Marte. Freddo. Arido. Inospitale. Rosso. Deserto. Senza vita?
Anna è partita all'alba. Si è addentrata nel deserto marziano. Da sola. Dove sta andando? Quale segreto nasconde?
Immagina di far parte di una missione di colonizzazione su Marte. Tu e altre quattro persone siete state scelte per essere i primi essere umani a trasferirsi in pianta stabile su di un nuovo pianeta. Faresti qualsiasi cosa per far parte di questa missione, saresti pronto a rinunciare a tutto pur di entrare nella storia, viaggiare nello spazio, andare a vivere in un altro pianeta. Ma le cose non vanno come ti aspetti. Dopo 1000 giorni trascorsi su Marte, due membri dell'equipaggio sono morti e tu non ti fidi di chi vive ancora insieme a te, mentre là fuori c'è solo un enorme deserto rosso e con esso la morte certa. Eppure tu, un giorno prima dell'alba, lasci la struttura abitativa e ti allontani con rover verso l'ignoto. Perché? Dove stai andando?
Adesso puoi vivere tutto questo e scoprire cosa accadrà insieme ad Anna Persson, la protagonista di "Punto di non ritorno", primo episodio del romanzo a puntate "Deserto rosso". Dopo lunga attesa questa prima puntata approda su Amazon e su Smashwords. Al costo di un caffè o poco meno (rispettivamente 89 centesimi di euro su Amazon e 99 centesimi di dollaro su Smashwords) puoi scaricarla sul tuo lettore ebook, il tuo tablet o il tuo pc e iniziare questa nuova avventura, che si riproporrà ogni tre-quattro mesi, con una nuova puntata. In tutto ne sono previste quattro, che verranno poi riunite in un romanzo unico, anche tenendo conto del feedback dei lettori della serie.
Ma veniamo alla storia, ambientata in un prossimo futuro (fra almeno 50 anni). Sono passati trent'anni dalla missione di esplorazione di Marte "Hera", il cui equipaggio è morto in circostanze misteriose. Questo fallimento e le problematiche politiche da esso generate hanno rallentato la NASA nella sua corsa alla conquista dello spazio, ma adesso i tempi sono maturi per una nuova missione chiamata "Isis". Questa volta i cinque membri dell'equipaggio (Anna, Dennis, Michelle, Hassan e Robert) non viaggeranno per oltre 400 milioni di chilometri solo per una breve visita, ma saranno destinati a diventare i primi colonizzatori del pianeta rosso. Al comando dell'equipaggio c'è Dennis Francis, astronauta divenuto famoso dieci anni prima per una missione di installazione di una base lunare. Insieme a lui ci sono sua moglie Michelle, geologa, Hassan Qabbani, medico e pilota, Robert Green, ingegnere aerospaziale, e infine Anna Persson, esobiologa di nazionalità svedese, che ci racconta questo primo episodio in prima persona. Un giorno Anna abbandona di nascosto alle prime luci dell'alba la Stazione Alfa e si addentra con un rover pressurizzato nel deserto marziano. Il suo sembra avere tutte le caratteristiche di un gesto suicida. Mentre ci racconta passo passo i due giorni (tempo definito dalla sua riserva di ossigeno) del suo viaggio solitario, si sofferma a mostrarci eventi del passato precedenti alla stessa missione, muovendosi avanti e indietro nella sua memoria e svelandosi poco a poco a noi. Capiremo chi è, cosa l'ha portata a entrare nell'equipaggio dell'Isis, cosa (e chi) si è lasciata alle spalle e alcuni fatti accaduti durante la stessa missione che potrebbero averla spinta a questo gesto estremo. Qualunque essa sia, riuscirà Anna a raggiungere la sua destinazione? Il solo modo per saperlo è leggere "Deserto rosso - punto di non ritorno".
Lo potete acquistare su: - Amazon a 89 centesimi di euro (è disponibile in tutti i siti Amazon), in formato per lettore Kindle o applicazione Kindle; - Smashwords a 99 centesimi di dollaro, in .epub, .mobi, .pdf, .lrf e .pdb, cioè per qualsiasi lettore o computer; - Kobo; - Apple iTunes; - Barnes & Noble (Nook).
Venite a conoscere Anna, condividete i suoi segreti più oscuri, esplorate con lei i canyon di Valles Marineris, perdetevi insieme a lei su Marte e scoprite cosa sta cercando.
Ascoltate "Catch Me If You Can" dei Polydream, il brano che accompagnerà la promozione di "Deserto rosso". Catch Me If You Can
Per il booktrailer del libro visitate questo post.
Ascoltate il tema di "Deserto rosso" (Ancient secrets + Resistance) nel player sotto.
Nell'uso comune queste due parole, almeno in Italia, sono quasi sinonimi, o in alternativa si definisce con "scrittore" il mestiere e con "autore" si fa riferimento ai specifici lavori di uno scrittore. Se però prendiamo in considerazione il loro reale significato stretto e quello esteso, la questione è ben diversa. Avevo già brevemente accennato alla differenza fra queste due parole in un altro post, dove mettevo in evidenza l'espressione errata "aspirante scrittore", che di per sé non ha alcun significato. Adesso vorrei entrare un po' più nel dettaglio sull'argomento. So che a prima vista può sembrarvi noioso, ma vi chiedo di seguirmi ancora per qualche riga e capirete. Il significato stretto dei due termini è semplice. Lo scrittore è colui che scrive, qualunque cosa scriva, che siano romanzi, racconti, articoli di giornale, post di un blog, poesie e così via. Non importa che pubblichi i suoi lavori e neppure che li finisca. Se uno scrive (che lo faccia bene o male) è uno scrittore. L'autore è colui che ha scritto qualcosa, cioè uno scrittore che ha completato almeno uno dei suoi lavori. Va da sé che l'autore è anche scrittore (a meno che non usi un ghostwriter!), ma lo scrittore non è necessariamente un autore. La distinzione tra scrittore e autore, però, può avere un significato più esteso che si riferisce all'approccio della persona in questione nei confronti della sua scrittura. Per uno scrittore/autore esistono almeno due fasi: quella della scrittura vera e propria e quella della promozione del suo lavoro (anche se si tratta di qualcosa di gratuito). Nella prima fase questa persona è soprattutto scrittore, nella seconda è soprattutto autore. Ci sono scrittori/autori che si concentrano quasi esclusivamente sulla prima fase. Passano più tempo possibile a produrre: scrivere, correggere, riscrivere, progettare nuovi lavori e così via. Dedicano invece poco o nulla del loro tempo a fare gli autori, perché c'è qualcun altro che si occupa della loro promozione o semplicemente perché non sanno come farlo loro stessi e magari neppure vogliono imparare a farlo. La promozione non è roba per tutti, d'altronde. Richiede preparazione e si porta via un sacco di tempo. Dall'altra parte ci sono quegli scrittori/autori che, dopo aver pubblicato qualcosa, dedicano molto più tempo a promuoverla, per raggiungere il massimo numero di persone con quell'unica opera, prima di buttarsi in un nuovo progetto. Fanno presentazioni, inondano i social network di link, scrivono articoli, mandano i loro libri ovunque per farsi recensire, partecipano a convention (quelli famosi!), tanto per fare qualche esempio. Insomma sono attivissimi in campo promozionale, talvolta per loro scelta, perché il feedback che si ottiene nell'esporsi al mondo può essere molto gratificante, e talvolta per obblighi contrattuali. Esiste in questo senso tutta una gradazione di comportamenti che vanno dallo scrittore puro, che tiene rigorosamente le sue opere nel cassetto, fino all'autore non-scrittore, di solito un personaggio già famoso, che si avvale di ghostwriter e quindi è coinvolto solo nella promozione. In generale possiamo dire che quasi ogni scrittore/autore si trova da qualche parte nel mezzo, ma senza dubbio tende verso una sola delle due estremità, magari istintivamente. C'è insomma chi preferisce essere uno scrittore in senso lato, che ama sopra ogni cosa scrivere e trae da essa la massima soddisfazione, e chi preferisce il ruolo di autore, trovando più piacere nel rapporto con i suoi lettori. Talvolta si oscilla tra i due approcci, a seconda dei periodi. Quando ci si concentra troppo nella scrittura, si ha poi bisogno di metterla da parte e fare un po' l'autore. D'altro canto se ci si allontana troppo dalla scrittura alla fine si sente il suo inesorabile richiamo, magari accompagnato da un certo timore di non essere più in grado di riprendere a scrivere, dopo una lunga interruzione. Ma, come dicevo, non sempre si ha scelta. Quando si è un autore pubblicato affermato, si è costretti a fare ciò che dice l'editore. Si ha delle scadenze per quanto riguarda la propria scrittura, non ci si può perdere i mille progetti diversi, anche