Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Quante volte vi è capitato di meravigliarvi davanti a un nuovo oggetto tecnologico? Quante volte avete pensato che sembrava provenire da un film di fantascienza? Esiste un rapporto sottile tra scienza e fantascienza, una relazione che nel tempo ha portato l'una a influenzare l'altra e i cui effetti si vedono particolarmente al giorno d'oggi.
In questa mia prima incursione sul blog di Kipple Officina Libraria, una piccola realtà dell'editoria italiana dedicata ai generi del fantastico, affronto questo argomento, che in realtà è molto più complesso di quanto si possa scrivere in un articolo. La mia intenzione è solo quella di creare dei possibili spunti di discussione e vorrei spingervi a esprimere la vostra opinione. Vi invito perciò ad andare a leggere il mio articolo, "Quando la (fanta)scienza ha la data di scadenza", e a scoprire l'interessante universo letterario di Kipple.it. Ben presto ospiterò anche su questo mio blog alcuni loro articoli e avrò modo di presentarveli come si deve. Buona lettura e non dimenticate di lasciare un vostro commento.
Oggi ha ufficialmente inizio la mia collaborazione col web magazine Magrathea.it. Questa rivista si occupa di narrativa fantastica, spaziando tra fantasy, fantascienza e horror. Al suo interno si trovano notizie, recensioni e anticipazioni di libri, film, giochi, videogiochi, fumetti e serie TV sempre rientranti nel genere fantastico. Si possono inoltre leggere dei racconti, offerti da vari autori. Esiste infine una sezione che si occupa di editoria digitale. In quest'ultima si inserisce la serie di quattro articoli da me scritti e che compariranno con cadenza settimanale ( ogni mercoledì a partire dalle ore 11), aventi come titolo "Come pubblicare il proprio romanzo in ebook". Si tratta di una guida sintetica, basata sui miei studi e la mia esperienza personale, sull'autopubblicazione digitale, che non vuole essere di certo esaustiva, ma che rappresenta una sorta di punto di partenza per lo scrittore che vuole diventare un autore indipendente. Mi riservo in futuro di integrare il tutto con ulteriori articoli sul mio blog o su Magrathea, introducendo nuovi argomenti e approfondendone altri. È in ogni caso presto per tirare le somme a proposito della mia esperienza, visto che solo da pochi mesi ho iniziato a pubblicare in digitale. Forse fra un anno o poco più avrò gli elementi necessari per farlo. Quando succederà, ho intenzione di riunire tutto questo materiale e altro che aggiungerò in un ebook, che potrebbe tornare utile agli scrittori che volessero cimentarsi con l'autopubblicazione digitale. Nel primo articolo, che è stato pubblicato oggi e che potete leggere cliccando qui, faccio una prima introduzione sulle motivazioni di uno scrittore nella scelta di intraprendere la strada dell'indipendenza, cioè di diventare editore di se stesso, e di come pubblicare in ebook sia l'unica vera strada percorribile per avere i massimi risultati col minimo rischio, anche e soprattutto economico. Affronto inoltre alcuni importanti aspetti che lo scrittore deve considerare prima di pubblicare un proprio romanzo (ma vale anche per un racconto o un saggio), dando dei suggerimento su editing, copertina e descrizione del libro (quella che in cartaceo è definita quarta di copertina), e accennando infine sull'opportunità di produrre un booktrailer. Nel secondo articolo che uscirà fra sette giorni, mi concentrerò sugli aspetti tecnici della preparazione dell'ebook, in particolare la corretta formattazione del file per poter essere utilizzato su alcune piattaforme di vendita. Nel terzo descriverò in dettaglio le modalità di caricamento e messa in vendita dell'ebook su Amazon e in particolare su Smashwords. Infine nell'ultimo suggerirò tutta una serie di tecniche di promozione da utilizzare sia prima che dopo la pubblicazione, in quanto ciò che l'autore indipendente in realtà deve promuovere non è tanto il singolo libro, ma soprattutto se stesso. Vi auguro buona lettura del primo articolo su Magrathea.it e vi consiglio di dare un'occhiata a tutto il web magazine, poiché è sicuramente una fonte di interessanti informazioni per chi si interessa dei generi del fantastico, qualunque sia il mezzo tramite il quale ci viene raccontato.
Continua sul web magazine Magrathea.it la mia serie di articoli dedicati all'auto-pubblicazione digitale. Nell'articolo precedente ho parlato delle motivazioni per diventare un autore indipendente e di alcuni dei passi essenziali da copiere prima di pubblicare: editing, copertina e descrizione del libro. Mi sono inoltre soffermata sull'opportunità di pubblicare un booktrailer.
In questo secondo articolo invece si parla dell'importanza della corretta formattazione di un ebook e del modo migliore per ottenerla, infine della scelta delle piattaforme migliori per pubblicare il proprio libro. Mi concentro in particolare su Amazon Kindle Direct Publishing e Smashwords.
La scelta di parlare di quest'ultima piattaforma, che non è italiana, è dovuta al fatto che è molto semplice da usare (quindi adatta all'autore indipendente alla prima pubblicazione), ha un sistema di conversione automatico da .doc a .epub (quindi non è necessario saper creare un epub) e permette di vendere il proprio libro in tutti i formati ebook esistenti tramite il proprio sito, oltre che distribuirlo semplicemente su Apple, Kobo e altre piattaforme internazionali. L'uso di Smashwords insieme a KDP, permette senza complicarsi la vita di avere il proprio libro sulle due piattaforme di distribuzione più importanti al mondo e anche in Italia: Amazon e iTunes/iBookstore (Apple). Cliccate qui per leggere l'articolo.
