfatto, tatto, perfino gusto. Questa scelta tende a trasmettere un’immagine quasi misteriosa delle scene mostrate.
Dovendo giudicare il romanzo, solo tenendo conto di questi due aspetti, cioè stile e ambientazione, non posso che considerarlo originale, quasi geniale, ed esteticamente molto bello.
Il problema, però, è che un romanzo deve anche raccontare una storia, che sappia emozionare i lettori e tenerli attaccati alle pagine, per sapere come andrà a finire, tanto più che questo libro sembra avere le caratteristiche di un thriller, o addirittura di un vero e proprio poliziesco. Infatti ci sono degli omicidi, c’è una squadra che investiga e alla fine si scopre il colpevole.
Nel leggerlo, però, succede una cosa strana: ci si distrae.
Lo stile bello, ma a volte criptico, non permette di visualizzare le scene e i personaggi, o meglio permette di farlo solo grazie a un certo sforzo da parte del lettore. Il risultato è che più volte mi sono ritrovata a tornare indietro e rileggere, perché semplicemente avevo perso il filo, avevo iniziato a pensare ad altro, perdendo la concentrazione nei riguardi della storia.
In poche parole la storia non riusciva a prendermi.
Ho cercato di capire quali fossero le cause delle mie distrazioni, a parte lo stile, al quale pian piano si finisce per abituarsi e diventa più facile da seguire.
C’è da dire che non ho letto il primo romanzo (“La pesatura dell’anima”), ma non penso che ciò abbia influito, in quanto mi sono documentata su di esso, per comprendere meglio l’ambientazione in cui mi stavo immergendo. Dal punto di vista della trama questo romanzo è indipendente rispetto al precedente, quindi non credo che sia questo il motivo.
Una causa può essere il fatto che io sono un’egittofila, cosa che poi mi ha spinto a leggere il libro, e mi sono trovata più volte a storcere il naso di fronte a certe scelte dell’autrice, come quella di un Egitto in cui il popolo si sia ribellato contro la dinastia, creando un governo rivoluzionario. Una storia del genere, che costituisce il background in cui si muove il romanzo, diverge moltissimo dall’idea che un egittofilo si fa della civiltà egizia (e da cui proviene gran parte del suo fascino), dove i faraoni erano venerati, ma soprattutto amati senza alcun tipo di costrizione, e visti come servi dell’Egitto e non come suoi padroni.
Okay, questo è un romanzo distopico e quindi si può fare quello che si vuole, ma non siamo tutti costretti a farcelo piacere.
Ma il motivo principale delle mie perplessità non è neppure questo. L’impressione generale che ho avuto è di una storia piena di tante di quelle cose, così da distrarre il lettore dalla stessa trama. Ci sono tante scene, belle e poetiche, che però non fanno avanzare la trama, ma la rallentano, la interrompono. Ci sono tanti personaggi, su cui l’autrice si è soffermata parecchio, ma alla fine nessuno di loro, nemmeno la protagonista, riesce a convincermi del tutto. L’(ab)uso dei sensi alternativi e delle figure allegoriche per la descrizione degli ambienti di fatto il più delle volte non permette di “vedere” la scena. Il coinvolgimento di più sensi dovrebbe arricchire questo aspetto, ma non se questo avviene a discapito dei sensi principali: vista e udito. Oppure laddove c’è una vera descrizione oggettiva di un ambiente, essa è talvolta ridotta a un freddo elenco.
Inoltre la parte per così dire poliziesca è un po’ dispersiva. Il cattivo di turno è evanescente, si ha l’impressione che non abbia nessuna importanza. Non si capisce esattamente quale sia il motore della storia: gli omicidi, gli scambi dell’anima o i cambiamenti fatti dalla protagonista nell’ambito sua vita? Forse tutti, ma nessuno di essi sembra mosso da motivazioni credibili.
Alla fine è forse una faccenda di credibilità.
O magari solo di gusti.
Voglio inoltre aggiungere un piccolo appunto all’eccessivo uso di terminologie “tecniche”, che insieme ai nomi, spesso difficili da ricordare, spezzano il ritmo del racconto. L’idea di mettere un glossario è buona. Peccato, però, che il suo eventuale uso, spesso poco agevole, non sia altro che un ulteriore fonte di distrazione durante la lettura.
 