perché si è impegnati in estenuanti tour di promozione, che portano via tempo e concentrazione, che minano non poco la propria creatività. Eppure ci sono personaggi talmente inseriti in questo meccanismo che riescono comunque a portare avanti i due aspetti in parallelo, scrivendo nei ritagli di tempo (in treno, aereo, su di una panchina). Se si è uno scrittore pubblicato, ma non si è famoso, fare l'autore spesso non è un obbligo contrattuale, ma una necessità. Soprattutto se la propria casa editrice è molto piccola, bisogna rimboccarsi le mani e darsi da fare con la promozione, ma non tutti sono in grado di farlo. Molti si rifugiano dietro l'affermazione che questo aspetto non rientra nei loro compiti e fanno il minimo o nulla. L'autore indipendente invece non ha scuse. È editore di sé stesso, ciò significa che nessuno gli impone scadenze o gli offre collaborazione in campo promozionale, ma allo stesso tempo, se non si mette d'impegno per scrivere i suoi lavori e promuoverli il più possibile (cosa che implica anche imparare come farlo), nessuno li leggerà. Senza considerare che avrà sicuramente un altro lavoro, che gli porterà via le canoniche otto ore al giorno per cinque giorni la settimana. Vista così l'impresa dell'autore indipendente sembra impossibile. Senza nessuno che lo stimoli in fase di scrittura, senza nessuno che gestisca un minimo di promozione, senza nessuno che si occupi di copertina, quarta di copertina, booktrailer, comunicati stampa e così via, come diavolo fa a trovare il tempo per tutto? Eppure ci riesce e se è bravo, ha voglia di imparare e magari ha un po' di talento come scrittore, ottiene anche un discreto successo. Inoltre ha una scelta in più. Può concentrare la sua carriera soprattutto sulla quantità, cioè fare essenzialmente lo scrittore. Per un autore indipendente, infatti, avere molti titoli all'attivo è importante sia per una questione di visibilità che per una questione economica. Se anche non dedica tanto tempo alla promozione quanto alla scrittura, la sua ampia produzione (venduta ovunque nel web) è di per sé una forma di pubblicità. Nel momento in cui riesce a "fidelizzare" un lettore, finisce per tenerselo stretto, offrendogli tanto da leggere (e quindi comprare), evitando che si dimentichi di lui. D'altra parte un autore indipendente con già un buon catalogo alle spalle è libero di dare più spazio alla promozione, cioè al suo essere autore. In entrambi i casi la scelta è solo sua e, se la porta avanti nella maniera giusta, può dare comunque ottimi risultati. La chiave è proprio lì: la scelta. Personalmente amo entrambe le fasi, ma in maniera diversa. Ho imparato molto di promozione quando mi occupavo di musica. Anche se l'editoria è un campo molto diverso, certe cose mi stanno tornando utili. D'altra parte sono un'autrice indipendente che ha appena mosso i primi passi in questo campo, dopo qualche anno di studio, e per forza di cose devo essere scrittrice e autrice allo stesso tempo e con lo stesso impegno. Devo scrivere, produrre. Sia perché lo impone la mia condizione di indipendente, sia perché non posso farne a meno. Amo essere scrittrice, amo l'atto creativo, tirare fuori dal nulla storie, personaggi, sentimenti. Ma non mi dispiace il ruolo di autrice. In passato mi sono occupata della promozione di altri artisti (parlo di musica), ma concentrarsi su sé stessa dà ben altra soddisfazione. In futuro, però, spero di potermi organizzare in modo tale da lasciarmi un po' più di tempo per scrivere. Insomma vorrei essere più scrittrice che autrice. E voi da che parte state? Siete più scrittori o autori?
Essere in grado di leggere sia in italiano che in inglese è sicuramente un vantaggio per il lettore, in quanto aumenta in maniera esponenziale il materiale letterario di cui può disporre, ma lo è anche per lo scrittore, poiché gli permette di espandere i propri orizzonti e conoscere realtà completamente diverse. In particolare ci si rende conto di quali enormi differenze esistano tra l'editoria italiana e quella anglofona, che comprende cioè tutti i paesi di lingua inglese, e come sia diverso l'approccio del web nei suoi confronti. Parlo in dettaglio di quelli che genericamente vengono chiamati blog letterari, cioè i blog che parlano di scrittura, dei romanzi, degli autori, di editoria e di tutto ciò che orbita intorno alla letteratura. In questo ambito si notano a mio parere delle differenze lampanti, non solo negli argomenti, ma anche nel modo in cui vengono affrontati. Il discorso, però, sarebbe troppo lungo, in questo post mi voglio quindi soffermare su uno di questi argomenti: gli autori esordienti o gli aspiranti tali, cioè quegli scrittori che hanno pubblicato il loro primo libro o stanno cercando di farlo. Leggendo articoli che li riguardano, si nota prima di tutto che tra i blogger italiani c'è una diffusa tendenza a guardare a questi un po' dall'alto in basso. Si guarda con un certo sospetto queste persone che si affacciano all'editoria, supponendo già da subito che non abbiano la minima esperienza, che siano presuntuosi, che non abbiano chissà quale talento (soprattutto se sono autori indipendenti), che abbiano scritto solo quell'unico libro pubblicato (o che intendono pubblicare) e che magari non conoscano a dovere neppure la grammatica o la sintassi. Insomma, ci si trova di fronte a una marea di pregiudizi. È vero che da sempre ciò che è sconosciuto viene spesso mal visto o visto con sospetto, ma talvolta oggettivamente si esagera. Per non parlare poi della disdicevole abitudine di chiamare gli autori non ancora pubblicati con l'infelice espressione "aspiranti scrittori", cosa che trovo denigrante, quasi a voler dire che non è gente che scrive, ma che pensa di farlo prima o poi. Chiariamo le cose: non si diventa scrittori da un giorno all'altro. Non è che un giorno ti svegli e aspiri a diventare uno scrittore, poi il giorno dopo inizi a scrivere. Non funziona così. Noi tutti impariamo a scrivere da bambini e alcuni di noi, senza neppure rendersene conto, prima o poi iniziano a scrivere delle storie. Altri invece non lo fanno. Punto. Non esiste un momento nella vita in cui aspiriamo a scrivere delle storie. Iniziamo semplicemente a farlo, oppure no. Chi lo fa è uno scrittore, chi non lo fa non lo è. L'aspirante scrittore non esiste. Esiste essere uno scrittore o non esserlo. Si può semmai aspirare a essere un autore, nel senso di desiderare di completare uno scritto. È infatti relativamente facile iniziare a scrivere qualcosa, lo è meno portarla a termine. Ma nel momento in cui si completa la scrittura del primo racconto, o del primo romanzo, o della prima sceneggiatura ecc... di fatto si diventa autori. A questo punto si può essere al massimo aspiranti autori pubblicati. Perciò l'alludere a un autore non pubblicato con l'espressione "aspirante scrittore" è a mio parere abbastanza offensivo, poiché sembra quasi che si pensi che la persona in questione non scriva affatto, ma abbia solo il desiderio (il sogno?) di farlo, magari per diventare famoso. Ma, se una persona non scrive abitualmente, senza ombra di dubbio non potrà essere un buon scrittore nel momento in cui decida di farlo, perché non ne ha l'esperienza. Ma l'aspirante autore pubblicato, come pure l'autore esordiente (alla prima pubblicazione), è tutt'altro che una persona priva di esperienza. Sicuramente quel romanzo (pubblicato o no) non è l'unica cosa che ha scritto. Probabilmente ne ha scritto altri, come pure racconti, fan fiction, poesie e tante altre cose, molte delle quali magari brutte (le prime), altre migliori. Dietro un autore esordiente esiste tutto un mondo di scrittura, che magari risale alla sua adolescenza o addirittura prima, esistono mille esperimenti e tentativi, tutte cose che costituiscono la sua esperienza nel campo della scrittura, qualcosa che non deve essere in alcun modo sottovalutata. Se, dopo tutto questo, decidono di tentare la pubblicazione di un certo romanzo, è perché esso rappresenta l'apice del lavoro fatto negli anni passati, alimentato dalla loro passione per la parola scritta. Potranno ancora essere ben lontani dalla perfezione (senza dubbio), ma è impossibile che ci troviamo di fronte a gente che non conosce discretamente la lingua italiana. E già questo non è poco. Perciò dico che meritano rispetto. Purtroppo ciò che vedo spesso e volentieri è il tentativo da parte di certi "critici" di mettere i bastoni fra le ruote a questo tipo di autori. Se hanno pubblicato qualcosa, si cerca costantemente di trovare il pelo nell'uovo nel loro libro, di mettere in luce i difetti, invece di concentrarsi sugli aspetti positivi dell'opera. Invece nei confronti di chi non ha ancora pubblicato (e in questo caso mi riferisco agli articoli generici rivolti agli "aspiranti scrittori") si fa di tutto per ricordare a questi autori che scrivere bene è difficile, anzi quasi impossibile, che è faticoso, che non conoscono alla perfezione la grammatica (?), che ci sono mille mila regole di stile che devono seguire, che dopo aver scritto la prima stesura hanno ben poco da esserne lieti, perché sicuramente fa schifo... e così via. In entrambi i casi si cerca in tutti i modi di scoraggiare lo scrittore. