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 Les Calanques (Marsiglia)... di Carla
 

"Tu ami essere un astronauta, fa parte della tua essenza." Deserto rosso - Ritorno a casa

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 13/07/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2681 volte)


 Realistico, inquietante, imprevedibile

Non è un caso che Marc Elsberg venga paragonato a Frank Schätzing. Questo suo romanzo è davvero un bellissimo techno-thriller europeo, che dà molti numeri alle opere dei colleghi d’oltreoceano. La storia di un blackout esteso per tutta Europa è particolarmente inquietante poiché gli scenari descritti sono molto realistici. Non si parla del futuro, ma di qualcosa che potrebbe accadere anche in questo momento. Siamo abituati a dare per scontata la disponibilità di corrente elettrica, ma cosa accadrebbe se questa venisse a mancare per giorni o settimane? Quali sarebbero le conseguenze? Ma, soprattutto, quale o chi ne potrebbe essere la causa?
Tutti questi aspetti vengono esplorati in “Blackout”.
La parte tecnica è molto accurata e interessante, segno che l’autore deve aver fatto grandi ricerche (sebbene lui stesso ammetta di essersi preso diverse licenze), ma, nonostante l’abbondanza di informazioni, non è mai noiosa.
Il romanzo può essere definito corale, in quanto in esso si muovono tanti personaggi, all’inizio apparentemente separati gli uni dagli altri, ma le cui vicende finiscono per convergere. E, anche se sono numerosi, Elsberg riesce a caratterizzarli bene. In particolare mi sono sentita coinvolta nelle peripezie di Piero, che è quello che potrebbe essere indicato come protagonista.
La scelta di dare il ruolo di eroe a un italiano è sorprendente, essendo stata fatta da un autore di lingua tedesca (ma di nazionalità austriaca). Anzi, praticamente tutti i personaggi più positivi del romanzo non sono tedeschi, mentre questi ultimi fanno spesso la figura di quelli che sbagliano (talvolta in maniera fraudolenta) o sono troppo rigidi nelle proprie posizioni e quindi incapaci di trovare reali soluzioni.
Ho letto un altro romanzo su un argomento simile, intitolato “Cyberstorm”, di Matthew Mather (autore canadese). Parlava del blocco di internet e del conseguente venir meno della fornitura di elettricità in una New York flagellata da una lunghissima tormenta di neve. Ma “Blackout” è, a mio parere, un’opera migliore poiché illustra uno scenario più realistico e soprattutto è un vero techno-thriller, in quando racconta il fenomeno del sabotaggio alla rete elettrica e di come tutti i cerchino di venirne a capo fino alla sua risoluzione. “Cyber Storm”, invece, si concentra sul dramma del protagonista che non ha idea di cosa stia accadendo e non ha nulla a che vedere con le investigazioni. Inoltre la tecnologia è solo accennata, facendo scivolare la trama nell’americanata post-apocalittica. Non c’è nulla da fare: in certi ambiti creativi gli europei hanno la capacità di uscire dai cliché, di pensare fuori dalle righe e di creare delle storie originali e dagli sviluppi imprevedibili. Mentre gli autori di oltreoceano tendono a ricadere su certi temi. Probabilmente è perché gli americani di fatto conoscono poco le altre culture (anche per motivi geografici) e finiscono per interpretare tutto attraverso la loro, mentre gli europei sono già di per sé un guazzabuglio di culture in continua interazione e che ricevono da sempre le conoscenze di quelle esterne, prendendo da ognuna diversi aspetti e creando così innumerevoli combinazioni originali.
È ottima persino la traduzione, cosa più unica che rara al giorno d’oggi. Dal tedesco in un certo senso è più facile ottenere un italiano perfetto, vista la notevole somiglianza a livello di sintassi. Comunque è bello leggere finalmente un libro in italiano che non sembra tradotto.
Lo stesso personaggio di Piero, un hacker di Milano, è credibile. Non ci sono le solite forzature che si vedono nelle opere di autori stranieri quando descrivono dei personaggi italiani.
Infine devo dire che, pur essendo un libro molto lungo, l’ho fatto fuori in pochi giorni. Non riuscivo a smettere e non vedevo l’ora di rimettermi a leggere.
Ho provato a pensare quale potesse essere un aspetto negativo di “Blackout”, in relazione ai miei gusti, ma in tutta onestà non ne ho trovato uno.