 
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Di Carla (del 05/09/2012 @ 02:49:01, in Lettura, linkato 3802 volte)

 Divertente e veramente… spaziale
 
Ho una particolare predilezione per la space opera, soprattutto laddove gli autori mettono grande cura nel creare in maniera dettagliata un universo complesso e credibile. Un libro con viaggi interstellari, situazioni d’azione, personaggi caratterizzati da ironia e coraggio ha già ottime probabilità di piacermi. Se poi la storia è carina ed è ben scritto, allora mi conquista.
Questo è il caso di “Galassia nemica” di Allen Steele, una vecchia conoscenza di questo sottogenere della fantascienza. La sua produzione letteraria comprende un buon numero di libri inseriti nella stessa linea temporale, ma indipendenti l’uno dall’altro, per cui li si può leggere in qualsiasi ordine e, una volta ambientati nel suo universo, ci si muove con disinvoltura concentrandosi quindi sulla trama.
La storia di “Galassia nemica” è avvincente, perché, come succede dei buoni libri, non sai cosa aspettarti dalla pagina successiva e, per questo, continui ad andare avanti. Il protagonista è simpatico, non si prende troppo sul serio e più di una volta ti fa scappare una risata durante la lettura. L’ambientazione, pur essendo fuori della realtà a cui siamo abituati, è comprensibilissima per merito dell’autore, che accosta immagini eccezionali ad altre molto più comuni e nelle quali è possibile riconoscersi. Il ritmo è incalzante e anche la parte tecnologica è molto credibile (nell’ambito della sospensione dell’incredulità).
Insomma, un bel libro.
E per una volta devo dare merito a Urania di averlo pubblicato in Italia.
 
 
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Di Carla (del 07/09/2012 @ 06:31:16, in Scrittura & pubblicazione, linkato 5499 volte)

