Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carla (del 09/11/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3201 volte)
Si può cambiare il passato?
I romanzi di Matheson sono tutti speciali, in qualche modo. Ciò che mi affascina di questo autore è la sua capacità di presentare storie completamente diverse, spesso anche di generi diversi, che sembrano non sentire il passaggio del tempo. Quando apro un suo libro, qualunque sia il periodo in cui l’ha scritto, so già che rimarrò stupita.
“Appuntamento nel tempo” è tante cose: un romanzo sui viaggi nel tempo, ma anche d’amore, e un finto diario della discesa verso la follia di una persona affetta da una malattia incurabile. Sta al lettore decidere come interpretarlo. Qualunque sarà la sua scelta, si ritroverà in mano un’opera coinvolgente e intensa.
Durante la lettura mi sentivo davvero nella mente e nella pelle del protagonista (il solito quasi-eroe dei libri di Matheson, in cui ogni persona riesce a immedesimarsi per via del suo essere ordinario e fallibile) e anch’io mi sono lasciata trasportare nel passato dalla ricostruzione storica evocativa dei luoghi e delle usanze. Il coinvolgimento è stato tale che ho letto tutta la seconda parte, in cui la trama pare accelerare, in pochissimo tempo.
Come sempre nei suoi libri, anche in questo caso la storia raccontata è tremendamente moderna per essere vecchia di quarantacinque anni. Di storie sui viaggi nel tempo ne sono state scritte tante, ma qui il protagonista non trova un qualche dispositivo tecnologico o magico per andare in un’altra epoca. Qui il protagonista scopre per caso le tracce del proprio passaggio nel passato e si convince che è destinato ad andarci, e che per farlo deve solo crederci.
E Matheson ci fa vivere in maniera così realistica la sua vita interiore che finiamo per crederci pure noi.
La struttura della storia è davvero ben studiata. Non è facile raccontare tramite un diario, che presume una narrazione a posteriori degli eventi, e far sentire al lettore come se questi stessero accadendo in quel preciso momento. Per riuscirci l’autore inserisce delle pause all’interno della trama che il protagonista sfrutta per riportare brevemente ciò che è appena accaduto. In realtà di breve non c’è nulla, poiché le scene narrate sono spesso molto lunghe, ma si tratta comunque di un artificio letterario convincente.
Il finale è un po’ telefonato, ma in fondo la logicità del tutto e la poesia con cui viene espresso lo rende comunque soddisfacente.
Forse ciò che rende questo romanzo particolarmente riuscito è il fatto che, nonostante la storia appartenga al genere fantastico, dà comunque l’impressione che non sia solo plausibile, ma anche, grazie alla capacità di Matheson di mescolare fatti e personaggi storici reali con altri del tutto inventati, che sia davvero accaduta.
Di Carla (del 12/11/2016 @ 07:52:26, in Lettura, linkato 2967 volte)
Un action thriller… contagioso
La trama di questo romanzo è ben architettata e ha come fulcro un personaggio maschile, Jonathan Smith, molto carismatico e credibile. Jon, come si fa chiamare dagli amici, è un medico, ma anche un militare. È un uomo intelligente e pieno di risorse, ma non il classico uomo d’azione perfetto. Ha dei difetti, compie degli errori, ma poi alla fine è anche un po’ fortunato (come capita sempre nei romanzi).
Per quanto questo libro non sia stato scritto soltanto da Ludlum, che sarebbe morto l’anno dopo la sua pubblicazione, il suo tocco è evidente. Infatti, pur essendo un libro molto lungo, si legge altrettanto in fretta, creando quasi dipendenza, e presenta un giusto equilibrio tra azione e introspezione dei personaggi.
Il tema trattato, quello di una pandemia provocata volontariamente per ottenerne un ritorno economico, fa riflettere. Lo scenario, pur essendo estremo, è comunque realistico e, proprio per questo, mette i brividi.
La parte scientifica, nonostante non sia eccessivamente sviluppata (a beneficio del lettore, che non si deve sorbire alcun info-dump), è credibile.
Tra i personaggi mi è risultato particolarmente simpatico quello di Marty, un nerd affetto dalla sindrome di Asperger. È stato interessante seguire il fluttuare dei suoi pensieri come i livelli delle medicine variavano nel suo corpo.