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Di Carla (del 18/07/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3936 volte)

 Ingenuo cliché
 
Dovrei dire che la recensione contiene qualche anticipazione sulla trama, ma in realtà quest’ultima è talmente scontata che non credo che sia necessario.
Partiamo dai pochi aspetti positivi del romanzo.
La prosa è sicuramente molto bella e pulita, ed è esaltata da una buona traduzione. L’autrice ha un’ottima gestione del punto di vista della protagonista e nel complesso il testo ti porta a una lettura veloce, anche se devo confessare che ho avuto fretta di finirlo pur di liberarmene al più presto.
Ma, nonostante le ottime doti tecniche, la storia è soltanto un ingenuo cliché.
L’inutile prologo fa capire subito come si svolgerà la storia e come finirà: anticipa la morte del bambino (cosa che poi effettivamente avviene a circa l’80% del romanzo), che lei è sola e che c’è qualcosa di strano che riguarda il marito.
Tutto il resto si chiarisce nei primi capitoli.
Jenny, la protagonista, è assolutamente non credibile. Quando mai una madre single, divorziata, che quindi ci è già passata, a New York (mica in un paesino di zotici), si fida subito del primo tipo che si interessa a lei? Anzi, dovrebbe dubitare di questo interesse subitaneo. Lui le chiede di sposarla dopo una settimana! Qualunque donna sarebbe scappata a gambe levate e una come lei, che ha due figlie, più veloce di qualunque altra. Questa poca credibilità la rende un personaggio fastidioso per la sua eccessiva stupidità, debolezza e per la totale mancanza di carattere.
Il fatto che la storia sia ambientata negli anni ’80 può giustificare la trama trita a ritrita (al tempo lo era un po’ meno), ma non la sua pessima esecuzione e i suoi personaggi bidimensionali.
Lui ha un’aria sinistra già da subito. Dopo aver letto il prologo, viene naturale dubitare subito di lui, tanto più per via del suo modo di essere invadente e prevaricante con una donna appena conosciuta e cui si interessa perché è quasi identica alla madre morta, altro motivo per cui qualunque persona sana di mente sarebbe fuggita subito da lui.
I tentativi dell’autrice di confondere la carte e far dubitare della protagonista falliscono miseramente. Non una volta è riuscita a sviarmi dalla convinzione, maturata dal primo momento che ho incontrato Erich nel primo capitolo, che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, che fosse lui la causa di tutto. L’inserimento tardivo di elementi di dubbio sembra un arrampicarsi sugli specchi e la tendenza della protagonista a dare credito a essi ne dà un’immagine ancora più stupida e debole.
Il finale è scontato. E come volete che finisca una storia del genere? Dai!
La citazione velata, ma neanche tanto, a Psycho avrà fatto rivoltare Hitchcock nella tomba.
Era la prima volta che leggevo un libro della Higgins Clark e, senza dubbio, sarà l’ultima.
 
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Di Carla (del 27/07/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3222 volte)

 Terrificante, angosciante, geniale
 
Questa recensione sarà breve. Mi vengono così, quando un libro mi piace tanto da non riuscire a trovargli difetti e allo stesso tempo quando a renderlo un buon libro sono pochi elementi orchestrati magistralmente. È il caso di questo romanzo abbastanza breve di Matheson. Esso racconta la vicenda singolare di un uomo che, a causa di una nube radioattiva, ha sviluppato una patologia che lo sto facendo rimpicciolire di tre millimetri al giorno.
La storia si svolge su due piani temporali che scorrono in parallelo. Uno narrato dal protagonista ormai piccolissimo e bloccato nel seminterrato di casa sua, dove deve lottare quotidianamente per procurarsi da mangiare e sopravvivere agli agguati di un ragno enorme (dal suo punto di vista). Nel secondo, invece, il personaggio ripercorre gli eventi che l’hanno portato da uomo normale a un essere tanto piccolo da non riuscire a uscire dal seminterrato.
Durante la lettura l’immedesimazione col protagonista è totale. La sua vergogna mentre diventa sempre più piccolo è anche del lettore, come pure il terrore che prova nel destreggiarsi nell’ambiente ostile del seminterrato che diventa ogni giorno più grande. Da una parte sei curioso di sapere come mai è finito là sotto e apparentemente a nessuno importi, dall’altra vuoi scoprire cosa accadrà quando arriverà il giorno in cui la sua altezza dovrebbe azzerarsi. E l’autore gioca bene le proprie carte, facendo accrescere la tensione al massimo per poi passare all’altro piano temporale, e quindi ripetere lo stesso crescendo.
E così, nell’andare avanti con la lettura, non hai mai idea di cosa potrà accadere nella pagina successiva e lo stesso finale, meraviglioso e geniale nella sua semplicità, ti lascia a bocca aperta.
Aggiungo inoltre che, nonostante si tratti di un libro con qualche decennio sulle spalle e di cui ho letto una traduzione non recentissima, sembra quasi contemporaneo. Non ho notato, né nel linguaggio né nel modo in cui si sviluppa la narrazione, alcuna ingenuità o altro aspetto che mi ricordasse la sua età. Ma ciò non mi stupisce più di tanto, poiché finora è stato quasi sempre così con i romanzi di Matheson.
 