Quella del titolo è una domanda che va per la maggiore nei vari blog anglofoni che trattano di scrittura. La prima reazione che ho avuto quando mi sono trovata di fronte a essa è stato: certo che sì! Uno scrittore è libero di fare tutto! E continuo a essere d’accordo con questa affermazione.
Il problema infatti è che la domanda è mal posta. Quella giusta sarebbe: a uno scrittore conviene cambiare genere?
E qui il discorso si fa più complesso. Bisogna tenere conto delle conseguenze esterne, se uno scrittore scrive e pubblica dei libri di genere diverso, ma anche di quelle interne, cioè il piacere che può avere lo scrittore a cambiare genere e l’effetto che ciò ha sulla qualità della sua scrittura.
A me piace leggere libri praticamente di qualsiasi genere (a parte il fantasy puro, cioè senza altre contaminazioni) e, come me, penso che ci siano molti scrittori dai gusti letterari vari. È normale che essi desiderino sperimentare le loro capacità cimentandosi in generi diversi, perché, se amano un certo tipo di storie, è normale che desiderino inventarne a loro volta.
Teoricamente nessuno impedisce loro di farlo (ci mancherebbe).
Io stessa ho pubblicato due libri finora di generi apparentemente molto diversi. Uno “La morte è soltanto il principio” è una fan-fiction d’azione/fantasy di argomento egizio, l’altro “Deserto rosso – Punto di non ritorno” è una novella di fantascienza/esplorazione spaziale, con elementi di introspezione. Il primo è ricco di ironia e di soprannaturale, il secondo drammatico e scientifico. Così descritti sembrano due libri agli antipodi, ma chi ha letto entrambi mi ha spesso detto: “Si vede che li hai scritti entrambi tu.”
Questa cosa ovviamente mi inorgoglisce, tenendo conto che tra la scrittura del primo e quella del secondo sono passati dodici anni (sebbene poi li abbia pubblicati a una distanza di tre mesi).
Dodici anni sono tanti, nel frattempo i miei gusti si sono evoluti o semplicemente sono cambiati, ed è questo cambiamento che spiega il diverso genere. Ma ciò che non è cambiato è il mio approccio a ogni nuova storia, quello è mio e si vede anche dopo tanto tempo, anche se invece il mio stile è cresciuto, è maturato.
La verità è che nello scrivere un libro io parto da un’idea e questa dal mio punto di vista non è sempre etichettabile all’interno di un genere. Inoltre, nello sviluppo delle storie, spesso mi rifaccio del tutto involontariamente a tematiche ricorrenti, spesso controverse, perché mi piace creare dei contrasti, interpretate in maniera diversa in base al tipo di storia, ma comunque sia riconoscibili come mie.
Le etichette di genere aiutano a distinguere a grandi linee dove va a inserirsi una certa storia, ma per lo scrittore hanno spesso poca importanza. Per lo scrittore esiste solo il suo modo di scrivere, di sentire, di raccontare. Di fatto ogni scrittore tende col tempo a creare un genere tutto suo, che viene definito voce dell’autore. Si tratta di qualcosa di unico e riconoscibile, ed è questo che spesso i suoi lettori cercano nelle sue storie. Sanno che qualunque sia il genere che affronterà, lo farà con la sua voce.
Per questo motivo ci sono molti scrittori che si cimentano in generi diversi (magari affini, ma comunque diversi), soprattutto scrittori molto famosi, basti pensare a King, Grisham, al compianto Crichton, solo per fare qualche esempio. Se ci pensate bene siete portati a definire i loro libri “alla King” o “alla Grisham” o “alla Crichton” piuttosto che usare un’etichetta di genere. Certo, si dice che Grisham abbia inventato il legal-thriller, ma la verità è che molti dei libri di Grisham sono legal, non tutti questi sono thriller, e molti altri sono narrativa non di genere, anche se nel leggerli ci si rende conto che lui scrive esattamente allo stesso modo anche gli altri. Questo perché Grisham è un grande narratore di storie di vita, la parte thriller o legale è spesso solo un pretesto per raccontare grandi storie di persone normali.
Stiamo però parlando di grandi scrittori, che non temono di vedere il loro libro rifiutato da un editore o che nessuno lo compri.
Il discorso è ben diverso per uno scrittore non famoso, che abbia un editore oppure no. Quello che ha un editore, se propone un libro in un genere diverso dal precedente, può rischiare di ricevere un rifiuto. Il problema non sussiste per l’autore indipendente, ma quest’ultimo si trova di fronte alle stesse problematiche del suddetto editore: la reazione dei lettori.
Come ho detto, io leggo quasi tutti i generi, ma non tutti i lettori sono come me, anzi è spesso vero il contrario.
Chi scrive un libro in un genere letterario ben definito di solito impronta la promozione di questo libro in modo da raggiungere i lettori specifici del genere, che a loro volta, spesso, non è detto che avrebbero letto il suo libro se fosse stato di genere diverso. Per questo motivo, se poi al libro successivo passa a un altro genere (un esempio estremo, da umoristico a horror), questi lettori potrebbero come minimo sentirsi traditi, perdere la fiducia nell’autore e in ultima analisi non acquistare il libro.
A questo punto tutto il lavoro fatto per farsi conoscere per il libro precedente sarebbe andato perduto per sempre, lo scrittore dovrebbe iniziare tutto da capo.
Abbastanza scoraggiante, no?
Questo è sicuramente un grosso problema, ma a mio parere c’è qualcosa di più importante da considerare: l’autore sente veramente di poter scrivere un bel libro in un altro genere?
Se la risposta è sì, allora io penso che debba farlo.
Non ci si può costringere a scrivere un certo tipo di libri, solo per non deludere i lettori o un editore. La scrittura non funziona così. La scrittura è una creazione artistica e per creare un prodotto di valore necessita della passione da parte dello scrittore. Quest’ultimo scriverà tanto più e tanto meglio se lo farà alle sue regole, se si divertirà a farlo. Se perderà dei lettori, probabilmente ne troverà altri.
O magari, i suoi vecchi lettori si accorgeranno che non sta affatto cambiando il “suo” genere e che amano leggere i suoi libri, per come li scrive e non solo per l’argomento che trattano.
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Di Carla (del 13/09/2012 @ 03:00:58, in Scrittura & pubblicazione, linkato 3961 volte)

Qualche post fa ho scritto una recensione sul libro “Deve accadere” di Giovanni Venturi. Si tratta di un’antologia di racconti, con cui questo autore indipendente debutta nell’editoria digitale.
Oggi ho il piacere di scambiare qualche parola con lui.
Trattandosi di un’intervista un po’ lunga, ve ne propongo una prima parte in questo post e il continuo nel successivo.
In queste prime domande Giovanni ci racconta dei suoi primi passi con la scrittura alla tenera età di otto anni e ci parla del modo in cui si accosta a essa adesso da adulto, che si tratti di scrivere un racconto, un romanzo o delle poesie.
 
