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 Malta... di Carla
 

“Non avevo mai ucciso qualcuno prima d’oggi.”
Affinità d’intenti

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 06/09/2016 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 6137 volte)

La trasmissione su Fox Italia di questa serie canadese venne anticipata da una grande pubblicità che puntava sul fatto che si trattasse di una prima mondiale. “The Listener” in realtà venne trasmesso in Italia e in altri paesi qualche giorno dopo la sua prima canadese (3 marzo 2009), ma alcuni mesi prima di quella statunitense.
 
Non so come, visto che in generale non vado matta per le serie che abbiano a che fare con il paranormale, ma mi ritrovai comunque a guardarla dalla prima puntata fino all’ultima nel 2014.
La serie aveva come protagonista un paramedico, Toby Logan (interpretato da Craig Olejnik), dotato di capacità telepatiche. Toby riusciva a leggere il pensiero, che si trattasse di suoni, immagini o parole, e a causa di questo talento si ritrovava coinvolto, suo malgrado, nella risoluzione di casi di omicidio.
 
La prima stagione lo vedeva interagire con una detective, Charlie Marks (interpretata da Lisa Marcos; la prima a sinistra nell’ultima foto), ma ciò avveniva in maniera quasi fortuita, poiché Toby durante il suo servizio in ambulanza si trovava spesso a intervenire dove era avvenuto un crimine e a leggere la mente delle vittime, prima che morissero, o di altre persone coinvolte. Parallelamente ai singoli casi c’era una sottotrama relativa al passato di Toby e all’origine di questa sua capacità.
 
 
Devo dire che la serie non era eccezionale, ma si lasciava guardare con piacere, complice l’ambientazione di Toronto, sicuramente meno inflazionata di altre, e la presenza di un buon cast di attori poco conosciuti. Il fatto di essere una serie canadese la rendeva distintamente diversa da quelle americane nel modo in cui venivano trattati alcuni temi, presentando meno cliché e più elementi originali. L’aspetto drammatico era poi stemperato dalla presenza di un personaggio ironico: Osman Bey (interpretato da Ennis Esmer), detto Oz, vale a dire il collega di Toby. La sottotrama, infine, era intrigante e spingeva alla visione della puntata successiva.
 
Dopo la prima stagione (vedi il cast nella foto accanto) la serie subì una rivoluzione, poiché vennero sostituiti gli sceneggiatori e il suo stesso creatore, Michael Amo, smise di lavorarci.
Invece di trovarsi lui per caso coinvolto nei crimini, Toby veniva ogni volta chiamato da una sergente della IIB (una speciale unità investigativa), Michelle McClunsky (interpretata da Lauren Lee Smith, che avevo già visto nella stagione nove di “CSI” e successivamente ha avuto un ruolo importante nella miniserie di fantascienza “Ascension”), tanto che a partire dalla terza smise di fare il paramedico e iniziò a lavorare nel team come consulente. Solo in pochi (anche se il loro numero tendeva ad aumentare) sapevano di questa sua capacità e ufficialmente era considerato un esperto delle microespressioni facciali in grado di capire se una persona fosse sincera o meno.
 
A causa di ciò la sottotrama sparì completamente lasciando spazio a un andamento episodico della serie che diventò quasi di natura procedurale. “The Listener” perse in originalità, ma acquistò in ritmo e azione. L’intenzione era probabilmente quella di attirare un pubblico più ampio e parve funzionare, poiché si andò avanti fino alla sua conclusione programmata con la quinta stagione.
Negli USA la serie non andò particolarmente bene, mentre in Italia è stata addirittura la seconda serie più guardata di sempre di Fox.
 