A mercoledì prossimo con il terzo articolo!
E siamo arrivati al terzo della serie di articoli su Magrathea.it dedicati all'auto-pubblicazione digitale.
Nei primi due abbiamo parlato dei passi essenziali da compiere prima di pubblicare: editing, copertina, descrizione del libro (clicca per leggere l'articolo uno), formattazione e dove pubblicare (clicca per leggere l'articolo due).
Questo terzo articolo parla di come in pratica si può pubblicare il proprio ebook e si concentra soprattutto sulla più grande piattaforma di pubblicazione digitale per autori indipendenti, Smashwords, in quanto, a differenza di Amazon, presenta un'interfaccia tutta in inglese e non del tutto intuitiva. Grazie a questo articolo si potrà scoprire il sito di Smashwords e verrete guidati passo passo nelle fasi di impostazione dell'account, di pubblicazione del libro, di assegnazione dell'ISBN, di scelta dei canali di distribuzione e così via. Cliccate qui per leggere l'articolo.
A mercoledì prossimo per l'ultimo articolo della guida!
Infine eccoci all'ultimo della serie di articoli su Magrathea.it dedicati all' auto-pubblicazione digitale. Questa volta si parla di promozione. Dopo aver preparato il vostro libro, inclusa descrizione e copertina ( leggi l'articolo uno), dopo averlo formattato correttamente e scelta la piattaforma di distribuzione ( leggi l'articolo due) e dopo aver caricato e messo in vendita l'ebook sui vari negozi online ( leggi l'articolo tre), resta un unico problema: come facciamo sapere al mondo che il nostro libro e stato pubblicato?
A questo scopo è necessiario programmare una promozione, che deve iniziare ben prima della pubblicazione stessa. In questo articolo proporrò tutta una serie di suggerimenti per organizzare e portare avanti la promozione delle proprie opere, facendo una distinzione tra quelli da mettere in pratica prima di pubblicare un libro e quelli che invece possono essere utilizzati quando il proprio ebook è già presente negli store. Cliccate qui per leggere l'articolo. Con questo termina la mia breve guida. Spero che vi sia stata utile e vi incoraggio a condividerla con tutti coloro che possano essere interessati all'auto-pubblicazione digitale.
Quella del titolo è una domanda che va per la maggiore nei vari blog anglofoni che trattano di scrittura. La prima reazione che ho avuto quando mi sono trovata di fronte a essa è stato: certo che sì! Uno scrittore è libero di fare tutto! E continuo a essere d’accordo con questa affermazione.
Il problema infatti è che la domanda è mal posta. Quella giusta sarebbe: a uno scrittore conviene cambiare genere?
E qui il discorso si fa più complesso. Bisogna tenere conto delle conseguenze esterne, se uno scrittore scrive e pubblica dei libri di genere diverso, ma anche di quelle interne, cioè il piacere che può avere lo scrittore a cambiare genere e l’effetto che ciò ha sulla qualità della sua scrittura.
A me piace leggere libri praticamente di qualsiasi genere (a parte il fantasy puro, cioè senza altre contaminazioni) e, come me, penso che ci siano molti scrittori dai gusti letterari vari. È normale che essi desiderino sperimentare le loro capacità cimentandosi in generi diversi, perché, se amano un certo tipo di storie, è normale che desiderino inventarne a loro volta.
Teoricamente nessuno impedisce loro di farlo (ci mancherebbe). Io stessa ho pubblicato due libri finora di generi apparentemente molto diversi. Uno “ La morte è soltanto il principio” è una fan-fiction d’azione/fantasy di argomento egizio, l’altro “ Deserto rosso – Punto di non ritorno” è una novella di fantascienza/esplorazione spaziale, con elementi di introspezione. Il primo è ricco di ironia e di soprannaturale, il secondo drammatico e scientifico. Così descritti sembrano due libri agli antipodi, ma chi ha letto entrambi mi ha spesso detto: “Si vede che li hai scritti entrambi tu.”
Questa cosa ovviamente mi inorgoglisce, tenendo conto che tra la scrittura del primo e quella del secondo sono passati dodici anni (sebbene poi li abbia pubblicati a una distanza di tre mesi).
Dodici anni sono tanti, nel frattempo i miei gusti si sono evoluti o semplicemente sono cambiati, ed è questo cambiamento che spiega il diverso genere. Ma ciò che non è cambiato è il mio approccio a ogni nuova storia, quello è mio e si vede anche dopo tanto tempo, anche se invece il mio stile è cresciuto, è maturato.
La verità è che nello scrivere un libro io parto da un’idea e questa dal mio punto di vista non è sempre etichettabile all’interno di un genere. Inoltre, nello sviluppo delle storie, spesso mi rifaccio del tutto involontariamente a tematiche ricorrenti, spesso controverse, perché mi piace creare dei contrasti, interpretate in maniera diversa in base al tipo di storia, ma comunque sia riconoscibili come mie.
Le etichette di genere aiutano a distinguere a grandi linee dove va a inserirsi una certa storia, ma per lo scrittore hanno spesso poca importanza. Per lo scrittore esiste solo il suo modo di scrivere, di sentire, di raccontare. Di fatto ogni scrittore tende col tempo a creare un genere tutto suo, che viene definito voce dell’autore. Si tratta di qualcosa di unico e riconoscibile, ed è questo che spesso i suoi lettori cercano nelle sue storie. Sanno che qualunque sia il genere che affronterà, lo farà con la sua voce.