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché questo accanimento? Le risposte potrebbero essere tante. Forse perché queste persone si divertono a criticare gli altri. Oppure perché sanno a menadito quello che non si deve fare quando si scrive, ma non hanno idea di quello che si deve fare (altrimenti, forse, scriverebbero anche loro romanzi e non critiche, no?). Oppure proprio perché pure loro, essendo esordienti o aspiranti tali, si sentono minacciati dalla concorrenza? Non è da escludere. Oppure ancora si tratta di autori delusi o disullusi nei confronti dell'editoria in generale tanto che non possono fare a meno di scoraggiare gli altri a intraprendere la stessa strada (della serie: datevi all'ippica, magari avete più speranze; oppure: io non ce l'ho fatta e non voglio che ce la facciate neppure voi). Sicuramente ognuno avrà le sue motivazione (più o meno accettabili), ma di certo ciò che fanno non aiuta gli scrittori che li leggono. Li indispettisce, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, li scoraggia. È un po' come se a un bambino, che vi mostra il suo disegno, voi diceste "Ma cos'è questa cosa? Non si fa così! Non sei proprio capace!", invece di dirgli "Bravo!", apprezzando cioè lo sforzo di una persona che sta crescendo, evitando di stroncare sul nascere una passione che potrebbe diventare importante per lui e soprattutto incentivandolo a migliorarsi. Ovviamente sto parlando di scrittori che sanno scrivere in un italiano corretto e che, se fanno errori, sono solo incappati in qualche refuso. In tutto questo discorso non prendo neppure in considerazione chi ha delle grosse lacune di grammatica e sintassi e neppure se ne rende conto. Ora, a questo proposito, spostandosi nell'area anglofona, ecco che saltano agli occhi le differenze. I cosiddetti blog letterari, prima di tutto, sono tenuti quasi sempre da autori, persone cioè che scrivono libri e che vogliono condividere con altri scrittori ciò che hanno imparato dalla loro esperienza. Lo scopo è ovviamente farsi conoscere e volere bene, per trovare nuovi lettori e vendere più libri. È comprensibile. Il risultato, però, non solo è piacevole, ma anche utile. Questi blog sono delle fonti inesauribili di spunti, per conoscere meglio tutti gli aspetti della scrittura, sia per quanto riguarda la parola in sé (quindi lo stile) che la vera e propria capacità di narrare delle storie, cioè la struttura narrativa. Leggendo questi articoli si imparano veramente tantissime cose, anche se si scrive in una lingua diversa (nel mio caso in italiano). Al di là delle eccezioni, che comunque esistono (meno male), la mia domanda è: perché questa differenza tra il web italiano e quello anglofono? Sinceramente sto cercando ancora di capirlo, ma di certo so a quale dei due preferisco rivolgermi.
Il mio primo amore è e rimane il cinema. Alla scrittura sono arrivata in seguito ad esso. Sin da ragazzina adoravo perdermi dentro un film sul grande schermo. Era come staccarsi dalla propria vita e viverne tante altre, anche se solo per due ore scarse. Ad un certo punto, negli anni '80 (ero poco più di una bambina), iniziai a pensare che mi sarebbe piaciuto lavorare nel cinema, ma con questo intendevo quello americano, Hollywood. Qualsiasi cosa mi sarebbe andata bene, persino portare il caffè al regista. Il mio sogno era poter far parte in qualche modo di quella magia. Ma se uno deve sognare, tanto vale che lo faccia in grande, no? E allora iniziai ad immaginare di essere una regista, o meglio una regista, autrice del soggetto e sceneggiatrice: insomma la mente da cui scaturisce un film. Dal lato pratico, però, la cosa non era molto realizzabile (a parte qualche tentativo con le compagne di scuola e la mia prima telecamera), ma davvero niente poteva impedirmi di scrivere delle storie per il cinema. Poco importava se fossero rimaste lì nel cassetto. Il bello era creare delle storie. Da qui inizia il mio interesse per la scrittura, come strumento per dare vita alle mie storie. Il primo approccio con essa è stata proprio la sceneggiatura. Tra il 1993 e il 2000 ne ho scritto tre, che sono ancora lì nel mio cassetto (sono andate un po' in giro, ma poi si sono perse) e sono tuttora per me fonte di soddisfazione. Poi sono passata alla narrativa e, visto il mio legame col cinema, il primo approccio a questa forma di scrittura creativa sono state le fan fiction. Tra queste ce n'è una, completamente scritta da me (unica che ho portato a compimento) nella prima metà del 2000 e che vi presento oggi in una veste nuova. S'intitola "La morte è soltanto il principio" ed è ispirata al film "La Mummia" di Stephen Sommers del 1999 (Universal Pictures). Ve lo ricordate? Fu un campione d'incassi e si trattava dell'ennesimo remake del film omonimo del 1932, sempre della Universal, in cui, però, la parte horror era stata messa da parte, lasciando spazio all'avventura e all'azione, oltre che a un bel po' di ironia. Io ci andavo matta. Gli avevo dedicato un sito web ancora prima di vederlo e poi l'avevo visto al cinema due volte (cosa rarissima per me). Avevo creato un gruppo di fan su Yahoo! (dedicato al film, ma in cui si parlava in gran parte di Arnold Vosloo, l'attore che intepretava Imhotep, cioè la mummia), grazie al quale ho conosciuto delle care amiche, che sono tuttora tali. Avevo, inoltre, letto il libro tratto dalla sceneggiatura (sempre due volte) e così avevo pensato al modo in cui avrei continuato la storia, prima ancora che il suo sequel venisse girato (cosa che accadde nell'estate del 2000). È così che nacque "La morte è soltanto il principio". Lo stesso titolo è una citazione di una battuta del film. Ci lavorai per sei mesi, lo pubblicai nel mio sito su "La Mummia", insieme ad altre fan fiction, scritte dalle altre fan. Ed è rimasto lì per tutto questo tempo, finché il mese scorso ho deciso di rimmetterci mano. L'ho riletto e corretto, senza però alterarlo più di tanto. Mi sono limitata ad eliminare i refusi e poche altre cose. Ho creato una copertina. L'ho formattato per bene e adesso l'ho pubblicato su Smashwords (ovviamente è gratuito). Sebbene mi renda conto che non rispetta certo tutte le regole, che un romanzo dovrebbe avere (in 12 anni il mio stile è fortunatamente migliorato), ho voluto lasciarlo così come l'avevo concepito: con un taglio cinematografico molto essenziale (leggendolo si nota subito che venivo dalla scrittura di sceneggiature), con personaggi non particolarmente approfonditi, ma con lo stesso ritmo vorticoso (in alcuni casi letteralmente) e la stessa ironia (comicità?) del film. O almeno credo di esserci riuscita. Potete trovarlo qui www.smashwords.com/books/view/138178, dove può essere scaricato in tutti i principali formati ebook e di testo. Purtroppo nelle versioni epub e mobi il titolo del libro sul lettore non si legge benissimo, perché il convertitore di Smashwords fa a pugni con le lettere accentate nei titoli (mi sto rivolgendo all'assistenza del sito per vedere se si può fare qualcosa). L'interno dell'ebook, invece, è perfetto e devo dire che nel Kindle fa proprio una bella figura. Penso si veda altrettanto bene in altri lettori. Nel caso decidiate di cimentarvi in questa lettura (è un romanzo abbastanza corto), vi consiglio di rivedere il film o ripassare un po' la trama, altrimenti rischiate di non cogliere le decine di citazioni che vi ho inserito e la cura in cui ho ricostruito certe ambientazioni identiche all'originale. La storia in sé diverge completamente da quella del vero sequel, che non mi piacque per nulla, così come il finale. Siete curiosi? Ecco la quarta di copertina (virtuale):