Di Carla (del 24/08/2016 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 4727 volte)

Nel panorama delle serie investigative, “Bones” ha l’originalità di presentare per la prima volta in TV la figura dell’antropologo forense, vale a dire la dottoressa Temperance Brennan, interpretata da Emily Deschanel.
Sebbene la serie presenti una coppia di protagonisti, con l’agente speciale dell’FBI Seely Booth che sarebbe almeno ufficialmente a capo delle indagini nei singoli casi, di fatto è la Brennan, che lui chiama appunto Bones (ossa) e che considera la sua partner (nonostante lei non appartenga alle forze dell’ordine), a essere coinvolta in prima persona nella loro risoluzione.
 
Ho scoperto questa serie quando è arrivata su Sky nel 2008, per curiosità seguendo David Boreanaz dalla sua precedente, “Angel” (il vampiro con l’anima di “Buffy l’ammazzavampiri”, che invece non ho mai guardato, di cui rappresenta uno spin-off) e mi ha subito appassionato.
Adoravo il personaggio di Brennan, estremamente intelligente, pragmatica, razionale, che diceva ciò che pensava senza filtri, in pratica la ex-secchiona di successo, ma senza cadere in facili cliché da nerd. La Brennan era brillante sia per il suo talento sia per il fatto che era stato affinato dall’intenso studio e dalla passione quasi ossessiva per quest’ultimo. Devo dire che nel mio piccolo, essendo io stessa tendente al perfezionismo, un po’ mi ci immedesimavo. Queste sue caratteristiche la rendevano imprevedibile, non sapevi cosa avrebbe detto o fatto in ogni puntata, e quasi magica. Le bastava, infatti, un’occhiata alle ossa delle vittime per stabilire sesso, razza, talvolta età e persino la tipologia del lavoro che faceva.
Quello tra lei e l’agente Booth, intuitivo, sentimentale e credente, era quindi un conflitto sempre stimolante che manteneva alto l’interesse, indipendentemente dai singoli casi.
 
Con l’andare avanti delle stagioni qualcosa è necessariamente cambiato. I due personaggi hanno finito per interagire fino allo scontato epilogo romantico e le differenze fra i due sono state smussate. Come ho detto, era necessario, perché in tante stagioni non si poteva pretendere in mantenere lo stesso schema, che avrebbe finito per diventare ripetitivo e noioso, una volta esaurita la sorpresa iniziale, ma forse è anche uno dei motivi perché storie di questo tipo funzionano meglio in un contesto più breve, come i film e le miniserie.
 
 
Di fronte a questo cambiamento gli sceneggiatori hanno fatto del loro meglio per far accrescere l’interesse negli altri personaggi, le cui sotto trame sono molto ben curate, mentre i vari crimini sono sempre rimasti un po’ in secondo piano.
Fanno eccezione alcune storie che sono state spalmate su più puntate, come quella del serial killer cannibale Gorgomon della terza stagione o del cattivissimo hacker Christopher Pelant, che compare addirittura in tre di esse (la settima, l’ottava e la nona), e ovviamente il fatto che ogni stagione tenda a terminare con un cliffhanger, facendo sì che la vicenda venga ripresa all’inizio di quella successiva.
Le restanti puntate sono autoconclusive e, se non fosse per piccoli elementi delle sottotrame, perderne qualcuna non ha quasi mai effetto sulla comprensione generale della serie.
 
La somma dei pregi e dei difetti di “Bones” ha fatto sì che venisse rinnovata di anno in anno e recentemente la Fox ha annunciato la preparazione di una dodicesima stagione, che sarà anche quella conclusiva. Senza dubbio si tratta quindi di una serie di successo giunta al suo termine fisiologico.
 