D’altro canto, questo romanzo non è esente da aspetti negativi, a iniziare dall’eccessivo head hopping. Non è funzionale alla storia, perciò sembra quasi causale e a tratti fa perdere l’immedesimazione nei personaggi.
Purtroppo il testo è impestato da tanti errori e tante scelte infelici di traduzione (ho letto un’edizione precedente a questa, ma dubito fortemente che il testo sia stato revisionato, perché non lo fanno mai). Ma come si fa a scrivere M16 invece di MI6 (tutte le volte, quindi non è un refuso)? Possibile che nessuno tra traduttrici (sono due), revisore e correttore di bozze conoscesse l’agenzia d’intelligence britannica di 007?
Sempre riguardo a questa edizione, purtroppo c’è da dire che la quarta di copertina anticipa buona parte del libro. È quindi consigliabile non leggerla affatto.
Al di là di tutto, si vede purtroppo anche il tocco del secondo autore, che mette eccessivo ordine nel modo di narrare più carico e apparentemente caotico di Ludlum, facendo perdere spontaneità e imprevedibilità al testo.
Il finale apre a una serie di libri, che possono essere letti anche separatamente con una limitata o senza alcuna vera sottotrama, cosa che purtroppo sa di operazione commerciale. Per questo motivo non credo che leggerò altri libri di questa serie, anche perché i due successivi, cui Ludlum ha partecipato (non saprei dire in che misura), sono postumi, mentre tutti gli altri sono completamente scritti da altri autori.
Nonostante gli aspetti negativi mi sono molto divertita a leggere questo libro, perciò ho deciso comunque di dargli massimo dei voti.
Di Carla (del 21/11/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3040 volte)
Intenso, violento, scioccante
Questo è un romanzo estremamente complesso e ambizioso, che di certo ha richiesto all’autore un enorme lavoro di ricerca sulle dinamiche del traffico di droga tra Messico e Stati Uniti. Non conosco bene l’argomento, ma l’impressione che ho ricevuto dalla sua lettura è che l’autore racconti fatti reali, anche se ovviamente i personaggi e i dettagli delle loro specifiche storie sono inventati. Sono però assolutamente plausibili.
Durante la lettura ho rivisto nella mia mente alcune scene del film “Sicario” e ho provato la stessa sensazione di disagio, ma mille volte amplificata dal potere evocativo della parola scritta.
La storia sa essere coinvolgente, e quindi scioccante, laddove si arriva a raccontare efferati atti di violenza e omicidio. Alcune sequenze lasciano col fiato sospeso e ti spingono a continuare la lettura finché non sai come va a finire. Essa contiene tanti di quei doppi e tripli giochi che è difficile vedere un colpo di scena mentre arriva. Magari sai che sta per arrivare, ma non hai proprio idea di cosa succederà.
Ho particolarmente gradito, poi, il collegamento tra l’inizio del romanzo e la fine di uno degli ultimi capitoli.
In generale si tratta di un libro che va affrontato con l’intenzione di leggerlo in un breve periodo, poiché l’abbondanza di dettagli mette a dura prova la memoria del lettore. Personalmente trovo che questo sia un aspetto positivo per un romanzo, poiché segno di un gran lavoro di strutturazione della trama e perché mi stimola come lettrice.
Di contro ci sono alcuni aspetti che mi hanno impedito di dargli il massimo dei voti.
Il romanzo presenta tantissimo info-dump sui traffici di droga, la politica e tutto ciò che ci gira attorno. Capisco che sia essenziale per far comprendere il contesto in cui si svolge la trama, ma ho avuto difficoltà a leggere tutte queste informazioni e tendevo a saltarle, senza che questo mi facesse perdere nulla di essenziale sulla comprensione della storia, perché ero più interessata ai personaggi. Tutto ciò spezza parecchio l’azione, facendo sì che nel libro si alternino pagine raccontate, che tendono ad annoiare (a meno che tu non sia interessato all’argomento), ad azione vera e propria.
Ci sono inoltre troppi personaggi. Non è un problema di per sé, ma la loro eccessiva quantità rende faticosa l’immedesimazione in essi. È difficile riuscire a “sentirli” dentro di sé e, quando ci riesci, poi spariscono per decine di pagine.