 
 
 
Ciao Giovanni, prima di tutto vorrei chiederti come nasce la tua passione per la scrittura, in particolare quella dei racconti?
La passione per la scrittura è nata da sola, ancor prima di quella per la lettura. Ricordo che il mio primo testo è stato verso gli otto anni. Avevo dei giocattoli della Gig, chi è dell’epoca ricorderà i Micronauti. Ne avevo due. Force Commander e il suo cavallo Oberon. Di questi due micronauti, magnetici e smontabili, mi divertivo a ricomporli in vari modi. E un giorno mi venne in mente di mettere nero su bianco la storia della nascita di questi due personaggi... Purtroppo lo scritto è andato perso, inclusi i Micronauti che saranno stati regalati a qualche mio cugino che li avrà distrutti in quattro e quattr’otto. Mi ci ero affezionato.
Dopo questo racconto, composi, alle scuole medie, una piccolissima poesia in cui raccontavo di come i miei compagni di classe mi avessero trascinato su un campetto di calcio. Poesia ispirata, per lo stile, all’Iliade di Omero che all’epoca ci facevano studiare. Ovviamente anche questo testo è andato perso :) . Dopo queste due cose è passato molto tempo. Ho iniziato a leggere dietro continua insistenza della nostra insegnante di Italiano del quarto superiore. Fui fortunato perché trovai una raccolta di racconti di Stephen King. In realtà il termine tecnico sarebbe: raccolta di novelle. Quattro novelle che divorai l’estate del mio sedicesimo compleanno. Non potei incontrare autore migliore. Perché poi iniziai a comprare tutti i suoi testi e King ti fa venir voglia di leggere, ma anche di scrivere, anche se per arrivare ai suoi livelli ci vorranno anni, ammesso che uno possa mai davvero scrivere come lui. Io credo di no. È troppo bravo davvero. E fu King che mi spinse alla scrittura dei primi racconti. Storie horror che conservo. Ci sono stati anni in cui all’università non ho più scritto un solo testo. Poi nel 2009 ho conosciuto un editore non a pagamento che proponeva concorsi in cui bisognava scrivere racconti a tema. All’inizio non riuscivo perché io sono sempre stato per storie lunghe, intricate, romanzi insomma. Su un forum iniziò il confronto con altri autori della stessa casa editrice e così man mano affinai la tecnica e la passione che era stata sempre in me. Da allora mi sono stati pubblicati ben otto racconti da questo editore e, il tutto, senza aver mai pagato un solo centesimo. Prima del 2009 ero seriamente convinto che la prassi comune per l’accesso alla pubblicazione fosse l’investimento di 2000-3000 euro. Invece ho capito che non è così.
 
Come nasce in te l’idea per un racconto?
In genere non c’è una regola fissa. Alcuni racconti li ho scritti per il tema che imponeva quel mese l’editore di cui ti parlavo. Era una sfida perché in appena tre cartelle dovevi inventarti una storia che avesse quel tema. E in effetti alcuni mie racconti di tre cartelle erano molto compressi, così nell’e-book li ho espansi e ho donato loro una seconda vita. Rieditati. Tagliati pezzi inutili e inserito altre cose. Per esempio, “La biblioteca” è totalmente diverso dall’originale. È più maturo, più completo, per quanto, proprio quel racconto, si presta a una storia ancora più lunga di quello che è... Potrebbe nascerne addirittura una storia a bivi, ma temo di riprenderlo e indirizzare il progetto in quella direzione. Oggi gli e-book pare siano un bene di nicchia, figurarsi scrivere un testo a bivi e farlo leggere a un lettore. È come bestemmiare in chiesa. Una casa editrice, però, lo fa. Quintadicopertina. Ho letto una delle loro Polistorie, e ne devo leggere ancora un’altra che ho comprato e che giace nel mio e-reader. Ho riscontrato che l’effetto di poter leggere e rileggere l’e-book e prendere percorsi diversi è interessante, come mi aspettavo. Anche se per il lettore medio è troppo impegnativo. E-book e storia a bivi... Forse un giorno si arriverà a essere perdonati e ad avere la possibilità di fare gli e-book anche in questo modo... Tra l’altro, come è facile intuire, sono anche più impegnativi per chi li scrive e la storia deve prestarsi al gioco, sennò va a finire male e se trovi un lettore che sta alla sfida, poi rischi che ti tiri l’intero e-book reader dietro la testa!
Altre volte, invece, l’idea nasce dal bisogno di comunicare un concetto, una frase, un’idea. Come nel caso de “La biblioteca”, volevo parlare di una storia d’amore non banale, non scontata, nata in biblioteca. Non so quanto ci sia riuscito.
Altre volte ho in mente una scena. Come in “Sì, devo leggere. Pinocchio.” La scena di questo ragazzo che non riesce più a liberarsi dei libri. Idea, tra l’altro, che mi è venuta solo dopo varie riscritture, proprio durante la scrittura. Non era stato pianificato.
 