"Londra, 1926 d.C. Quando Evelyn Carnahan rivede dopo alcuni anni la sua vecchia amica d'infanzia Anne Howard, si rende subito conto di quanto sia cambiata. La ragazza perennemente annoiata e insofferente, che ricordava, si è trasformata in una giovane donna sicura di sé, per niente addolorata dalla recente morte del marito Robert MacElister, avvenuta in circostanze misteriose durante una campagna di scavi in Egitto. Inoltre, al suo ritorno a Londra dopo questo viaggio, la giovane vedova ha portato con sé, oltre che una grande quantità di reperti da esporre al British Museum, uno strano egiziano di nome Assad, indossante il tatuaggio dei Med-Jai, gli antichi guardiani di Hamunaptra, la Città dei Morti scoperta non molto tempo prima proprio da Evelyn, suo fratello John e Rick O'Connell. Non tutto quello che Anne ha rinvenuto ad Hamunaptra, però, è stato esposto durante la mostra. Due sono gli artefatti, che la donna ha deciso di tenere per sé: una mummia malridotta e un libro nero, che necessita di una chiave per essere aperto. Ma ciò che Anne e Assad non sanno è che nel loro viaggio di ritorno sono stati seguiti anche da un'oscura presenza in cerca di una vendetta vecchia di tremila anni. Nel tentativo di risolvere questo nuovo mistero, i fratelli Carnahan e l'americano Rick O'Connell dovranno ben presto scontrarsi con forze sovrannaturali di gran lunga al di sopra della loro portata e saranno costretti, loro malgrado, a combattere ancora una volta per salvare il mondo. Nel farlo, però, troveranno in un vecchio nemico un inatteso e potente alleato."
Come potete vedere qui accanto sulla colonna a destra, anche io ho creato una mia mailing list, che vi presento con questo post. Prima, però, di parlarvene, volevo aprire una piccola parentesi sul ruolo che questo sistema di marketing può avere per uno scrittore. È indubbio che, se si ha una grossa mailing list, a cui inviare in un solo colpo la notizia dell'uscita di un nuovo libro, le possibilità che questo venga acquistato da molte persone in un breve tempo è estremamente più elevata rispetto al solo uso di uno o più social network per diffondere la stessa notizia. Il motivo è semplice: la mail, bene o male, la controllano tutti. Nei social network, invece, la probabilità, che un tuo post venga letto, dipende da quanti contatti ha chi dovrebbe leggerlo e con molta facilità potrebbe essere notato da pochissime persone, non svolgendo quindi appieno la sua funzione di marketing. Ma il vero problema delle mailing list è che queste devono contenere molti contatti, affinché funzionino a questo scopo, e che questi contatti di fatto le leggano. Per ottenere dei contatti esistono dei metodi in genere efficaci. Per esempio si può offrire qualcosa di gratuito in cambio dell'indirizzo e-mail del potenziale lettore. È un sistema molto utilizzato e senza dubbio funziona. Molte persone, però, storcono il naso di fronte a questa situazione. Si sentono obbligati a dare il proprio indirizzo, che molto probabilmente riceve già un sacco di posta inutile, che viene cancellata senza essere letta, e non ci tengono ad aggiungerne dell'altra. Altri temono che il loro indizzo possa essere dato a terzi, nonostante le rassicurazioni di chi gestisce la lista. Spesso risolvono il problema fornendo un indirizzo e-mail poco usato, che poi non ricontrollano più, dopo che hanno scaricato il materiale gratuito. Altri, invece, si fidano e usano il loro indirizzo e-mail principale. Il problema è cosa succede dopo. Chi ti dice che la persona dopo aver scaricato il materiale gratuito poi non si cancelli dalla lista? Io lo faccio quasi sempre, proprio perché per principio non mi va di essere costretta a dare il mio contatto per ottenere una cosa gratuita. Questo perché non so quanto ciò che sto per scaricare valga veramente. Preferirei provare a leggere il materiale gratuito e poi, se mi piace, iscrivermi alla mailing list per essere informata sull'altro materiale che verrà pubblicato in seguito. Mi sembra semplicemente più corretto. Altre volte non mi cancello subito, ma spesso, alla prima mail non interessante che ricevo, blocco l’indirizzo del mittente, in modo da non riceverne altre. C'è poi chi invece dà il proprio indirizzo e-mail, non si cancella subito né blocca il mittente, ma poi di fatto non legge mai le newsletter quando arrivano. Parlo di gente, come me per esempio, che quando scarica la mail si ritrova minimo 30-50 messaggi, dei quali una buona parte richiede una risposta, in quanto usa la posta elettronica soprattutto in ambito lavorativo, mentre preferisce i social network per tutto il resto. A meno che questa persona non abbia un particolare interesse in quel periodo per quella newsletter, essa finirà nel cestino insieme alle altre senza neppure aprirla. Verrà trattata allo stesso modo dello spam. È anche vero che, se la mailing list è sufficientemente grande, ci saranno comunque ancora moltissimi contatti "buoni", tutto ciò mi sembra in ogni caso uno spreco di energie. Andrò pure contro ogni dettame del marketing sul web, ma credo fermamente che l'iscrizione ad una mailing list di uno scrittore non debba mai essere forzata, bensì debba essere percepita come un vantaggio di per sé. Se ciò non avviene, ci si ritrova con una lista di numeri e non di persone. Personalmente preferisco avere a che fare con le seconde. Ed è così che mi piace concepire la mailing list, come un metodo di comunicazione diretto tra me e i miei lettori, non necessariamente unidirezionale, che fornisca qualcosa di diverso rispetto ai vari Facebook, Twitter e così via. Quindi non uno strumento di semplice pubblicità. Tutto questo perché con me non funzionerebbe. Per chi la pensa come me, una pubblicità sul web trovata sui “luoghi” che frequento abitualmente ha sicuramente molta più presa. Mi è capitato spessissimo di acquistare libri di autori non famosi, perché ho letto la pubblicità su Facebook e poi ho trovato un bel profilo pubblico e un bel sito con blog dell’autore, dove la gente interagisce. Oppure perché li ho scoperti su aNobii dove ricevevano molte recensioni (relativamente: si parla pur sempre di scrittori non famosi) o perché avevano una bella recensione su Amazon.it o perché venivano condivisi su vari social network da almeno due persone, con le quali sono in contatto. Sono tutte cose che fanno scattare la curiosità. In generale, maggiore è la gente che vedo interagire, più sono portata a pensare che il libro possa essere bello. Non posso, però, vedere tutto questo da un messaggio e-mail. Allora perché anche io ho creato una mailing list? Adesso ve lo posso spiegare. In primo luogo la lista si trova su Yahoo!Gruppi, da dove potete cancellarvi in qualsiasi momento, con un clic alla fine di ogni newsletter. Appena iscritti riceverete anche un messaggio di benvenuto dove è specificato anche come cancellarvi. In secondo luogo, sarà già molto se vi invierò un messaggio al mese. In terzo luogo, i messaggi serviranno solo per avvertirvi di un evento importante: uscita di un libro (speriamo presto!), disponibilità gratuita di un ebook (giveaway) e poco altro. Certo, sono cose che appariranno anche sui social network e su questo blog, ma, a differenza di questi ultimi, chi si iscrive alla mailing list è certo di riceverle per primo, il che è particolarmente importante, se l'informazione ha una scadenza. Già vi anticipo, infatti, che la prima puntata di "Deserto rosso", intitolata "Punto di non ritorno", sarà gratuita per un giorno intero appena pubblicata (parliamo almeno di marzo), poi passerà a 99 centesimi, perciò per essere i primi a saperlo o controllate tutti i giorni il blog, Facebook o Twitter oppure vi iscrivete alla mailing list. Chiaramente questo è solo un esempio. Di sicuro non scriverò una newsletter per avvertirvi di un post sul blog, né tanto meno per raccontarvi i fatti miei. Inoltre non metterò mai allegati. Eventualmente le pochissime volte che ne invierò una, riporterò anche il link a qualche post significativo o a qualcosa da scaricare. Inoltre rispondendo alla newsletter, potrete comunicare direttamente con me. Non vi ho convinti? Non fa nulla. Spero almeno che continuate a seguirmi sugli altri canali e, se mai cambierete idea, la casella per l'iscrizione alla newsletter si trova qui sulla colonna destra del blog (oppure potete mandare un messaggio vuoto a anakina-subscribe@yahoogroups.com).