 
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Di Carla (del 01/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3412 volte)

 (Quasi) nessuno è come Bourne
 
Il secondo libro della trilogia originale di Jason Bourne si distacca parecchio da ciò che abbiamo visto nel primo. Una volta risolto il dilemma dell’identità del protagonista, Ludlum ci propone nuovi scenari, minacce e sfide per il nostro superagente segreto.
Per il lettore, il ritrovare con piacere i vecchi personaggi si mescola con la necessità di rimanere attento nella lettura per comprendere l’ingarbugliato intrigo che li vede protagonisti. Ludlum ci fa fare un tuffo nella Cina degli anni ’80 e nei meccanismi sociopolitici del tempo, di cui mostra una profonda conoscenza. Magari non li capiamo tutto, ma ne ricaviamo un quadro generale che appassiona e inquieta, e che senza dubbio fa la felicità di qualsiasi amante delle spy story (come me!).
A ciò si aggiunge il fascino intramontabile di Webb/Bourne, l’eroe danneggiato, sull’orlo della follia (parola che Ludlum usa molto spesso!), folle e fragile, non infallibile, che sa essere freddo, ma anche amare con profondità. Accanto a lui il personaggio di Marie (il mio preferito dopo lo stesso Bourne), come pure quello di Alex e Mo, sono ugualmente centrali nella storia e coinvolgenti. E sono soprattutto essenziali per richiamare il protagonista alla realtà, per saper mettere da parte il Bourne che c’è in lui e tornare a essere David Webb.
Unico aspetto per così dire negativo è la presenza di alcuni passaggi un po’ lenti e qualche inutile ripetizione di ciò che è accaduto nel primo libro.
L’edizione, purtroppo, non è affatto buona. La traduzione è talvolta letterale. Ho letto altri libri di Ludlum con una traduzione in grado di evidenziare la sua bella prosa. Questi di Bourne purtroppo avrebbero bisogno di una revisione, se non altro per eliminare i refusi. Dopo trent’anni sarebbe il caso di farne una, invece di limitarsi a modificare la copertina quando si pubblica una nuova edizione.
Una curiosità sulla scrittura di Ludlum: nei suoi libri non appare alcun tipo di linguaggio volgare, preferisce usare eufemismi e metafore, eppure, stranamente, non si risparmia con le bestemmie. Tutti i personaggi, dal primo all’ultimo, almeno una volta invocano Dio, Gesù o Cristo (o varianti), ma non dicono una sola parolaccia!

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Di Carla (del 05/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2894 volte)

 Il ritorno del violagiorno
 
Avevo apprezzato parecchio l’originalità de “Il sistema Dayworld” e mi ero divertita a leggerlo. Questo suo seguito e secondo libro della trilogia non mi ha del tutto convinto, almeno non quanto il precedente.
Come sempre Farmer mostra di avere una fantasia galoppante e il suo world building è molto accurato. Pur essendo un seguito, a causa del cambio di ambientazione ha dovuto reinventare da capo i luoghi in cui si svolge la storia, proiettando il lettore in una Los Angeles distopica che va oltre ogni immaginazione.
Jeff Caird, infatti, lascia Manhattan e con una nuova identità, che si aggiunge alle sette precedenti, scappa sulla costa occidentale. Tutti lo cercano, poiché uno dei suoi alter ego custodisce un segreto che può ribaltare l’intero sistema.
La storia che riprende esattamente dal punto in cui è finito il primo libro necessita assolutamente della lettura di quest’ultimo per essere compresa a fondo. Devo dire che le serie in cui è obbligatoria la lettura in ordine dei romanzi sono le mie preferite, quindi si tratta senza dubbio di un aspetto positivo.
Il protagonista sa ancora una volta essere coinvolgente per la sua fallibilità e follia, e la trama è del tutto imprevedibile. Non hai la più pallida idea di cosa attenda i personaggi nella pagina successiva né riesci a immaginare un epilogo possibile all’intera storia.
Purtroppo, però, non posso dare il massimo dei voti a questo romanzo, perché ci sono alcuni aspetti che non mi sono piaciuti.
La trama è infarcita di intrighi negli intrighi, creando una complessità che definirei sterile. Inoltre, il distacco necessario dalla struttura del primo libro costringe l’autore a inventarne una nuova che non risulta altrettanto vincente.
Infine, si sente che si tratta del libro intermedio di una trilogia e quindi soffre il suo essere un racconto di transizione.
A questo punto devo procurarmi l’ultimo per sapere come va a finire!
 