In particolare la scelta di dedicare ognuno dei primi tre capitoli a un personaggio è abbastanza dispersiva. Sono stata sul punto di abbandonare il libro al secondo capitolo, perché non vedevo alcuna attinenza col primo. Era come se fosse un’altra storia. Solo alla fine del terzo ho iniziato a ricollegare le cose e ad apprezzare l’intreccio, ma non tutti i lettori riescono a spingersi così avanti, anche perché i capitoli sono molto lunghi.
Infine, c’è davvero molta violenza, mostrata in maniera molto diretta, che lo rende non adatto a persone facilmente suggestionabili. Io stessa sono stata contenta di averne finito la lettura, perché a tratti il libro mi stava deprimendo e impressionando. Anche questo aspetto non è di per sé negativo, poiché dimostra quanto il libro riesca a coinvolgere il lettore, ma personalmente non amo questo tipo di coinvolgimento così profondo con atti violenti e spesso disgustosi.
In altre parole, è un grande libro, un romanzo potente, ma avrei preferito non averlo letto, poiché mi ha lasciato con tanti sentimenti negativi. Per questo motivo non credo che leggerò il seguito.
Di Carla (del 20/12/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2411 volte)
Il segreto custodito dai sicomori
Questo romanzo di Grisham, pur essendo ambientato nello stesso luogo e pur avendo lo stesso protagonista de “Il momento di uccidere”, non è un vero seguito e può essere letto senza conoscere la storia del primo, di cui vengono fatti dei brevi cenni solo laddove necessario.
Anche il tema è lo stesso, cioè quello del razzismo. Questa volta Jack Brigance, avvocato di Ford County, una contea del sud degli Stati Uniti dove il razzismo era ancora un grosso problema trent’anni fa (e suppongo che lo sia ancora), è alle prese con un testamento olografo scritto da un ricco bianco che, prima di suicidarsi (stava morendo di cancro), decide di diseredare i figli e lasciare il 90% del patrimonio, 24 milioni di dollari, alla propria cameriera di colore. Da ciò nasce una guerra legale per impugnare il testamento.
Mi è piaciuta molto, come sempre, la caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari, e la ricostruzione dell’ambientazione (Ford County negli anni ’80). A ciò si aggiunge la solita bravura di Grisham nel raccontare le mille astuzie dietro la preparazione di una causa in grado di fare molto clamore.
Mentre i figli diseredati fanno di tutto per accusare Lettie di captazione (cioè di aver spinto l’uomo a cambiare il testamento, approfittando delle sue condizioni di salute, affinché lasciasse tutto a lei), nessuno sembra domandarsi perché l’abbia fatto, cosa ci sia sotto.
E così, in sordina, si dipana una sottotrama che porta alla verità e che è legata al titolo.
Si tratta di un racconto di qualcosa che potrebbe essere davvero accaduto, realistico in maniera sconvolgente. È una storia che appassiona e lascia il sorriso sulle labbra al momento dell’epilogo.
Ho una sola nota negativa da riferire. Amo il modo in cui Grisham vuole farci entrare nell’ambientazione, raccontando anche tutti i meccanismi legali e i dettagli sui personaggi. In questo libro, però, ho avuto l’impressione che l’info-dump fosse davvero un po’ eccessivo o comunque raccontato in maniera poco coinvolgente.
Di Carla (del 10/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2509 volte)
Perfettamente costruito, ma troppo calcolato e freddo sul finale
Questo romanzo mi è piaciuto molto, finché non sono arrivata alla parte finale su New London, di cui non sono proprio riuscita a digerire la conclusione. E ciò ha per forza di cose un’influenza negativa sul mio giudizio generale.
Come sempre Hamilton è un maestro nel gestire trame complesse in un contesto elaborato e a farvi interagire più personaggi ben caratterizzati. In questo senso “The Nano Flower” è l’anello di congiunzione tra la sua prima produzione ambientata sulla Terra nel prossimo futuro e la space opera dei suoi libri successivi.
Sebbene la serie venga definita la trilogia di Greg Mandel, in questo libro Mandel ha un ruolo da comprimario, poiché è in scena quanto gli altri personaggi, o addirittura meno. Devo dire che questo aspetto mi ha un po’ deluso, poiché mi piace parecchio questo personaggio, che nei libri precedenti era senza dubbio il protagonista, e mi aspettavo almeno un suo ruolo più decisivo nella risoluzione della storia, cosa che invece non si è verificata. Il fulcro di questo romanzo è senza dubbio Julia Evans, sebbene neanche lei possa esserne considerata una protagonista. Più semplicemente può essere definito un romanzo corale.