Dopo aver passato più di tre anni a scrivere "L'isola di Gaia", sentivo il bisogno di cimentarmi in qualcosa di più immediato, che mi permettesse di sperimentare gli strumenti a disposizione degli autori indipendenti, mentre continuavo a lavorare al romanzo (editing e riscritture varie). Avevo bisogno di un progetto di dimensioni più ridotte, già definite in partenza e con una tempistica il più possibile gestibile, qualcosa che mi spingesse soprattutto a produrre senza farmi atterrire dal fatto di non sapere esattamente quando l'avrei terminato. Scrivere delle storie corte (novelle o racconti), però, non è proprio nel mio DNA, questo perché la dimensione di uno scritto è strettamente legata alla complessità della trama. E, diciamolo, io adoro le trame molto complesse. Allora ho pensato di aggirare il problema ideando a grandi linee una storia, come mi era capitato, quando avevo per la prima volta immaginato la trama del mio romanzo, ma che venisse suddivisa in puntate fatte e compiute delle dimensioni di una novella, da realizzare una per una nel dettaglio, in modo da avere subito qualcosa che potessi scrivere e terminare nel più breve tempo possibile. Ed è così che è nata l'idea di "Deserto rosso". Se paragoniamo un romanzo a un film, questa mia storia a puntate potrebbe essere definita una sorta di piccola serie, con episodi proposti a una certa cadenza (nel mio caso sarà di circa 4 mesi), ognuno dei quali si concentrerà su un determinato aspetto della trama, esplorando strutture narrative diverse, e terminerà con un cosiddetto cliffhanger. Sarà un vero e proprio esperimento. Gli episodi in totale saranno 3 o forse 4. Inizialmente avevo pensato a tre, ma, come sempre accade, più si pensa ad una storia più questa lievita, inoltre la possibilità di darle una struttura seriale implica quella di continuarla, utilizzando tutte le idee a disposizione, finché si è certi che tutti i fili della trama siano stati riallacciati nel migliore dei modi. Anche se sto già prendendo appunti per le puntate successive, ho dedicato l'intero mese di gennaio (o meglio tre settimane di tale mese) alla realizzazione della prima stesura della puntata numero uno. Mi sono data un target di 20.000 parole complessive e un altro per sessione di scrittura di 2000 parole, che ho quasi sempre rispettato (tempo permettendo). Alla fine ci sono riuscita. Nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio ho completato la novella raggiungendo e superando (anche se di poco) il mio target, cosa che ovviamente mi ha dato un certa soddisfazione. Chiunque scrive, conosce l'ansia che si prova nel dover completare uno scritto e, ogni volta che se ne termina uno, come questa vada acquietandosi accrescendo nel contempo la propria autostima. Ma parliamo un po' della trama. "Deserto rosso" segue le vicende di una missione su Marte, con permanenza a tempo indeterminato. Si tratta di una sorta di primo tentativo di colonizzazione del pianeta rosso, fatto da un equipaggio in realtà molto piccolo (solo 5 persone). La storia è ambientata in un futuro prossimo (fra almeno 50 anni). La missione Isis è la prima dopo un lungo periodo di pausa nell'esplorazione dello spazio, dovuto al tragico fallimento della missione precedente (avvenuta 30 anni prima). Questo è, però, solo il contesto in cui si muovono i personaggi e da cui parte l'intera storia. La prima puntata, intitolata "Punto di non ritorno", è narrata in prima persona da un membro dell'equipaggio, Anna Persson (esobiologa svedese), che per qualche motivo, a noi sconosciuto, abbandona di nascosto alle prime luci dell'alba la Stazione Alfa (la struttura abitativa) e si addentra con un rover nel deserto marziano. Il suo ha tutte le caratteristiche di un gesto suicida. Mentre Anna, da una parte, ci racconta passo passo i due giorni (tempo definito dalla sua riserva di ossigeno) del suo viaggio solitario, si sofferma a mostrarci eventi del passato precedenti alla stessa missione, muovendosi avanti e indietro nella sua memoria e svelandosi poco a poco a noi. Capiremo chi è, cosa l'ha portata a entrare nell'equipaggio dell'Isis, cosa (e chi) si è lasciata alle spalle e alcune fatti accaduti durante la stessa missione che potrebbero averla spinta a questo gesto estremo. Il tutto costruito in un crescendo che porta ad un finale inatteso. Esso chiude la prima parte della storia, ma allo stesso tempo apre nuovi scenari, dai quali scaturiranno le puntate successive. "Deserto rosso - Punto di non ritorno" raggiungerà la sua forma definitiva probabilmente a marzo e poi verrà pubblicato, in tempi brevi, come ebook Kindle sul Kindle Store di Amazon.it (gratis per i primi giorni e poi a 99 centesimi) e in altri formati compatibili con gli altri reader su vari negozi online. Non so se ne farò anche una versione cartacea, in quanto si tratta di un testo veramente corto (70 pagine circa). La farò solo se potrò proporre un prezzo davvero ridotto (pochi euro) o magari per avere delle copie promozionali. Per scrivere "Deserto rosso" mi sto documentando sui libri di Robert Zubrin, in modo da rendere la storia almeno in parte scientificamente plausibile, fin dove la narrazione me lo consente. Tra l'altro proprio oggi leggevo di un progetto chiamato COSMIC (Combustion Synthesis under microgravity conditions) dell'Università degli Studi di Cagliari, che servirà per mettere a punto sistemi per estrarre ossigeno, acqua, azoto dall'ambiente lunare o marziano e consentire così la vita degli astronauti che vi giungeranno nei prossimi decenni. Mi voglio informare sull'argomento e magari parlarvene più diffusamente in uno dei prossimi post. Tornando a "Deserto rosso", si tratta senza dubbio nel complesso di un'opera di fantascienza, ma che racchiude aspetti di generi diversi, dal thriller all'avventura. C'è un forte conflitto interiore, una storia d'amore, un mistero da scoprire, una discreta quantità di azione, morti più o meno naturali (sì, gente morta ammazzata), elementi scientifici reali e altri del tutto inventati e non manca una certa malvagità. Insomma, non è una semplice storia sull'esplorazione di Marte. Vi ho incuriosito? 