Per questo motivo ci sono molti scrittori che si cimentano in generi diversi (magari affini, ma comunque diversi), soprattutto scrittori molto famosi, basti pensare a King, Grisham, al compianto Crichton, solo per fare qualche esempio. Se ci pensate bene siete portati a definire i loro libri “alla King” o “alla Grisham” o “alla Crichton” piuttosto che usare un’etichetta di genere. Certo, si dice che Grisham abbia inventato il legal-thriller, ma la verità è che molti dei libri di Grisham sono legal, non tutti questi sono thriller, e molti altri sono narrativa non di genere, anche se nel leggerli ci si rende conto che lui scrive esattamente allo stesso modo anche gli altri. Questo perché Grisham è un grande narratore di storie di vita, la parte thriller o legale è spesso solo un pretesto per raccontare grandi storie di persone normali.
Stiamo però parlando di grandi scrittori, che non temono di vedere il loro libro rifiutato da un editore o che nessuno lo compri.
Il discorso è ben diverso per uno scrittore non famoso, che abbia un editore oppure no. Quello che ha un editore, se propone un libro in un genere diverso dal precedente, può rischiare di ricevere un rifiuto. Il problema non sussiste per l’autore indipendente, ma quest’ultimo si trova di fronte alle stesse problematiche del suddetto editore: la reazione dei lettori.
Come ho detto, io leggo quasi tutti i generi, ma non tutti i lettori sono come me, anzi è spesso vero il contrario.
Chi scrive un libro in un genere letterario ben definito di solito impronta la promozione di questo libro in modo da raggiungere i lettori specifici del genere, che a loro volta, spesso, non è detto che avrebbero letto il suo libro se fosse stato di genere diverso. Per questo motivo, se poi al libro successivo passa a un altro genere (un esempio estremo, da umoristico a horror), questi lettori potrebbero come minimo sentirsi traditi, perdere la fiducia nell’autore e in ultima analisi non acquistare il libro.
A questo punto tutto il lavoro fatto per farsi conoscere per il libro precedente sarebbe andato perduto per sempre, lo scrittore dovrebbe iniziare tutto da capo.
Abbastanza scoraggiante, no?
Questo è sicuramente un grosso problema, ma a mio parere c’è qualcosa di più importante da considerare: l’autore sente veramente di poter scrivere un bel libro in un altro genere?
Se la risposta è sì, allora io penso che debba farlo.
Non ci si può costringere a scrivere un certo tipo di libri, solo per non deludere i lettori o un editore. La scrittura non funziona così. La scrittura è una creazione artistica e per creare un prodotto di valore necessita della passione da parte dello scrittore. Quest’ultimo scriverà tanto più e tanto meglio se lo farà alle sue regole, se si divertirà a farlo. Se perderà dei lettori, probabilmente ne troverà altri.
O magari, i suoi vecchi lettori si accorgeranno che non sta affatto cambiando il “suo” genere e che amano leggere i suoi libri, per come li scrive e non solo per l’argomento che trattano.
Qualche post fa ho scritto una recensione sul libro “ Deve accadere” di Giovanni Venturi. Si tratta di un’antologia di racconti, con cui questo autore indipendente debutta nell’editoria digitale.
Oggi ho il piacere di scambiare qualche parola con lui.
Trattandosi di un’intervista un po’ lunga, ve ne propongo una prima parte in questo post e il continuo nel successivo.
In queste prime domande Giovanni ci racconta dei suoi primi passi con la scrittura alla tenera età di otto anni e ci parla del modo in cui si accosta a essa adesso da adulto, che si tratti di scrivere un racconto, un romanzo o delle poesie.
Ciao Giovanni, prima di tutto vorrei chiederti come nasce la tua passione per la scrittura, in particolare quella dei racconti?
La passione per la scrittura è nata da sola, ancor prima di quella per la lettura. Ricordo che il mio primo testo è stato verso gli otto anni. Avevo dei giocattoli della Gig, chi è dell’epoca ricorderà i Micronauti. Ne avevo due. Force Commander e il suo cavallo Oberon. Di questi due micronauti, magnetici e smontabili, mi divertivo a ricomporli in vari modi. E un giorno mi venne in mente di mettere nero su bianco la storia della nascita di questi due personaggi... Purtroppo lo scritto è andato perso, inclusi i Micronauti che saranno stati regalati a qualche mio cugino che li avrà distrutti in quattro e quattr’otto. Mi ci ero affezionato.
Dopo questo racconto, composi, alle scuole medie, una piccolissima poesia in cui raccontavo di come i miei compagni di classe mi avessero trascinato su un campetto di calcio. Poesia ispirata, per lo stile, all’Iliade di Omero che all’epoca ci facevano studiare. Ovviamente anche questo testo è andato perso :) . Dopo queste due cose è passato molto tempo. Ho iniziato a leggere dietro continua insistenza della nostra insegnante di Italiano del quarto superiore. Fui fortunato perché trovai una raccolta di racconti di Stephen King. In realtà il termine tecnico sarebbe: raccolta di novelle. Quattro novelle che divorai l’estate del mio sedicesimo compleanno. Non potei incontrare autore migliore. Perché poi iniziai a comprare tutti i suoi testi e King ti fa venir voglia di leggere, ma anche di scrivere, anche se per arrivare ai suoi livelli ci vorranno anni, ammesso che uno possa mai davvero scrivere come lui. Io credo di no. È troppo bravo davvero. E fu King che mi spinse alla scrittura dei primi racconti. Storie horror che conservo. Ci sono stati anni in cui all’università non ho più scritto un solo testo. Poi nel 2009 ho conosciuto un editore non a pagamento che proponeva concorsi in cui bisognava scrivere racconti a tema. All’inizio non riuscivo perché io sono sempre stato per storie lunghe, intricate, romanzi insomma. Su un forum iniziò il confronto con altri autori della stessa casa editrice e così man mano affinai la tecnica e la passione che era stata sempre in me. Da allora mi sono stati pubblicati ben otto racconti da questo editore e, il tutto, senza aver mai pagato un solo centesimo. Prima del 2009 ero seriamente convinto che la prassi comune per l’accesso alla pubblicazione fosse l’investimento di 2000-3000 euro. Invece ho capito che non è così.