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Di Carla (del 08/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3097 volte)

 Un’eredità maledetta
 
Sebbene si tratti dell’ennesima storia di un complotto nazista ambientato decenni dopo la fine del Nazismo, questo romanzo di Ludlum sa essere originale e intrigante. Il protagonista, Noel Holcroft, mi ha catturato da subito. È facile sentirsi legati a lui e preoccuparsi per lui nel rendersi conto di come si stia infilando nei guai. L’autore, infatti, mostra il dipanarsi della storia da vari punti di vista e il lettore è sempre un passo avanti rispetto ai personaggi, sia buoni che cattivi.
Anche in questo romanzo si ripropone lo schema vincente, già visto nella trilogia di Bourne, di un protagonista maschile fisicamente forte ma in difficoltà e di quello femminile che lo aiuta (e infine si innamorano).
Come unico aspetto negativo ho rilevato la presenza del solito cliché dei nazisti supermalvagi e folli, che compiono le peggiori nefandezze senza il minimo rimorso e che hanno dei seguaci disposti pure a uccidersi per la causa. Nello sviluppo di questo concetto sfugge quale sia la causa che perseguono, a parte la loro follia. Possibile che siano tutti folli? Ci potrà pure essere qualche folle, ma almeno qualcuno dovrebbe avere altre motivazioni, come la sopravvivenza (almeno) o un proprio tornaconto. Il lavaggio del cervello come unico motore delle azioni appiattisce irrimediabilmente i personaggi negativi, sminuendo di riflesso quelli positivi.
Per fortuna il romanzo termina con un finale aperto assolutamente imprevedibile che fa dimenticare tutti i cliché.
Altra nota positiva è la traduzione, sicuramente molto più curata e gradevole di quella dei libri su Bourne.
 
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Di Carla (del 11/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3062 volte)

 Un altro inganno del maestro
 
Spesso Crichton si è divertito a scrivere i propri libri in modo che sembrassero delle storie vere di cui stesse facendo un puro resoconto. L’attenzione che pone nelle finte introduzioni o prefazioni è tale che alla prima lettura non ci si accorge che esse stesse sono l’inizio del romanzo.
È quello che accade anche in “Mangiatori di morte”, in cui l’autore finge di tradurre il manoscritto del protagonista, Ibn Fadlan. Il suo intento è perfettamente riuscito. Il testo sembra davvero scritto dal personaggio storico, che in realtà non è mai esistito, sia per lo stile sia per le parti mancanti, che vengono spiegate come se davvero il libro fosse frutto di un lavoro di ricostruzione. Si tratta in realtà di un’opera di finzione in parte ispirata alla storia di Beowulf.
Nonostante lo stile reso volutamente datato, la trama è avvincente e apre uno squarcio di conoscenza sulla civiltà dei normanni, vista da quella allora più civilizzata di un arabo proveniente da Baghdad. Dopo il tempo necessario a adattarsi è questo tipo di narrazione, a un certo punto riuscivo addirittura a vedere le scene formarsi davanti agli occhi, tale era l’interesse che suscitavano in me.
All’interno della storia l’autore riesce anche a inserire qualcosa di scientifico che la rende ancora più affascinante: l’incontro con un ominide (forse) ancora esistente a quei tempi.
Il finale troncato è una genialata e aggiunge ulteriore credibilità all’inganno di Crichton, che con questo romanzo mostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, di essere un grande narratore.
L’unico aspetto negativo di questo libro è che, avendolo letto, si è ridotto ulteriormente il numero delle opere che mi sono rimaste da leggere di questo autore che ci ha lasciato troppo presto.
 
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Di Carla (del 22/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2574 volte)