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Chiunque si sia mai cimentato nella scrittura creativa sa che, almeno in teoria, prima di mettersi di fronte al foglio bianco, è necessario fare delle ricerche accurate sulle ambientazioni, il periodo descritto e gli argomenti trattati, in modo da creare una storia il più possibile realistica, ma anche avere ulteriori elementi per arricchirla e renderla interessante agli occhi del lettore. Gli scrittori di professione svolgono le ricerche in maniere diverse. Alcuni si trasferiscono per qualche settimana nei luoghi dove si svolgerà la loro storia, altri leggono libri sugli argomenti trattati, altri ancora intervistano esperti. Esistono mille modi diversi di fare una ricerca. Tutti questi input, oltre ad assicurare una certa padronanza dell'argomento, stimolano la fantasia e permettono di sviluppare le storie ben oltre l'idea iniziale. Certo fare delle ricerche in questo modo può essere a volte costoso. Lo scrittore che non navighi nell'oro, che sia professionista o no, spesso non può permettersi di girare il mondo, non ha la possibilità di incontrare esperti e così via, anche per il semplice fatto che non ne ha il tempo (e persino il tempo è denaro). In passato, però, le cose andavano anche peggio. Gli scrittori il più delle volte erano costretti a raccontare delle storie attinenti a cose che conoscevano bene o in cui vivevano o basandosi su quello che riuscivano a reperire dopo ore e ore di letture in biblioteca, poiché la possibilità di accedere ad altre informazioni era a dir poco proibitiva. E chi decideva di fregarse di questi limiti era costretto a basarsi sulla propria immaginazione, ammesso che ne avesse una veramente fervida. Basti pensare a Emilio Salgari, che nei suoi libri descrisse in maniera vivida e coinvolgente luoghi lontani che non aveva mai visto. Il suo modo di procedere era simile a quello degli attuali scrittori di un certo tipo di fantasy e di fantascienza, che arrivano letteralmente a creare dei nuovi mondi, che padroneggiano completamente, cosa che evita loro di fare delle grandissime ricerche. Ma, rispetto ai tempi di Salgari, gli scrittori di adesso, che siano super-dilettanti o autori di bestseller, possono contare su delle fonti immediatamente accessibili in qualsiasi istante, grazie alla più grande invenzione degli ultimi decenni: internet. Adesso, se vogliamo ottenere delle informazioni su di un argomento, lo cerchiamo su Google o andiamo direttamente su Wikipedia, se vogliamo vedere un luogo, in cui non siamo stati, possiamo contare su Google Maps e Google Earth. In alcuni casi questi ultimi ci permettono addirittura di muoverci per le strade di una città e vederne i dettagli, come se fossimo lì. Oppure andiamo su YouTube dove troviamo tantissimi video di documentari che parlano di vari argomenti o ancora, se ci serve un certo libro, lo possiamo acquistare in formato ebook in pochi clic. E se non abbiamo tanti soldi da spendere, basta affidarci al caro eMule, per trovare quello che ci serve, infrangendo qualche legge sul copyright. Insomma non abbiamo scuse. Tutto o quasi è alla nostra portata. Questo, però, cambia completamente l'approccio che possiamo avere nei confronti di una ricerca. Possiamo sempre fare alla vecchia maniera: leggendo, visionando video, guardando foto e così via e creando degli appunti, magari usando programmini come OneNote (o altri gratuiti) che ci permetto di copiare testi, immagini, link e organizzarli comodamente, per ritrovarli quando ci servono. Oppure abbiamo un'altra scelta. Possiamo iniziare a metterci a scrivere, magari dopo aver fatto qualche piccola ricerca preliminare (come la lettura di un libro, di un articolo o la visione di un documentario, giusto per entrare nel tema e catturare quella particolare emozione da cui nasce ogni storia) e poi, volta per volta, quando nasce la necessità, cercare quello che ci serve direttamente quando ci serve. Con una connessione permanente a internet ci basta tenere aperto un browser insieme al programma di scrittura e passare dall'uno all'altro con estrema facilità, mantenendo sempre viva quell'emozione e allo stesso tempo alimentandola con tutti quegli input immediati, il risultato dei quali possiamo metterlo subito nero su bianco senza temere che quella grande idea venga persa, perché non siamo stati in grado di fissarla nel momento stesso in cui ci è venuta in mente. Questo approccio non è certo ordinato e a prima vista potrebbe sembrare confusionario, in realtà si basa in tutto e per tutto sul modo in cui la nostra memoria lavora, cioè in modo associativo, passando da una cosa all'altra, piuttosto che lineare. Senza dubbio l'utilizzo di un metodo del genere richiede una certa disciplina e padronanza dei propri mezzi. È estremamente facile distrarsi e iniziare a navigare dimenticandosi di ciò che stavamo scrivendo. D'altra parte, però, se si riesce ad applicarlo correttamente, dà la possibilità di tuffarsi subito nella narrazione, evitando il rischio che quella particolare emozione (la cosiddetta ispirazione), una volta terminata ogni ricerca e organizzata la trama in ogni minimo dettaglio (di quest'ultimo aspetto ne parlerò più diffusamente in futuro), risulti svanita purtroppo nel nulla, prima di averla potuta sfruttare per quello che era il nostro unico scopo, cioè scrivere. E se questa ricerca in tempo reale ci porta a fare qualche errore? Be', che problema c'è? Le nostre parole non sono state di certo incise sulla pietra, ma neppure sulla carta. Una volta terminata la stesura, quando siamo certi di aver fissato tutto quello che ci frullava in testa, ci resta tutto il tempo del mondo per controllare, correggere e modificare quello che abbiamo scritto, tutte le volte che vogliamo.
Parlando del mercato editoriale italiano, il termine rivoluzione è ancora prematuro, ma sicuramente rende l'idea di cosa sta accadendo da poco più di due settimane, da quando, cioè, Amazon ha aperto il Kindle Store nel nostro paese. I suoi effetti, soprattutto nei paesi anglofoni, sono stati e sono tuttora tali da giustificare la parola rivoluzione. Il Kindle ha costretto il mercato editoriale statunitense (e sta facendo lo stesso negli altri paesi anglofoni) a cambiare radicalmente. La possibilità di acquistare, scaricare e iniziare a leggere un libro un minuto dopo averlo visto su Amazon, ovunque ci si trovi (grazie alla possibilità di acquistare direttamente dall'ebook reader), ha modificato il rapporto col libro stesso, aprendo sempre più spazio al cosiddetto acquisto compulsivo fatto in un qualsiasi momento e con un solo semplice click e reso più semplice, a livello sia psicologico che materiale, anche dai prezzi più contenuti degli ebook rispetto alle versioni cartacee. A soli 13 giorni dall'apertura dello store italiano, che sta sicuramente registrando un successo di vendite sia degli ebook reader che di conseguenza degli ebook, grazie alla vicinanza del Natale, i suoi effetti iniziano a vedersi. Basta andare a leggere i vari forum, social network e blog di lettori o che comunque si occupano di editoria per rendersi conto che tutti ne parlano. La rivoluzione, insomma, sta iniziando e ci sono tutti i presupposti che assuma caratteristiche simili a quella dei paesi anglosassoni, se non nelle dimensioni (per un'ovvia differenza di numeri), sicuramente nelle sue modalità. È certo che, se si parla di grossi autori e di grossi editori, le edizioni economiche, che si possono trovare ovunque (edicole comprese) e con prezzi bassissimi, la fanno ancora da padrone, quando si parla di acquisto compulsivo, ma i due fenomeni vanno a braccetto e di fatto poco si disturbano. Il lettore di bestseller, che ha fretta di leggere l'ultimo libro del suo autore preferito, può averlo in pochi istanti ad un prezzo più basso rispetto alla versione cartacea, senza aspettare di trovarlo in libreria o che gli venga recapitato dalla posta. Quello che non ha