Come nasce in te l’idea per un racconto?
In genere non c’è una regola fissa. Alcuni racconti li ho scritti per il tema che imponeva quel mese l’editore di cui ti parlavo. Era una sfida perché in appena tre cartelle dovevi inventarti una storia che avesse quel tema. E in effetti alcuni mie racconti di tre cartelle erano molto compressi, così nell’e-book li ho espansi e ho donato loro una seconda vita. Rieditati. Tagliati pezzi inutili e inserito altre cose. Per esempio, “La biblioteca” è totalmente diverso dall’originale. È più maturo, più completo, per quanto, proprio quel racconto, si presta a una storia ancora più lunga di quello che è... Potrebbe nascerne addirittura una storia a bivi, ma temo di riprenderlo e indirizzare il progetto in quella direzione. Oggi gli e-book pare siano un bene di nicchia, figurarsi scrivere un testo a bivi e farlo leggere a un lettore. È come bestemmiare in chiesa. Una casa editrice, però, lo fa. Quintadicopertina. Ho letto una delle loro Polistorie, e ne devo leggere ancora un’altra che ho comprato e che giace nel mio e-reader. Ho riscontrato che l’effetto di poter leggere e rileggere l’e-book e prendere percorsi diversi è interessante, come mi aspettavo. Anche se per il lettore medio è troppo impegnativo. E-book e storia a bivi... Forse un giorno si arriverà a essere perdonati e ad avere la possibilità di fare gli e-book anche in questo modo... Tra l’altro, come è facile intuire, sono anche più impegnativi per chi li scrive e la storia deve prestarsi al gioco, sennò va a finire male e se trovi un lettore che sta alla sfida, poi rischi che ti tiri l’intero e-book reader dietro la testa!
Altre volte, invece, l’idea nasce dal bisogno di comunicare un concetto, una frase, un’idea. Come nel caso de “La biblioteca”, volevo parlare di una storia d’amore non banale, non scontata, nata in biblioteca. Non so quanto ci sia riuscito.
Altre volte ho in mente una scena. Come in “Sì, devo leggere. Pinocchio.” La scena di questo ragazzo che non riesce più a liberarsi dei libri. Idea, tra l’altro, che mi è venuta solo dopo varie riscritture, proprio durante la scrittura. Non era stato pianificato.
Quando ti metti di fronte al foglio bianco sai già come andrà a finire la storia? Oppure parti da un’idea e vedi dove ti porterà?
Altre volte quando penso a un racconto, ho in mente per sommi capi quello che potrebbe succedere, ma in genere, se non ho un tema, e posso sconfinare, mi lascio guidare da una sorta di istinto. Come dice Stephen King, la storia viene fuori mentre la scrivi, né prima, né dopo. E ho riscontrato che è vero. Se volessi pensare per filo e per segno cosa scriverò non inizierei mai perché trovo complicato farsi dei progetti dettagliati di una storia per un racconto. Poi ci sono eccezioni, in cui ho in mente la scena madre del testo e il finale, ma in genere questo accade quando posso scrivere “senza smettere più”, come mi è successo per il primo e per il secondo romanzo. Sapevo come sarebbe andata e quali problemi insormontabili avrebbe affrontato il protagonista e quale sarebbe stata la scena con massimo impatto drammatico. Per un racconto è diverso. Devi mettere subito in scena il problema e risolverlo, oppure mi limito a raccontare uno spaccato di vita che potrebbe portare in molte strade diverse come nel racconto “Ricordi”, un racconto che davvero potrebbe trovare una via molto bella in un romanzo, ma mi piaceva come racconto in sé, anche se mi avevano consigliato di eliminarlo per questo motivo. L’ho fatto leggere a un collega in ufficio che l’ha trovato molto bello e toccante e allora mi sono detto che l’idea che avevo avuto era passata e che quindi anche nella sua forma originale andava bene. E infatti un altro lettore, che ho conosciuto su twitter e che credo sia stato il primo acquirente dell’e-book, ha trovato il racconto “dolce”. Era esattamente il sentimento che volevo lasciar trasparire dalla storia. Umanità e dolcezza.
So che scrivi anche romanzi. Che differenza c’è per te tra scrivere un romanzo o un racconto?
Una gran bella differenza. Proprio grossa. A volte si pensa che scrivere un racconto sia facile e scrivere un romanzo complicato. In realtà è difficile in tutte e due i casi. Con il racconto c’è il rischio di mettere su una storia che dice ben poco, anche perché nello spazio, per esempio, di tre cartelle, devi far affezionare il lettore al personaggio e devi lasciarlo sorpreso, deve succedere qualcosa insomma. E in alcuni casi è veramente difficile se non ti viene l’ispirazione giusta.