Meno investigativo dei precedenti, fatto che non è necessariamente positivo, e più immaginifico, pur essendo più lungo presenta un ritmo più incalzante e coinvolgente, reso possibile dalla sempre ottima prosa di Hamilton.
Gli avrei dato cinque stelle, ma ho trovato tutta la storia di Royan, incluso il finale, abbastanza deprimente. Non sono riuscita in alcun modo a farmi piacere le sue scelte egoistiche nei confronti della propria famiglia. Le sue motivazioni continuano a non avere senso. E allo stesso modo ho trovato Julia troppo fredda nel reagire alla conclusione drammatica della storia di questo personaggio. Ho avvertito nel comportamento di entrambi qualcosa di profondamente sbagliato a livello di emozioni umane, che mi ha dato la sensazione che il finale fosse stato quasi elaborato a mente fredda, senza alcun coinvolgimento, perdendo ogni contatto con l’umanità dei personaggi. E tutto ciò stride col modo in cui Hamilton aveva scavato fino a quel momento nella loro mente e nella loro psicologia.
Inoltre ho difficoltà a considerare credibile il fatto che un personaggio così potente come Julia Evans pensi davvero soltanto al bene dell’umanità e solo secondariamente ai propri interessi. È a dir poco utopistico, soprattutto se paragonato col futuro tutt’altro che roseo che viene descritto in questa trilogia.
Entrambi questi aspetti hanno fatto sì che in me crollasse la sospensione dell’incredulità. Peccato.
Di Carla (del 23/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2815 volte)
Godibile noir
Con questo libro ho iniziato la lettura della trilogia noir di Richard Matheson, che si distacca parecchio dalla sua produzione successiva legata ai generi del fantastico.
“Ricatto mortale” è un breve romanzo caratterizzato dal fascino del noir vintage (d’altra parte è stato originariamente pubblicato nel 1953).
Alcune parti sono forse un po’ affrettate, anche se, tutto sommato, sono quelle in cui non era necessario soffermarsi più di tanto.
Come spesso accade nei suoi libri, abbiamo il solito protagonista maschile nei guai che è coraggioso ma un po’ debole.
La trama in sé non è intricatissima, ma gli eventi accadono così in fretta che non si ha il tempo di pensare. Più che altro non si capisce cosa facciano nella vita i personaggi. Il protagonista è uno scrittore, ma non lo si vede mai scrivere nell’arco della storia.
Il finale non è prevedibile, anche se in parte il lettore può arrivare a immaginare chi è il colpevole.
La prosa, come sempre, è molto bella e la traduzione, che è decisamente più recente, è ottima.
Di Carla (del 31/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3093 volte)
Un finto thriller
Ho trovato questo libro bellissimo fino a circa l’80%. Era caratterizzato da una storia intricata, da un susseguirsi di colpi di scena e azione continua.
Notavo però che: il personaggio di Alice era troppo sopra le righe; quello di Gabriel nascondeva ovviamente qualcosa e stranamente lei non se ne rendeva conto oppure, quando lo faceva, era disposta a credere alla sua spiegazione successiva senza farsi troppe domande; non aveva senso che Alice non volesse andare alla polizia; col senno di poi (conoscendo il finale) è persino assurdo che siano arrivati a rubare un cellulare e un’auto, e che l’abbiano fatta franca; la storia della data nell’orologio mi aveva fatto capire subito che c’era qualcosa che non tornava con la tempistica.
Altre cose che non mi piacevano, perché davano l’idea di essere progettate a tavolino, erano il passaggio ai flashback con l’'introduzione “mi ricordo” e l’abitudine a spezzare la scena alla fine di un capitolo per riprenderla in quello successivo. Quest’ultimo è davvero un mezzuccio per spingere il lettore a continuare a leggere e crea insoddisfazione, se quello che il lettore vuole fare è proprio interrompere la lettura (non si può stare tutto il giorno a leggere).
Nonostante tutto, credevo di leggere un crime thriller e mi aspettavo che alla fine l’autore avrebbe riunito i fili, rendendo tutto perlomeno plausibile.
Quanto mi sbagliavo!
Nell’ultima parte il romanzo implode.