fretta, continuerà ad attendere le versioni economiche (o i mercatini dell'usato), ma, se ha un ebook reader, lo utilizzerà per sperimentare diversi tipi di autori, i libri dei quali in versione cartacea hanno sempre prezzi eccessivi rispetto alla loro notorietà, che non si trovano in libreria e non sono sempre disponibili in tutti i negozi online, che vengono pubblicati solo come ebook: insomma i libri dei cosiddetti "autori indipendenti". Ma chi sono gli autori indipendenti? Questo termine dal suono elegante non è altro che un modo di definire gli autori che si autopubblicano. Accostando le due parole se ne riceve, però, una percezione diversa. In Italia si usa ancora la parola autopubblicazione invece che editoria indipendente (sentite come suonano diverse?), implicando un suo valore inferiore rispetto alla pubblicazione tramite gli editori. I motivi di questa sua accezione negativa sono tanti. Prima di tutto si tende a pensare che se un libro vale o un autore è di talento prima o poi, se si impegna abbastanza, troverà sicuramente un editore disposto a investire su di lui per pubblicare il suo libro. Questo sarebbe vero in un mondo perfetto, dove ci sono editori disposti a leggere e valutare seriamente ogni opera, che abbiano la facoltà (economica) di pubblicare e promuovere qualsiasi libro. La realtà non è così. Come sappiamo, nel mercato editoriale, così come in quello musicale o cinematografico, conta solo ciò che vende, affinché la spesa fatta (e si parla di molti soldi) porti ad un altissimo introito (medio o alto non basta). In un sistema del genere i grandi editori, che sono quelli veramente in grado di valorizzare un libro, devono fare delle scelte che sono prima di tutto economiche. La qualità viene molto dopo o mai. Allora all'autore valido, del quale parlavo prima, cosa resta? I piccoli-medi editori, che magari sono più attenti al singolo individuo o prodotto, anche perché non hanno i mezzi per gestirne molti, ma che per lo stesso motivo non sono in grado di valorizzarlo come merita (rendendolo pressocché invisibile nel mercato). Ma c'è anche un altro fatto: molti di questi editori non possono contare su personale preparato (ricordate? non hanno soldi), perciò la fase di selezione e di editing lascia spesso moltissimo a desiderare. E poi ci sono quelli che addirittura ti chiedono soldi per pubblicare. Quelli sì che pubblicheranno il tuo libro al 100% e guadagneranno alle tue spalle, mentre tu continuerai ad essere invisibile. Tutti si prendono i diritti sull'opera. Nonostante questo, si tende a pensare che questo autore, solo perché ha trovato un editore anche piccolissimo, che ha pubblicato il suo libro (gratuitamente o a pagamento), sia stato sottoposto ad un filtro serio e rigoroso e di consequenza, anche se si ammette l'esistenza di un certo fattore fortuna, sia comunque un buon autore. Molte di queste persone che pensano questo, in realtà poi i libri degli esordienti neppure li leggono, perché altrimenti saprebbero che non è proprio così. Per quello che si autopubblica invece si parla di vanity press. Si pensa che sia qualcuno che scrive, pensando di essere bravo, ma non lo è visto che nessuno l'ha voluto pubblicare, e che, dopo aver scritto la prima stesura di un libro, prenda e lo pubblichi così com'è. In realtà molti di questi autori indipendenti sono serissimi nel loro approccio alla scrittura. In Italia esiste da parte loro ancora molta ingenuità e scarsa conoscenza, ma se ci spostiamo negli Stati Uniti scopriamo che c'è tutto un fittissimo sottobosco di autori indipendenti che campano scrivendo. Sì, avete letto bene. Prima di tutto scrivono tantissimo e in forme tra le più svariate: romanzi, saggi, racconti, novelle, storie a puntate. Pubblicano in continuazione qualcosa di nuovo, perché più si pubblica più si vende. Si rivolgono a professionisti per la grafica di copertina e l'editing (professionisti veri, non gente improvvisata), per la formattazione del testo, per la produzione di un audiolibro e tutto quanto riguarda il loro libro. In altre parole investono sul loro prodotto. Sono espertissimi di tutti i sistemi di marketing online e non, e continuano a studiarne di nuovi. Ma soprattutto pubblicano al 99% esclusivamente ebook (e, al massimo, audiolibri). I pochi libri cartacei in circolazione sono utilizzati solo a scopo promozionale o per i parenti o per ricordo personale. Pochissimi vengono venduti, perché con l'autopubblicazione non possono fare concorrenza ai prezzi dei formati economici dei bestseller. Ma possono farlo con gli ebook, partendo da cifre come 99 centesimi fino a pochi dollari, giocando con questi prezzi e magari dando qualche libro in regalo per fidalizzare nuovi lettori. Insomma sono dei professionisti a tutti gli effetti. Dinanzi a personaggi del genere è chiaro che il termine autore indipendente acquisisce ben altro valore. Tanto di cappello a queste persone, che evidentemente hanno del talento e non parlo solo di quello di scrivere bene. E quest'ultimo suppongo che ci sia, se migliaia di persone ogni mese acquistano i loro libri e li giudicano positivamente. Forse non tutti saranno dei geni della scrittura, ma ciò vale anche per gli autori di bestseller. Nel riflettere su tutto questo, mi sono posta una domanda: un sistema del genere potrebbe essere vincente anche in Italia? Premesso che i tempi non sono ancora maturi, perché manca la preparazione da parte degli autori, perché è difficile individuare dei veri professionisti ai quali appoggiarsi per editing e tutto il resto e neppure i lettori forse sono ancora pronti, se non altro perché l'ebook reader sta ancora iniziando a diffondersi, non è comunque agevole rispondere a questa domanda. Ciò che permette a molti autori indipendenti americani o comunque anglofoni di avere successo è il fatto che hanno a disposizione un numero di lettori immenso, pressoché infinito. Oltre al fatto che, mettendo insieme i paesi madrelingua inglese, il pool di possibili lettori è già di per sé enorme, c'è da aggiungere che in realtà tutto il mondo più o meno parla inglese. Magari non tutti sono in grado di leggere un libro, ma una buona parte di essi lo è. I numeri in gioco sono ben diversi rispetto a quelli relativi alla lingua italiana, considerando che l'Italia non brilla per essere un paese di forti lettori. È anche vero però che i grandi numeri del panorama anglofono non riguardano solo i lettori, ma anche gli autori indipendenti. C'è, di conseguenza, una maggiore concorrenza. Anche se costano poco, un lettore non può comprare i libri di tutti, altrimenti va in bancarotta e poi non avrebbe il tempo di leggerli. In Italia la potenziale concorrenza è sicuramente minore, quella effettiva, al momento, è quasi nulla. Questo perché di autori indipendenti con le capacità e le conoscenze che ho descritto sopra ce ne sono ancora pochi, molti di essi non ne sono del tutto coscienti. Quelli che per primi avranno il coraggio di mettersi in gioco potrebbero forse farcela? Non ci resta che attendere e vedere cosa accadrà.