Nel caso del romanzo ti dici “ho tutto il tempo di far affezionare il lettore ai personaggi, alla storia” ed è lì che ti sei fregato perché corri il rischio di scrivere pagine e pagine di noia infusa dicendoti “ma tanto poi dopo si mette in moto il tutto”. Il tutto deve stare sempre in moto. Non puoi fermarti. Sennò perdi il lettore per strada. È una cosa che sapevo già. È una cosa che ho riscontrato in romanzi di esordienti che non hanno ben chiaro il concetto, a volte dimenticano di dare spessore ai personaggi, alla trama. È una cosa che ho letto in un paio di libri di autoediting, ma allo stesso tempo è una cosa che non riesci a tenere sotto controllo se non hai alle spalle tipo dieci romanzi e forse nemmeno. Stephen King ha ammesso che gli editor lo hanno salvato e che alcuni suoi romanzi di 1200 pagine in origine erano grandi il doppio. Io ho bisogno di scrivere molto e poi di riscrivere di continuo. Un po’ come se avessi un capolavoro dentro la pietra, magari ricoperto anche di fango. Non riesci a ripulire subito, non riesci a tirare fuori subito una scultura, devi togliere i vari pezzetti, i blocchetti che deformano il tutto. Lanci acqua oggi, lanci acqua domani, poi usi lo scalpello e finalmente riesci a vedere qualcosa. Il fango non c’è più e viene fuori una statua piena di dettagli e così bella da guardare che ti fermi imbambolato. Poi lasci passare un altro po’ di tempo e inizi a vedere che anche così devi fare ancora molto lavoro sul testo, sulle parole. Poi smetti perché sennò vai al manicomio. Un testo potrebbe subire variazioni all’infinito anche perché nel frattempo sei tu che sei evoluto e che scrivi in modo diverso, proprio quello che mi è successo nella creazione di “La biblioteca”. Non ero mai soddisfatto pienamente.
Con il racconto o riesci o non riesci. Non hai molte possibilità. Certo, puoi sempre sistemarlo, ma ci metti molto meno tempo. Devi tenere meno cose sotto controllo. È difficile che in un racconto vengano fuori ripetizioni continue di concetti, cosa che in un romanzo pare non possa sfuggire, ovviamente a meno di essere un genio, qualcuno che ce l’ha nel sangue, qualcun altro lo impara leggendo 10 libri buoni al mese, classici.
Cosa altro scrivi?
Sono un autore prolifico. Ho scritto di tutto. Poesie, sì. Tipo quindici. Quella che compare in “Deve accadere” è stata la prima cosa che l’editore mi pubblicò. In una raccolta di racconti e poesie di altri autori. In “Volare” c’è il concetto di maturazione che si legge tra le righe, nel finale stesso, la voglia di diventare padre... Insomma con la poesia me ne vado per vie dove il racconto o il romanzo non possono portarmi. Una delle mie primissime poesie è diventato il testo di una canzone di cui ha composto la musica un mio amico che studiava al conservatorio. Ho scritto articoli per un giornalino di cui ero redattore assieme ad altri, l’editore e il grafico. Una cosa simpatica durata circa tre anni. Altra cosa che ho scritto è stata una sceneggiatura per una commedia per ragazzi che poi non si è mai fatta. Si sa come sono i ragazzi, no? Si appassionano alle cose di continuo e lasciano le vecchie per le nuove. Un po’ come succede in “Inquietudini”. Poi scrivo pensieri un po’ bizzarri e parlo di scrittura e di editori nel mio blog ( http://giovanniventuri.com/), dove ho intervistato vari autori esordienti, qualcuno indipendente, scrivo recensioni di tanto in tanto (quando un libro mi prende e ho tempo per segnalarlo). Per un altro mio blog ( http://makeyourebook.me) parlo di e-book e ne realizzo per chi ne chiede: autori indipendenti, case editrici, editor. Lo faccio perché mi è spesso capitato di comprare e-book che sarebbe stato il caso di tirare dietro la testa agli editori che li hanno realizzati/fatti realizzare. Ad alcuni editori ho anche proposto di collaborare, ma si sa che gli e-book non piacciono a tutti, soprattutto quando devi pagare per fartene realizzare uno con tutti i crismi, però poi vedi la differenza tra l’e-book convertito con il programmino gratuito e quello fatto da me. In alcuni casi è come paragonare la montagnetta di sabbia con il K2. Dipende anche dall’e-book, dal testo, da come è formattato.
Hai scritto una sceneggiatura per una commedia per ragazzi che poi non si è mai fatta, quindi “Inquietudini” è un testo autobiografico?
No, l’unica cosa che c’è di vero è il fatto che ho scritto questa sceneggiatura per dei ragazzi e che dovevamo mettere in scena, ma non è mai successo, poi i personaggi, quello che succede dentro il racconto è frutto della mia immaginazione.
Per oggi ci fermiamo qui. Nel prossimo post continueremo a parlare con Giovanni del suo libro “ Deve accadere” (il sito del libro è www.deveaccadere.info), del suo rapporto con la lettura, dei suoi autori preferiti e della sua personale esperienza come autore indipendente.
Nell’attesa andate a visitare il blog di Giovanni Venturi, “ Giochi di parole… con le parole”, per conoscerlo un po’ meglio: www.giovanniventuri.com
Oggi affrontiamo un po’ più nel dettaglio con lui il suo libro “ Deve accadere”, ma ci soffermeremo anche a parlare dei suoi gusti in fatto di lettura, di self-publishing e dei suoi progetti per il futuro.
“Deve accadere” è una raccolta di racconti da te scritti in periodi diversi e con motivazioni diverse. Qual è, secondo te, il più bello (per come è scritto, per la storia raccontata ecc…)?