Come molti sanno, il personaggio di Temperance Brennan deve il suo nome alla protagonista della serie di romanzi di Kathy Reichs.
In realtà il legame è abbastanza debole, poiché i due personaggi hanno come elementi comuni, a parte il nome, solo il mestiere di antropologa forense. Nessuna delle puntate è tratta da un romanzo specifico. Anzi, pare che l’idea di base fosse nata dal progetto di un documentario sulla stessa Reichs, che è appunto un’antropologa forense, e quindi la Brennan di “Bones” sarebbe più che altro una trasposizione sul piccolo schermo della stessa autrice. Infatti, a un certo punto della serie la Brennan inizia a scrivere dei romanzi la cui protagonista si chiama Kathy Reichs, mescolando ancora di più realtà e finzione. La Reichs, inoltre, afferma che la serie potrebbe essere più che altro vista come un prequel dei suoi romanzi, visto che la sua Brennan è meno giovane del personaggio interpretato dalla Deschanel.
Comunque lo si guardi, siamo di fronte a un intreccio tra narrativa, TV e vita reale, che rende, se possibile, la serie di “Bones” ancora più originale.
 
La scienza forense è, invece, illustrata in maniera così rapida che, a mio parere, non offre spunti particolarmente interessanti. La presenza di prove fisiche è funzionale alla scoperta dell’assassino e quest’ultima è facilitata da tecnologie alternative, per non dire fantascientifiche, che hanno lo scopo di intrattenere, spesso attraverso l’elemento comico, più che far apprendere allo spettatore l’aspetto scientifico.
 
A ciò si aggiungono alcune guest star di tutto riguardo, come Ryan O’Neal nel ruolo del padre dal passato criminale della Brennan o la popstar Cyndi Lauper, che interpreta una sensitiva, entrambi personaggi ricorrenti, e una buona dose di dark humour, che aleggia in tutte le stagioni, alleggerendo le tematiche forti.
In ogni puntata c’è, infatti, almeno un cadavere scarnificato e/o smembrato, ma viene sempre rappresentato in maniera non eccessivamente raccapricciante, evitando di mettere l’accento sull’evidente brutalità dei crimini, anche se la visione ai bambini è tutt’altro che consigliata.
Il tutto è condito, a mio parere, da un eccessivo buonismo (da TV generalista) e una distinzione netta tra ciò che è assolutamente giusto e ciò che è assolutamente sbagliato, non lasciando alcun spazio all’esistenza delle situazioni intermedie, che sono invece la normalità nel mondo reale.
 
È comunque una serie divertente che si lascia guardare senza costringerti a troppe riflessioni e che, volente o nolente, ti porta a seguirla fino alla fine.
 
Di Carla (del 04/08/2016 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 4713 volte)
© CBS
Devo ancora vedere l’ultima stagione di questa bellissima serie TV, ma proprio per questo motivo voglio parlarne adesso che non so come finirà. Ricordo che a suo tempo cercai di evitare a tutti i costi di vederla. Mi dicevo che non volevo lasciarmi coinvolgere e allungare ulteriormente la lista dei miei impegni televisivi, ma poi, non so come, ci sono cascata.
 
Come spesso mi capita in questi casi, non ho mai visto le primissime puntate. Trattandosi di una serie episodica (come tipicamente sono quelle rivolte ai canali generalisti, di cui la CBS fa parte) questa mia mancanza non ha inficiato il godimento del resto della stagione e di quelle successive, una volta chiarito l’antefatto.
The Good Wife” rientra nelle cosiddette serie drammatiche a carattere giudiziario. La protagonista, interpretata dalla bravissima Julianna Margulies (che ricorderete di certo in E.R. nel ruolo dell’infermiera che faceva coppia col dottor Ross, vale a dire George Clooney), è Alicia Florrick, la moglie del procuratore di stato, Peter Florrick (Chris Noth, già visto come Mr Big in Sex And The City), coinvolto in uno scandalo sessuale che lo fa finire in prigione. Alicia, da buona moglie, nonostante il tradimento, supporta pubblicamente il marito (anche se in privato le cose non vanno altrettanto bene) e si deve sobbarcare la famiglia, mentre lui è in carcere. Per riuscirci, torna a fare l’avvocato.
 