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Magari vi chiederete perché parlo di questi due argomenti nello stesso post. Apparentemente hanno poco a che vedere l'uno con l'altro. I primi rappresentano un metodo alternativo di fruizione della letteratura, i secondi sono uno strumento di marketing. Ciò che li accomuna è la tendenza di entrambi di fornire un'interpretazione dell'opera letteraria, che può sostanzialmente divergere da ciò che il lettore s'immaginerebbe autonomamente leggendo un libro. Il bello della lettura è che abbiamo davanti un testo scritto e nient'altro e su quelle parole creiamo nella nostra mente un mondo unico. Ognuno di noi s'immagina qualcosa di totalmente diverso per quanto riguarda le ambientazioni, l'aspetto dei personaggi, le loro voci, le loro emozioni. La lettura è un'esperienza molto intima, personale. Ciò che rende bello o brutto un libro siamo prima di tutto noi, con i nostri gusti, la nostra sensibilità e il nostro stato d'animo del momento. Questo suo essere così speciale differenzia notevolmente la narrativa da altre forme d'arte che ci raccontano delle storie, come il teatro o il cinema, poiché prevede un ruolo più attivo da parte del suo fruitore. Ma se qualcuno legge per noi un libro, interpretandolo con la voce e mettendo quindi del suo in questa sua interpretazione, e se a questo si aggiunge qualche musica o qualche effetto sonoro, per forza di cose la nostra fantasia viene influenzata e viene meno gran parte della creatività che ognuno di noi mette nella lettura, trasformandola in qualcosa di più passivo. Probabilmente in questo modo si perde una parte del divertimento, che dipende strettamente anche dal dare i nostri tempi alla lettura, soffermarsi su certi passaggi piuttosto che sorvolare su altri, accelerare e rallentare, tutte cose che rendono il libro un po' nostro. Allo stesso modo, se prima di leggere un libro vediamo un booktrailer, non c'è il rischio di venirne influenzati? Se questo è particolarmente complesso, con tanto di attori e ambientazioni ben definite, il rischio c'è eccome, come pure è molto facile che ciò che vediamo non abbia niente a che vedere con ciò che la nostra immaginazione sarebbe in grado di tirare fuori da un libro. Si tratta infatti della visione di un'altra persona, che con molta probabilità potrebbe non piacerci. In tutta sincerità raramente ho visto un booktrailer che mi sia piaciuto. Talvolta si tratta di video imbarazzanti costruiti mettendo insieme foto e musiche famose usate senza il permesso dell'autore, che definirei il contrario di qualsiasi forma di pubblicità. Altri sono estremamente elaborati, tanto da trasformarsi in piccolissimi cortometraggi, che sarebbero pure carini, se non pretendessero di pubblicizzare un libro. Gli unici che considero belli, perché efficaci nel far nascere in me l'interesse verso il libro, sono prima di tutto cortissimi (30 secondi, il tempo di uno spot o di un trailer corto di un film, oltre il quale l'attenzione sul web tende a calare e cresce la noia), non mostrano praticamente nulla (niente volti distinti, ambientazioni non ben definite o comunque che appaiono troppo velocemente per essere chiare), usano slogan accattivanti e musiche originali, simili a quelle di un film. In pratica si tratta di spot pubblicitari. Ma il booktrailer serve davvero? È una pratica sempre più diffusa, ma nonostante questo, sia dalla mia esperienza personale da lettrice che leggendo le impressioni di altri, sembra più che altro uno strumento a doppio taglio, che costa e, se non fatto come si deve, rischia di svilire l'opera o darne un'immagine non appetibile per tutti. La mia opinione è che una delle cose più belle del porsi davanti a un libro è il non sapere cosa c'è dentro, a parte il genere in cui si colloca. Niente ti incuriosisce di più dell'avere davanti una copertina accattivante e un titolo efficace, magari con l'aggiunta di uno slogan, una frase a effetto presa dal testo. Talvolta aiuta anche la quarta di copertina, se fatta con criterio (sarebbe da scriverci un post a riguardo!), che deve dare una vaga indicazione del tipo di storia. Perciò una qualsiasi forma di pubblicità dovrebbe mettere in evidenza unicamente questi aspetti e lasciarci liberi di fantasticare sul resto, tanto da essere così incuriositi da volere quel libro. Tutto il resto è superfluo, fuorviante e potenzialmente controproducente.
Un esempio di booktrailer/spot di grande livello: "Red Mist" di Patricia Cornwell (avrete capito che è una delle mie autrici preferite, no?).
Seguo in maniera assidua alcuni blog, sia italiani che stranieri, che si occupano esclusivamente di scrittura e discutono su vari argomenti relativi ad essa, dispensando consigli e regole. Alcuni di questi blog appartengono a scrittori o editor professionisti, insomma gente che con la scrittura ci campa. La prima cosa che si nota, di solito, è che la maggior parte degli scrittori professionisti (ma non tutti) hanno un approccio più soft, raccontano le loro impressioni e i loro metodi, quasi mai pretendono di avere la verità in tasca. Il loro blog (o Twitter o Facebook) è uno strumento di marketing e apparire simpatici li aiuta a vendere. In ogni caso ciò che trasmettono risulta spesso molto interessante e utile. Gli editor professionisti invece si concentrano su ciò che non andrebbe fatto e sono abbastanza bacchettoni, ma d'altronde si tratta di una deformazione professionale. Il loro lavoro non è creare ma correggere quello creato dagli altri. Non possono e non devono apparire troppo umili e insicuri, altrimenti se ne metterebbe il dubbio la capacità di fare il loro lavoro. In entrambi i casi ci sono delle eccezioni, ma più o meno la situazione è questa. Il discorso cambia quando non si ha a che fare con professionisti (nell'accezione che ho riportato sopra), ma con chi lo fa per hobby o sta iniziando a farne un lavoro, ma non ci campa di certo. Stranamente i non professionisti hanno quasi sempre qualcosa da insegnare. Al di là del fatto che quello che scrivono sia valido oppure no, il più delle volte si tratta di opinioni trasformate in verità assolute, per cui la prima domanda che sorge è: che titolo hanno per insegnare agli altri? Non so voi, ma io lo trovo fastidioso. Queste stesse persone poi dicono che gli autori esordienti sono presuntuosi (dare del presuntuoso agli altri non potrebbe essere a sua volta presunzione?). È vero sì che c'è un sacco di gente che scrive e non conosce neppure la grammatica e la sintassi, ma qui parlerei più di ingenuità che di presunzione. È anche vero che l'autore esordiente si infastidisce se riceve delle critiche, ma questo riguarda chiunque faccia un lavoro (creativo o no). Tutti si infastidiscono. Ognuno ama quello che scrive e ci crede. Rimane male davanti alle critiche su di esso, persino gli autori di bestseller mondiali. E ha difficoltà ad eccettare che gli altri ci mettano mano, poiché si tratta di un'intrusione in qualcosa di intimo, che rischia di essere snaturato. Gli scrittori professionisti hanno gli editor che spesso stravolgono ciò che loro scrivono, ma questo non significa che faccia loro piacere. La differenza sta nel fatto che sono pagati per vedere il loro lavoro stravolto. Non scrivono più per il semplice piacere di farlo, come un esordiente. L'approccio e le motivazioni sono totalmente diverse. Se mai dovessi avere la fortuna che qualcosa che ho scritto suscitasse l'attenzione di un editore che mi vuole pagare un anticipo sui diritti (sognare non costa nulla), a quel punto sarebbe liberissimo di far massacrare il mio testo. Se però non paga o addirittura sono io a dover pagare, è normale che storca il naso. Come minimo. Come forse sapete, la mia occupazione principale sono le traduzioni e in questo ambito mi capita spesso di dover fare la revisione del lavoro di altri. Nel fare una revisione succede una cosa strana: più il testo è scritto bene più si cerca il pelo nell'uovo, per giustificare la spesa del cliente, più è scritto male più si è permissivi, affinché il compenso accordato non sia troppo inferiore al lavoro fatto. Si tratta di un meccanismo inconscio, non voluto. Ci si abitua allo standard che si ha davanti e ci si fa influenzare da esso. Il secondo dei due è abbastanza comprensibile. In ogni caso il testo viene migliorato in maniera commensurata al prezzo. Ma il primo talvolta può essere pericoloso, poiché porta ad una eccessiva interferenza del revisore nel testo. Finché si parla di traduzioni poco male. Ma, se trasferiamo questo ad un testo originale, non c'è il rischio di snaturarlo a livello stilistico? E poi siamo sicuri che questo cambiamento, che è soggettivamente gradito all'editor che l'ha fatto, sia un reale miglioramento? Se si parla di editor esperti pagati da un editore, che quindi rendono il testo più in linea con la possibilità di venderlo, è un conto. Queste persone sono pagate a prescindere, anche se si limitano a cambiare poche virgole, purché il risultato finale sia come vuole l'editore. Non devono dimostrare nulla all'autore. Ma se si tratta di editor freelance, pagati dall'autore, per migliorare il testo prima di inviarlo ad un editore, mi sembra che ci sia il reale rischio di buttare via dei soldi, perché l'editor tenderà a voler dimostrare all'autore di essere, come minimo, più bravo ed esperto di lui (se non lo fosse, a che servirebbe?). Perdonate questo post leggermente polemico, ma l'argomento è controverso e talmente pieno di sfumature che è difficile capire cosa sia meglio, ma comunque, a mio parere, merita una certa riflessione.
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