Quando ti metti di fronte al foglio bianco sai già come andrà a finire la storia? Oppure parti da un’idea e vedi dove ti porterà?
Altre volte quando penso a un racconto, ho in mente per sommi capi quello che potrebbe succedere, ma in genere, se non ho un tema, e posso sconfinare, mi lascio guidare da una sorta di istinto. Come dice Stephen King, la storia viene fuori mentre la scrivi, né prima, né dopo. E ho riscontrato che è vero. Se volessi pensare per filo e per segno cosa scriverò non inizierei mai perché trovo complicato farsi dei progetti dettagliati di una storia per un racconto. Poi ci sono eccezioni, in cui ho in mente la scena madre del testo e il finale, ma in genere questo accade quando posso scrivere “senza smettere più”, come mi è successo per il primo e per il secondo romanzo. Sapevo come sarebbe andata e quali problemi insormontabili avrebbe affrontato il protagonista e quale sarebbe stata la scena con massimo impatto drammatico. Per un racconto è diverso. Devi mettere subito in scena il problema e risolverlo, oppure mi limito a raccontare uno spaccato di vita che potrebbe portare in molte strade diverse come nel racconto “Ricordi”, un racconto che davvero potrebbe trovare una via molto bella in un romanzo, ma mi piaceva come racconto in sé, anche se mi avevano consigliato di eliminarlo per questo motivo. L’ho fatto leggere a un collega in ufficio che l’ha trovato molto bello e toccante e allora mi sono detto che l’idea che avevo avuto era passata e che quindi anche nella sua forma originale andava bene. E infatti un altro lettore, che ho conosciuto su twitter e che credo sia stato il primo acquirente dell’e-book, ha trovato il racconto “dolce”. Era esattamente il sentimento che volevo lasciar trasparire dalla storia. Umanità e dolcezza.
 
So che scrivi anche romanzi. Che differenza c’è per te tra scrivere un romanzo o un racconto?
Una gran bella differenza. Proprio grossa. A volte si pensa che scrivere un racconto sia facile e scrivere un romanzo complicato. In realtà è difficile in tutte e due i casi. Con il racconto c’è il rischio di mettere su una storia che dice ben poco, anche perché nello spazio, per esempio, di tre cartelle, devi far affezionare il lettore al personaggio e devi lasciarlo sorpreso, deve succedere qualcosa insomma. E in alcuni casi è veramente difficile se non ti viene l’ispirazione giusta.
Nel caso del romanzo ti dici “ho tutto il tempo di far affezionare il lettore ai personaggi, alla storia” ed è lì che ti sei fregato perché corri il rischio di scrivere pagine e pagine di noia infusa dicendoti “ma tanto poi dopo si mette in moto il tutto”. Il tutto deve stare sempre in moto. Non puoi fermarti. Sennò perdi il lettore per strada. È una cosa che sapevo già. È una cosa che ho riscontrato in romanzi di esordienti che non hanno ben chiaro il concetto, a volte dimenticano di dare spessore ai personaggi, alla trama. È una cosa che ho letto in un paio di libri di autoediting, ma allo stesso tempo è una cosa che non riesci a tenere sotto controllo se non hai alle spalle tipo dieci romanzi e forse nemmeno. Stephen King ha ammesso che gli editor lo hanno salvato e che alcuni suoi romanzi di 1200 pagine in origine erano grandi il doppio. Io ho bisogno di scrivere molto e poi di riscrivere di continuo. Un po’ come se avessi un capolavoro dentro la pietra, magari ricoperto anche di fango. Non riesci a ripulire subito, non riesci a tirare fuori subito una scultura, devi togliere i vari pezzetti, i blocchetti che deformano il tutto. Lanci acqua oggi, lanci acqua domani, poi usi lo scalpello e finalmente riesci a vedere qualcosa. Il fango non c’è più e viene fuori una statua piena di dettagli e così bella da guardare che ti fermi imbambolato. Poi lasci passare un altro po’ di tempo e inizi a vedere che anche così devi fare ancora molto lavoro sul testo, sulle parole. Poi smetti perché sennò vai al manicomio. Un testo potrebbe subire variazioni all’infinito anche perché nel frattempo sei tu che sei evoluto e che scrivi in modo diverso, proprio quello che mi è successo nella creazione di “La biblioteca”. Non ero mai soddisfatto pienamente.
Con il racconto o riesci o non riesci. Non hai molte possibilità. Certo, puoi sempre sistemarlo, ma ci metti molto meno tempo. Devi tenere meno cose sotto controllo. È difficile che in un racconto vengano fuori ripetizioni continue di concetti, cosa che in un romanzo pare non possa sfuggire, ovviamente a meno di essere un genio, qualcuno che ce l’ha nel sangue, qualcun altro lo impara leggendo 10 libri buoni al mese, classici.
 