Come potete immaginare, ogni puntata presenta un caso legale che deve essere risolto.
L’aspetto puramente legale devo dire che è molto divertente. Alicia e i suoi colleghi, anche nelle peggiori situazioni, tirano fuori dal cilindro un colpo di genio che li porta quasi sempre alla vittoria.
Gli spettatori ricevono un’immagine della legge che appare come qualcosa di estremamente creativo, uno strumento che gli avvocati devono sapere armeggiare per far vincere il proprio cliente. Poco importa se sia colpevole o innocente. Infatti, tra i vari casi c’è anche quello di un uxoricida (un personaggio ricorrente nella serie) che rimarrà impunito, ma non per questo appare come un personaggio del tutto negativo.
 
© CBS
 
Accanto all’argomento legale si sviluppa quello politico, che viene incarnato dal bravissimo Alan Cumming nel ruolo di Eli Gold. Eli è lo stratega politico di Peter Florrick, colui cioè che gestisce le sue campagne elettorali e cura la sua immagine anche durante i mandati. Peter, che all’inizio è il procuratore di stato, più avanti nella serie si candiderà alla carica di governatore dell’Illinois e nella sesta stagione anche Alicia si ritroverà a correre per una carica di natura politica.
Non entro nel dettaglio per evitare spoiler a chi non avesse ancora visto questa serie.
Comunque sia, la parte relativa agli intrighi politici non è meno interessante rispetto a quella prettamente legale, mettendo in evidenza come i due ambiti siano spesso collegati (negli Stati Uniti).
 
Proprio in questo periodo che anche da lontano assisto alla campagna presidenziale che vede come protagonisti Hillary Clinton e Donald Trump, non posso che confrontare gli articoli, i video, i tweet e quant’altro compare sul web con ciò che la finzione propone in “The Good Wife”, dove le elezioni vengono mostrate come un conflitto fatto di diffamazioni, colpi bassi, video anonimi, ricerca del solito scheletro nell’armadio dell’avversario, scontri verbali in cui la forma conta più del contenuto. In tutto ciò gli elettori sono dei numeri in una statistica che sembrano oscillare da una posizione all’altra come conseguenza di queste azioni, proprio come se fossero delle pecore e non degli esseri pensanti in grado di valutare la qualità dei candidati.
Personalmente trovo tutto questo affascinante e proprio la visione di una serie come “The Good Wife” (ma non è l’unica di certo ad affrontare questi argomenti), nel suo piccolo, fornisce un’ulteriore chiave di lettura di ciò che si vede nella realtà. In altre parole, tutto ciò che appare attraverso i media in relazione ai candidati di una campagna elettorale negli Stati Uniti è pura strategia.
Non che il resto del mondo sia diverso, ma ho l’impressione che l’eccessiva spettacolarizzazione in questo ambito, come in qualsiasi altro, sia una prerogativa tipicamente americana.
 
© CBSAgli aspetti controversi sia in ambito legale che politico trattati in questa serie, si aggiungono quelli relativi alla sfera personale. Amicizie che diventano relazioni sessuali (extraconiugali) che poi diventano rivalità, personaggi che usano i sentimenti altrui a scopo personale, figli adolescenti che nascondono gravidanze, avvocatesse che si fingono ottuse per ingannare gli avversati (come il divertentissimo personaggio di Elsbeth Tascioni, interpretato da Carrie Preston) altre che usano i propri figli per impietosire i giudici, avvocati che fanno lo stesso con la propria disabilità (a questo proposito è degno di citazione il perfido personaggio di Louis Canning, interpretato da Michael J. Fox, che arriva addirittura a imbrogliare Alicia dal letto di un ospedale!) sono solo alcuni esempi del materiale umano offerto dalla serie, cui si aggiunge, purtroppo, anche la morte.
 
Ce n’è, insomma, per tutti i gusti e l’insieme di questi elementi va a creare delle robuste sottotrame che si dipanano lungo tutta la serie, da una stagione all’altra. E diventano sempre più importanti tanto che il caso trattato nel singolo episodio finisce per passare in secondo piano.
Non c’è quindi da stupirsi che una serie del genere tenda a creare dipendenza. Perciò, se non l’avete vista ma intendete farlo, ricordatevi che non avrete pace finché non sarete arrivati all’ultima puntata, se non di tutta la serie, almeno delle singole stagioni.
Poi non dite che non vi ho avvertito!
 