La sospensione dell’incredulità scivola inesorabilmente di scena in scena fino a sfuggirti dalle mani, di pari passo è andato il mio giudizio che è sceso da 5 a 3 nel giro di poche pagine. La spiegazione che l’autore decide di dare agli eventi è totalmente inverosimile. Non voglio entrare nel dettaglio per evitare troppi spoiler, ma posso almeno dire che non c’è un solo motivo per cui il protagonista maschile (Gabriel) sarebbe dovuto arrivare a fare tutto quello che ha fatto per ottenere ciò che voleva. Poteva riuscirci in maniera molto più semplice. Sembra che l’abbia fatto appunto per creare una storia inventata a beneficio dei lettori. Solo che non si dovrebbe mai arrivare a pensare questo di un personaggio. Se succede, significa che il lettore non ha più l’illusione che in qualche modo la storia potrebbe accadere davvero.
In altre parole, l’assunto su cui si regge tutto il romanzo non è plausibile.
L’epilogo poi è terribile ed è il motivo per cui il mio giudizio è crollato poi a 2 stelle (non sono scesa a 1 perché, se non altro, il libro è scritto bene e pare ben tradotto). Alla fine ho pensato veramente che l’autore fosse impazzito.
[Attenzione: inizio spoiler.]
La storia si conclude col più incredibile dei finali romantici, senza che in tutto il libro sia stato dato il minimo indizio in questo senso. Arriva così, di punto in bianco, senza un perché, senza che nel corso del romanzo si avverta il minimo legame emozionale tra i protagonisti.
A peggiorare ancora il tutto ci sono le battute finali, col lungo monologo di Gabriel posto in una pagina separata, a metà del quale mi sono limitata a scorrere il testo per arrivare alla fine.
[Fine spoiler.]
Insomma, se volete leggere un crime thriller, leggete altro.
Gli si potrebbe attribuire un nuovo genere: quello del finto thriller.
Di Carla (del 07/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2339 volte)
La versione sporca e cattiva di “Chi Ha Incastrato Roger Rabbit?”
È difficile definire il genere di questo libro, ambientato in una Milano distopica di un futuro fin troppo vicino. La gente si droga con i cartoni animati, generando così delle copie dei personaggi nel mondo reale. Questi personaggi sono molto fisici, ma non si capisce effettivamente da dove spuntino fuori. Siamo di certo nel campo del fantastico, ma non proprio in quello della fantascienza. Ma ciò non mi stupisce, poiché è evidente che a Tonani non piacciono le etichette, poiché è più concentrato nello sviluppare una propria voce di autore. Il lettore che apprezza la sua voce (come me), a sua volta, si disinteresserà delle etichette.
Il romanzo ci mostra una lunga nottata di azione, senza un attimo di respiro, e il ritmo concitato spinge a una lettura in pochissimi giorni.
Il finale aperto non chiude veramente tutti i fili o, meglio, non lo fa in maniera esplicita. Sta al lettore interpretare alcuni dettagli.
Senza dubbio si tratta di un’opera originale, in cui, come sempre, Tonani sfoggia una prosa evocativa e mai banale.
Ho trovato interessanti anche i preludi ai capitoli, dove Crash B. racconta la genesi dei vari cartoni. È sempre bello imparare qualcosa di nuovo durante la lettura di un romanzo.
In definitiva è stata una lettura piacevole che mi sento di consigliare a chiunque abbia voglia di affrontare un libro a mente aperta.
Di Carla (del 14/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2934 volte)
Ottimo crime thriller, nonostante una certa mancanza di originalità rispetto al precedente della serie
Ultimamente la Cornwell sta prendendo l’insana abitudine di uccidere un personaggio ricorrente per libro, o almeno questo è ciò che è accaduto negli ultimi due che ho letto. Spero che si dia una calmata, altrimenti non ne resteranno molti!
Ma veniamo al libro.
Parte con ritmo molto lento nella prima parte, tanto che il primo cadavere arriva molto tardi. Mi è comunque piaciuto il modo in cui l’autrice costruisce tutta la storia dal solo punto di vista della Scarpetta, sfruttando i dialoghi con altre persone, e la chiude nel giro di poco più di un giorno.
A mio parere, però, la scelta di questo approccio per questo romanzo presenta due problemi. Il primo è che per gran parte del libro, che è abbastanza lungo, ci sono solo lei e pochi altri personaggi, rendendo lo sviluppo della trama ancora più statico. Per fortuna c’è Marino, ma Lucy e Benton arrivano tardi e sembrano quasi insignificanti nell’ambito della storia. Il secondo è che la Cornwell ha usato una struttura molto simile nel libro precedente, quindi si ha la sensazione che quest’ultimo manchi di originalità.