 Strano, ma divertente
 
La fantascienza classica è un universo variegato che riserva interessanti scoperte. Una di questa è senza dubbio “Memorie di una astronauta” (o “Memorie di un’astronauta donna”, secondo l’edizione) di Naomi Mitchison, uno strano e folle libro in cui una donna astronauta racconta le vicende di cui è protagonista in maniera discorsiva.
L’autrice mostra una fantasia esagerata nell’inventarsi i mondi e gli alieni più bizzarri e nell’intessere trame imprevedibili all’interno dei singoli episodi narrati. Il personaggio principale è Mary, un’esperta di comunicazioni che ha l’occasione di mettere in pratica le proprie conoscenze nei modi più disparati. Lo stile è colloquiale, dando l’impressione che Mary ti stia raccontando la sua vita, mentre vi fate quattro chiacchiere.
In linea generale il libro mi è piaciuto, altrimenti non gli avrei dato quattro stelle, ma ci sono alcuni aspetti che mi hanno impedito che aggiungessi la quinta.
Purtroppo si vede parecchio il passaggio del tempo (il romanzo è del 1962), soprattutto nel modo assurdo in cui viene immaginata vita sessuale del futuro. A quanto pare, viene ritenuto “moderno” o “futuristico” che le persone abbiano rapporti sessuali con l’unico scopro di procreare, ma non necessariamente per creare una relazione stabile (i figli li cresce qualcun altro), e che la parte di intrattenimento relativa al sesso sia passata di moda, poiché tutti sono impegnati a esplorare mondi e fare ricerca scientifica. Il sesso per le donne diventa un passatempo che serve a fare figli in grande numero (non si capisce come ciò possa essere accettabile, vista la sovrappopolazione) da vari padri. E basta. Al massimo dopo una certa età, quando vanno in pensione, decidono di prendere uno di questi padri come compagno definitivo.
Che cosa triste!
A questo aspetto che mi ha reso estremamente difficile la sospensione dell’incredulità, si aggiunge lo stile colloquiale, che non favorisce l’immedesimazione nella testa della protagonista.
È comunque una lettura interessante e gradevole, in particolare per chi ama immergersi nella fantascienza un po’ ingenua e “vintage”, e rendersi conto quanto questo genere letterario possa essere vario e come si sia evoluto in tutti questi anni.
 
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Di Carla (del 25/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2646 volte)

 Una realtà dura, struggente, imperdonabile
 
Questo romanzo mi ha catturato dalla prima pagina, grazie alla bella prosa, fantasiosa, evocativa e particolarmente ispirata dell’autrice, caratterizzata da un vocabolario ampio e un uso originale delle parole.
È facile immedesimarsi nei personaggi, anche quando nulla hanno in comune con chi legge, e nelle loro miserie, interiori ed esteriori. È impossibile non rimanerne colpiti e a volte a nauseati nel comprenderne le implicazioni.
Il colpo di scena finale non è del tutto inatteso, aleggiava lungo il libro, ma ti raggiunge quando ormai non ci pensi più, distratto da altro.
Il motivo per cui non riesco a dare più di quattro stelle a questo romanzo è che non ho apprezzato la scelta di mostrare gli eventi della storia prima dal punto di vista di un personaggio e poi da quello dell’altro (mi riferisco ai due protagonisti: Alice e Nico). Le porzioni delle scene completamente sovrapposte erano troppe. Ogni volta si tornava indietro, mentre io volevo sapere cosa sarebbe successo dopo. L’utilizzo di questa tecnica allunga il testo, ma non porta avanti l’azione. Mi ha indotto più volte a interrompere la lettura e sono stata tentata di abbandonare del tutto il libro.
Ho inoltre trovato molto difficile seguire i dialoghi in dialetto, che in alcuni casi erano per me totalmente incomprensibili.
 
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Di Carla (del 29/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3459 volte)

 Mai lasciarsi ipnotizzare!
 
Questo breve thriller paranormale è un’altra piccola perla dell’estesa produzione letteraria di Matheson. Pur essendo un’opera abbastanza breve, riesce a essere un libro completo, grazie alla capacità dell’autore di usare un ritmo veloce, che non si perde in troppe chiacchiere, ma riesce a sintetizzare in uno spazio ristretto una trama complessa.
Come sempre nei suoi libri non hai idea di cosa possa succedere dopo, poiché è difficile etichettarli e quindi risalire dal genere al tipo di trama. Il suo muoversi con disinvoltura tra il fantascientifico e la fantasia pura fa sì che il lettore non sappia cosa attendersi quando prende in mano un suo libro.
Nonostante il romanzo sia datato, la prosa suona contemporanea (anche grazie anche alla traduzione).
Il personaggio principale, Tom, che dopo essersi lasciato ipnotizzare inizia a vedere e sentire cose strane, è caratterizzato da grande ironia e un pizzico di follia, che lo rendono affascinante. Forse i protagonisti di molti dei suoi libri tendono ad assomigliarsi, ma ciò non li rende meno interessanti.
L’unico aspetto negativo che riesco a individuare è la scelta del titolo italiano, che vuole evidentemente ricordare una sua opera più famosa, “Io sono leggenda”. È una scelta di marketing davvero pessima, poiché i due libri appartengono a generi abbastanza diversi e potrebbero attirare lettori con gusti differenti.
 
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