Ce ne sono diversi. Il più bello secondo me è “Ricordi”. Piccolo, intenso e ti lascia quasi un senso di sgomento sulla rivelazione finale, anche perché nel testo del racconto viene negata cercando di lasciare il dubbio e, se vogliamo, un dubbio comunque te lo lascia. Ma se uno si lascia andare e se si ferma un attimo, alla luce della lampada, a letto, e se lo legge con tranquillità può risultare anche piacevole. Poi, per lo stesso motivo, di facile identificazione del lettore coi personaggi, c’è “Inquietudini”. Altro racconto molto bello, in competizione con “Ricordi”, è “Sì, devo leggere. Pinocchio”.
Invece quale ti è piaciuto di più scrivere e perché?
Sicuramente “Sì, devo leggere. Pinocchio”. Inizialmente era costruito male, poi quando ho capito che il racconto aveva un grandissimo potenziale mi sono aperto e ho parlato dei libri, di come la gente sia ossessionata e si faccia ossessionare dai libri fino a condizioni estreme. Il fatto che all’improvviso passi da una libreria a un altro luogo per poi ritornarci e per poi... Non voglio svelare il finale, ma mi sono davvero divertito.
Quale o quali di questi racconti pensi che rispecchino maggiormente la tua voce di scrittore?
Sicuramente “Inquietudini”, ma anche “La biblioteca”, che sono stati rivisti sotto una luce nuova per essere inseriti in questa raccolta di racconti. In particolare nel primo c’è questo binomio ragazzo e adulto che diventano amici (come anche in “Ricordi”). Un tema, quello dei due amici, che mi è caro (anche nei miei due possibili romanzi da pubblicare ci sono due amici come protagonisti). Come dicevo all’inizio, il primo libro che ho letto è stata la raccolta “Stagioni diverse” di Stephen King, dove nella novella “Il corpo” si tratta dal il tema dell’amicizia e delle difficoltà che superi con un amico e questo tema mi è restato in testa per un bel po’, e ancora è così.
In molti dei tuoi racconti parli di libri, librerie, biblioteche. Anche da questo si può evincere il tuo amore per la letteratura e, ovviamente, per la lettura. Cosa ti piace leggere in particolare?
Durante il periodo dell’università leggevo solo ed esclusivamente Stephen King. E qualsiasi cosa egli pubblichi oggi giorno la leggo. So che è bravo e so che può avere i suoi momenti no, ma nella maggior parte dei casi non mi ha mai deluso. Poi ho iniziato a leggere i classici, ho iniziato a leggere autori esordienti, ho iniziato a non leggere più best seller, perché per l’appunto i grandi editori hanno il bel poter di far vendere i libri che loro decidono e io mi rifiuto di leggere i casi editoriali dell’anno o i grandi best seller, se escludi Stephen King ;) . Tanto so bene come non bisogna scrivere. Best seller spesso vuol dire robetta.
Di recente sto leggendo Amara Lakhous. Lessi diverso tempo fa “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio” che adorai: un libro fantastico, di quelli che non si trovano in giro. Comprai un annetto fa anche gli altri sui due romanzi e solo ora ne sto leggendo e confermo la bravura di questo autore. Tutti e tre i romanzi sono pubblicati da Edizioni E/O.
Adoro la narrativa tradizionale, quella che ti lascia qualcosa quando chiudi un libro, cosa che difficilmente accade oggi. Quando un libro ti fa questo effetto secondo me bisognerebbe dirlo. Spesso si parla più di un libro cattivo che di un libro “buono”, almeno questo per quanto riguarda il panorama esordienti e in particolare per quelli che non hanno necessariamente un editore alle spalle, ammesso che qualcuno lo faccia... dico scrivere di un libro di uno sconosciuto quando piace. Eccezioni escluse.
Esiste un autore al quale ti sei mai ispirato nell’affrontare la scrittura?
Ispirato mai, ho il mio stile, so cosa voglio scrivere e mi ritrovo un po’ controcorrente. Non penso riuscirei mai a scrivere una storia di vampiri che si innamorano o di cinquanta righe di sesso per vendere 50 milioni di copie. Certo, sarebbe bello scrivere come “Il Re”, ma lui ha una preparazione completamente diversa, è in un continente che è totalmente diverso dal nostro e poi ha alle spalle più di 60 romanzi e varie raccolte di racconti.
I tuoi racconti rientrano nella cosiddetta narrativa non di genere. Ti sei mai cimentato nella narrativa di genere?
Sì, mi sono cimentato da ragazzo. Ho scritto qualche racconto di genere e iniziai anche un romanzo horror che poi non finii, ma non è detto che non lo finisca oggi che ho un po’ più di pratica.
Con la pubblicazione di “Deve accadere” sei entrato a far parte della schiera degli autori indipendenti. Quali sono le tue prime impressioni a questo proposito?
Sono ancora terrorizzato. Nel senso che mi sono buttato. Ero sempre indeciso se farlo o meno. E soprattutto con cosa. Il genere più semplice, ma nemmeno più di tanto, era la raccolta di racconti. I romanzi hanno bisogno ancora di un tocco, della mia convinzione, anche perché da autopubblicato non ho la più pallida idea di come si possa invogliare la gente a leggere quello che ho scritto. Sono uno sconosciuto in un mondo che se ne cade di persone che scrivono. Un autore indipendente in Italia non è ben considerato, inutile negarlo, basta un autore indipendente che scrive male e allora partono le recensioni a raffica, negative, che colpiscono tutto il settore. Come dico sempre, ci sono libracci di autori regolarmente pubblicati, e bei libri anche di chi fa da sé, il discorso cambia di testo in testo. Non ho buone impressioni sul mio essere autore indipendente. È stata una piacevole faticaccia sistemare il testo, decidere cosa non mettere nella raccolta, come pubblicarla, come promuoverla. Insomma è tosta. Se non fai nulla l’e-book resta invenduto... E a volte anche se fai delle cose si ignora. Anche se lo vuoi regalare la gente non lo legge... Vabbé che qua il discorso sull’e-book ci porterebbe fuori tema, ma dico che i grandi gruppi editoriali hanno deciso che il cartaceo è meglio dell’e-book. All’estero è decisamente diverso, ma finché siamo nel bel paese diventa abbastanza complicato farsi leggere e io resto smarrito.