D’altra parte non mi dispiace affatto che il caso sia strettamente connesso al libro precedente, poiché dà continuità alle sottotrame, che diventano perciò preponderanti. Ciò rende il libro fruibile solo da chi ha letto almeno il precedente, ma in tal modo le continue spiegazioni riferite a esso diventano inutili e contribuiscono alla lentezza del libro.
È molto difficile se non impossibile capire l’identità del colpevole. Col senno di poi ci si rende conto di alcuni dettagli che potevano essere notati dal lettore, solo che si perdono nella marea di informazioni che la Cornwell mette nei suoi libri, la maggior parte delle quali non ha una reale rilevanza nell’economia della trama.
Ho invece trovato molto sfizioso l’elemento scientifico utilizzato per spiegare gli omicidi. Una biologa come me non ha potuto fare a meno di apprezzarlo!
Anche stavolta la risoluzione finale mi ha fregato. Arriva in un singolo capoverso, anzi in un singolo periodo. Per la fretta di sapere cosa sarebbe accaduto, non ho letto bene l’ultima proposizione e poi al capoverso successivo ho scoperto che il colpevole era stato colpito, ma io non me n’ero accorta. Per l’ennesima volta sono dovuta tornare indietro a rileggere. Non c’è niente da fare: succede sempre così.
Il capitolo finale di epilogo serve unicamente per unire tutti i punti e uccide di nuovo il ritmo che si era creato, portando a una conclusione senza infamia e senza lode.
Vi chiederete perché ho dato 5 stelle nonostante tutti questi difetti. Be’, perché, preso singolarmente, questo è un libro costruito ottimamente e ben scritto (sebbene io non ami certe scelte stilistiche della Cornwell, ma apprezzo la sua coerenza nell’utilizzarle). Di certo avrebbe avuto un impatto maggiore su di me, se il precedente non avesse presentato una struttura così simile.
So che la Cornwell preferisce scrivere in prima persona dal punto di vista della Scarpetta. Ammetto che, invece, io preferisco i suoi libri in terza persona, poiché le storie sono più aperte e meno statiche, e perché così lei ha l’opportunità di esplorare dei punti di vista diversi da quelli di Kay Scarpetta che, diciamocelo, non è proprio simpaticissima!
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Di Carla (del 21/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3093 volte)
Meno originale dei precedenti, ma tecnicamente perfetto
Questo terzo romanzo della serie di Bosch è finora quello che mi è piaciuto di più. Nonostante sia apparentemente più lineare dei precedenti (cosa che in genere non amo), l’autore ha giocato benissimo le proprie carte.
Scopriamo finalmente l’evento che ha rappresentato la genesi del personaggio come lo conosciamo: il fatto di aver ucciso un uomo disarmato, pensando che stesse per tirare fuori una pistola. L’uomo in questione altro non era che un serial killer, ma Bosch aveva agito senza chiamare i rinforzi e per questo motivo era stato retrocesso nel proprio lavoro in polizia.
Quattro anni dopo, mentre Bosch sta subendo una causa civile per quella uccisione, da parte della famiglia del serial killer, salta fuori un nuovo omicidio che porta la stessa firma, ma compiuto in un secondo momento.
Bosch ha ucciso l’uomo sbagliato? O si tratta di un emulatore?
La storia si svolge tra tribunale e risoluzione del caso. Abbiamo a che fare col caso di un serial killer abbastanza convenzionale, in cui l’assassino è tra i personaggi della storia e va individuato. L’autore cerca di portarci in una direzione sbagliata dopo l’altra. Sarebbe tutto facile (o quasi), se non ci fosse di mezzo il processo, che ci distrae e ci fa cambiare prospettiva.
Questo romanzo non è originale come i due precedenti, ma è tecnicamente perfetto e, a differenza dei precedenti, dà al lettore anche la piccola soddisfazione di avere gli elementi per capire in anticipo chi è l’assassino. Che ci riesca, poi, è tutta un’altra storia.
In questo contesto continua poi a svilupparsi l’aspetto privato della storia del protagonista, che rimane centrale nella trama del libro e rischia di avere dei risvolti drammatici.
Il finale rassicurante ha tutta l’aria del preludio di una nuova tempesta.
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