Cosa altro scrivi?
Sono un autore prolifico. Ho scritto di tutto. Poesie, sì. Tipo quindici. Quella che compare in “Deve accadere” è stata la prima cosa che l’editore mi pubblicò. In una raccolta di racconti e poesie di altri autori. In “Volare” c’è il concetto di maturazione che si legge tra le righe, nel finale stesso, la voglia di diventare padre... Insomma con la poesia me ne vado per vie dove il racconto o il romanzo non possono portarmi. Una delle mie primissime poesie è diventato il testo di una canzone di cui ha composto la musica un mio amico che studiava al conservatorio. Ho scritto articoli per un giornalino di cui ero redattore assieme ad altri, l’editore e il grafico. Una cosa simpatica durata circa tre anni. Altra cosa che ho scritto è stata una sceneggiatura per una commedia per ragazzi che poi non si è mai fatta. Si sa come sono i ragazzi, no? Si appassionano alle cose di continuo e lasciano le vecchie per le nuove. Un po’ come succede in “Inquietudini”. Poi scrivo pensieri un po’ bizzarri e parlo di scrittura e di editori nel mio blog (http://giovanniventuri.com/), dove ho intervistato vari autori esordienti, qualcuno indipendente, scrivo recensioni di tanto in tanto (quando un libro mi prende e ho tempo per segnalarlo). Per un altro mio blog (http://makeyourebook.me) parlo di e-book e ne realizzo per chi ne chiede: autori indipendenti, case editrici, editor. Lo faccio perché mi è spesso capitato di comprare e-book che sarebbe stato il caso di tirare dietro la testa agli editori che li hanno realizzati/fatti realizzare. Ad alcuni editori ho anche proposto di collaborare, ma si sa che gli e-book non piacciono a tutti, soprattutto quando devi pagare per fartene realizzare uno con tutti i crismi, però poi vedi la differenza tra l’e-book convertito con il programmino gratuito e quello fatto da me. In alcuni casi è come paragonare la montagnetta di sabbia con il K2. Dipende anche dall’e-book, dal testo, da come è formattato.
 
Hai scritto una sceneggiatura per una commedia per ragazzi che poi non si è mai fatta, quindi “Inquietudini” è un testo autobiografico?
No, l’unica cosa che c’è di vero è il fatto che ho scritto questa sceneggiatura per dei ragazzi e che dovevamo mettere in scena, ma non è mai successo, poi i personaggi, quello che succede dentro il racconto è frutto della mia immaginazione.
 
 
 
Per oggi ci fermiamo qui. Nel prossimo post continueremo a parlare con Giovanni del suo libro “Deve accadere” (il sito del libro è www.deveaccadere.info), del suo rapporto con la lettura, dei suoi autori preferiti e della sua personale esperienza come autore indipendente.
Nell’attesa andate a visitare il blog di Giovanni Venturi, “Giochi di parole… con le parole”, per conoscerlo un po’ meglio: www.giovanniventuri.com
 
 
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