Sei spaventato dalla critica negativa?
Sono terrorizzato dalla critica in genere. Se buona fa piacere, se negativa dipende. La mia è una raccolta di racconti, una critica come “Nel testo ci sono racconti maturi e non maturi”, senza specificare quali sono, è una di quelle cose che non riesco a far passare facilmente. Perché è decisamente una critica che non capisco. Sarebbe la stesa cosa guardare in cielo e vedere qualche nuvola e poi dire “Oggi c’è il sole, ma può piovere o può esserci il sole tutto il tempo”, come anche “può nevicare”, insomma che si scriva che alcuni racconti vanno e altri no non è una vera critica. In fondo entrano in gioco i gusti personali, i racconti sono microcosmi, in alcuni casi quindi o piacciono o no. Se mi si dice il titolo del racconto e mi si dà un minimo di indizi sono più contento, magari posso davvero capire se c’era qualcosa che potevo fare meglio o è solo una questione di gusti personali.
Madonna diceva di preoccuparsi più per quelli che criticano negativamente il suo lavoro che di quelli che lo apprezzano. Un po’ sono pure io così.
Qual è il tuo prossimo progetto letterario?
Sto lavorando a diverse cose in contemporanea. Spero uno dei romanzi che ho scritto o forse il nuovo romanzo che mi si sta formando in testa... Il problema è che autoprodurre un romanzo è difficile perché i romanzi sono belli lunghi, il tempo per dedicarvisi è limitatissimo, l’impegno è molto, poi bisognerebbe ricorrere a un editor per non fare brutta figura, ma... quale scegliere? E quanto si va a spendere? Anche perché se “Deve accadere” non va bene io non credo che per me valga la pena di fare un investimento energetico/economico in qualcosa che, se mi va bene, leggono in 15 e di cui solo 5-6 mi dicono cosa ne pensano. Fosse anche un “lascia perdere la scrittura” o fosse un “continua così”. Poi non lo so. In genere quando sono indeciso magari succede qualcosa che mi fa cambiare idea il giorno dopo e poi di nuovo il giorno dopo ancora. Lo scopriremo solo scrivendo ;) . Ma ti dico che gli editori italiani non mi piacciono, per questo ho deciso di autopubblicarmi e di non inviare nulla a nessuno.
Giovanni Venturi
Ingegnere Informatico che usa/ama/odia Linux. Windows lo ha abbandonato 10 anni fa, una notte che era stanco di soffrire per vedere un banale DVD mentre il sistema si riavviava di continuo sempre nella stessa scena del film. Esprime emozioni viscerali, forti, molto emotive, cambia spesso idea, vorrebbe pubblicare per un grande editore, ma dati i fatti che si verificano quotidianamente crede che la miglior cosa sia scrivere per non pubblicare, come il pittore pazzo del film "Il mistero di Bellavista", di Luciano De Crescenzo, l'arte non si vende, ma si distrugge. Dice continuamente di voler smettere di scrivere e di lasciarlo fare a chi lo sa fare meglio, ma poi si imbatte in pessime storie trovate in libreria e si redime, torna a scrivere e poi se ne pente di nuovo. In bilico tra amore e odio per la scrittura ha pubblicato 8 racconti per un editore romano, senza pagare nulla, e un capitolo di un romanzo a più mani. E, a luglio del 2012, pochi mesi prima della fine del mondo, il suo primo e-book indipendente. Sarà l'ultimo? Provate a chiederglielo ;) .
Sono tre gli elementi principali, dai quali scaturisce un buon romanzo o racconto, indipendentemente dal fatto che si tratti comunque di una valutazione soggettiva.
Il primo è l’idea di base, su cui viene creata la storia, cioè quel qualcosa che la rende speciale, possibilmente originale (anche se non è essenziale che lo sia del tutto), ma comunque sempre unica.
Il secondo è lo stile di scrittura, che come le pennellate di un pittore dà colore alla storia stessa portandola alla luce. Esso riguarda l’uso di un determinato linguaggio e il tono con cui questo viene utilizzato. Con stile non intendo, quindi, l’ortografia e la sintassi, che do per scontate.
Il terzo è il modo in cui viene raccontata, cioè tutto l’insieme di tecniche narrative utilizzate nel presentare la storia al lettore, per esempio i punti di vista, i colpi di scena, i flashback, i red herring, i cliffhanger, l’incipit, il finale, il prologo, i punti chiave della trama e tutta una serie di altri trucchi, alcuni dei quali non hanno un nome ben preciso, che intervengono sulla struttura della storia, indipendentemente dall’idea di base e dall’uso della lingua.
Fermo restando che il romanzo ideale dovrebbe avere una buona idea di base, uno stile altrettanto buono e dovrebbe essere raccontato nel modo migliore possibile, di questi tre elementi, a mio parere, il più importante è proprio il terzo.
Pensateci su un attimo.
Supponete di avere un’idea fantastica, a cui nessuno possa resistere. Supponete di scrivere con uno stile impeccabile, fluido, magari musicale, fortemente evocativo, in grado di incantare il lettore.
E supponete, però, di non sapere come usare questi due elementi per raccontarla nella maniera giusta, scegliendo il punto di vista più adeguato, intercalando le scene nella maniera più avvincente, misurando la lunghezza stessa delle scene affinché non siano troppo affrettate né troppo sintetiche, inserendo nel punto giusto elementi della trama che lascino col fiato sospeso, intrappolando il lettore tra le pagine del libro dalle prime righe o lasciandolo soddisfatto quando legge le ultime e così via.
Supponete che vi manchi tutto questo o gran parte di esso. Pensate che il vostro libro piacerà ai lettori? Non credo proprio.
Adesso immaginate di avere un’idea già sentita, per niente originale, di scrivere con uno stile accettabile, ma niente di speciale, ma nonostante tutto questo siete dei veri maestri nella costruzione della storia. Vi destreggiate alla grande tra le varie tecniche narrative, incatenate il lettore dalle prime parole e non lo lasciate fino alla fine. Anzi, appena chiude il libro, soddisfatto, non vede l’ora di leggere il prossimo.
È chiaro che avete tutto quello che serve per farvi amare dai lettori (e magari diventare uno scrittore di successo).
Magari i lettori (e scrittori) un po’ più fini (snob?) storceranno il naso, diranno che siete commerciali. La verità è che la maggior parte dei lettori non sono affatto così ricercati e voi volete raggiungere tutti loro. Be’, la bella notizia è che avete in voi l’elemento più importante che serve per farlo.
I grandi bestseller ci dimostrano che è così. Mi riferisco sia a quelli buoni che a quelli cattivi (secondo un punto di vista come sempre soggettivo). Alcuni di loro potranno contare anche sugli altri due elementi (idea e stile), o almeno sul secondo, ed essere quindi buoni. Altri invece mancheranno totalmente di una buona idea e di un buono stile, o almeno del secondo, e saranno cattivi. Ma tutti o quasi (le anomalie ci sono sempre), chi più chi meno, saranno caratterizzati da una struttura narrativa solida.
Laddove questa manchi del tutto, si avrà uno scritto esteticamente bello, magari con uno spunto unico, ma che fallirà nel tentativo di soddisfare il lettore, che poi è il suo scopo finale. In fondo lo è anche per quelli che dicono che scrivono solo per se stessi, ma che poi pubblicano i loro scritti o comunque li fanno leggere (quindi evidentemente non lo fanno solo per se stessi).
Certo, qualcuno dirà che ci sono esempi del passato di autori che davano un po’ meno importanza allo sviluppo della trama, concentrandosi proprio sullo stile. Mi viene in mente Virginia Woolf, nei libri della quale succede ben poco, ma tutto è narrato tramite il bellissimo flusso di coscienza. In questo caso, però, farei notare che il flusso di coscienza è di fatto una tecnica narrativa (cioè rientra più nel famoso terzo elemento che nello stile in sé). E comunque nessuno di noi è Virginia Woolf o James Joyce, ma soprattutto non viviamo ai loro tempi. I lettori di adesso cercano altro, facciamocene una ragione.
Questa è una riflessione forse banale, ma, se ci pensate, talvolta la si mette un po’ da parte. Si insiste moltissimo sullo stile, sulla proprietà di linguaggio, sulla varietà nell’uso della lingua, ma si perde di vista che lo scrittore deve prima di tutto essere bravo a raccontare delle storie.
Se gli manca questa capacità, tutto il resto è inutile.
Ovviamente, se a questo affianca uno stile originale, in grado di suscitare piacere nella lettura, ma senza prendersi tutta la scena (lo stile migliore è quello che non si nota consciamente, mentre si legge, perché si è troppo presi dalla storia per farci caso sul serio), il risultato sarà un romanzo (o un racconto) coi fiocchi.
Alla fine l’elemento meno importante è proprio l’idea. Se ci fate caso, i libri ci ripropongono di continuo idee trite e ritrite, eppure molti di loro sono ampiamente apprezzati dai lettori. Questo perché l’autore, che sa usare bene il proprio stile e soprattutto le tecniche narrative, ha la capacità di prendere un’idea già sentita e farla sua, ripresentandola al lettore in una versione del tutto nuova, capace di emozionare quanto o anche più della prima volta in cui questa sia stata utilizzata.
Credo, anzi, che gli autori più bravi siano proprio quelli che riescono a sfruttare delle vecchie idee, attirando di conseguenza con facilità i lettori ai quali piacciono, producendo comunque uno scritto in grado di stupire ed emozionare chiunque lo legga.
Ovviamente il discorso è ben più complesso di così, ma il motivo per cui ho deciso di parlarne è perché, sempre più spesso, mi capita di incappare in libri che presentano appunto il difetto di essere mal raccontati. E devo dire che è una cosa che noto molto negli autori italiani. Non a caso, mentre i libri di autori stranieri, ormai di qualsiasi paese, vengono importati con facilità nel nostro, come in tanti altri, proprio perché presentano questo elemento universale di essere ben raccontati (anche qui ci sono molte eccezioni), non è altrettanto facile vedere il fenomeno opposto e, quando lo si vede, ci potete scommettere che si tratta di autori che maneggiano con disinvoltura le principali tecniche narrative.
Il perché di questa mancanza italiana sinceramente non lo so. La riflessione che, però, ne voglio trarre è che, a mio parere, tutti gli scrittori, anche quelli un po’ snob, che vogliano davvero diventare bravi, invece di fossilizzarsi su troppe letture alternative, dovrebbero leggerli questi bestseller e cercare di capire cosa nel modo in cui sono costruiti li rende tali.
Male non fa, anzi, c’è solo da imparare.
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