Di Guest blogger (del 04/11/2014 @ 09:00:00, in Serie TV, linkato 3750 volte)

Con grande piacere ritrovo ancora una volta Francesco Zampa, autore della serie di gialli del Maresciallo Maggio, nel ruolo di ospite nel mio blog. Questa volta ci parlerà dell’acclamata serie TV americana “True Detectives”, fornendocene un’analisi accurata.
 
Chi mi conosce storcerà subito il naso, come a dire: “E te pareva... è fissato co’ ‘sti Americani...”. Ma non posso fare proprio a meno, una volta di più, di elogiare la fiction d’oltremanica dopo aver visto tutta d’un fiato la I Serie di “True Detectives”.
 
Non che gli americani non abbiano difetti, anzi, come in tutte le cose, si trovano dubbi e perplessità. Però, quando proprio non si parla di pelo nell’uovo, bisogna sempre considerare che si tratta del massimo, e un difetto sfuma quasi nella caratteristica se non nell’opinione personale. Serie A, dove tutti sono forti e anche l’ultimo, appunto, è sempre più del primo della serie B dove, purtroppo, noi militiamo da anni e per scelta più che per incapacità.
Ma andiamo a vedere più da vicino.
 
Già l’impatto visivo e musicale della sigla dimostra la grande cura e ci avvisa su cosa ci aspetta: il pezzo di apertura di The Handsome Family, Far From Any Road, è memorabile e ci cala subito nell’atmosfera irregolare e un po’ lugubre del profondo sud. Chi ha letto John Grisham si sente a casa. La sequenza onirica mostra molti luoghi comuni e caratteristiche dei protagonisti: volti contratti si alternano a ombre e predicatori, case di legno, immense raffinerie su paludi sconfinate.
E bisogna essere molto politicamente scorretti, anche se non fino in fondo, per mettere in scena due personaggi come i detective Rustin Spencer “Rust” Cohle (Matthew McConaughey) e Martin Eric “Marty” Hart (Woody Harrelson), l’uno il complemento dell’altro: quanto è irregolare e maledetto il primo, tanto è buono, familiare e rassicurante il secondo (ma solo per un po’). Un’altra cosa, questa molto difficile da realizzare da noi, dove non si può dire nulla che non sia più che conforme nella finzione: vietato dire la verità, ma normale urlare menzogne in nome della libertà di parola.
 
Trovo pressoché impossibile la sperimentazione di generi e personaggi, e molto difficile realizzare produzioni interessanti senza avere la possibilità di toccare, in maniera non simbolica, argomenti scottanti ma comuni come la pedofilia e la corruzione. Mentre in America un tentativo del genere, cioè rappresentare corrotti e corruzioni del Governo e delle massime istituzioni religiose, se riuscito, è osannato da pubblico e critica e considerato solo per quello che è, cioè un prodotto di fiction ispirato alle torpitudini umane, in definitiva un’operazione commerciale, un investimento, un’occasione lavorativa, da noi gli estemporanei, coraggiosi autori, rischiano invece la ghettizzazione e il taglio dei finanziamenti. È vero, in America le Lobbies sono potentissime e non lesinano mezzi per raggiungere lo scopo, ma riescono lo stesso a mettere un Presidente corrotto o fifone senza che nessuno gridi allo scandalo o peggio.
 
Ed ecco quindi la trama toccare alcuni tra i punti peggiori dell’umanità edulcorata della Louisiana degli ultimi vent’anni: appunto la pedofilia, la corruzione degli uomini di Stato nelle cariche più alte e rappresentative, nonché delitti efferati e impuniti.
Lo so, c’è il finale rassicurante, se non consolatorio: sia Rust che Marty riscattano le loro maledizioni mostrando una motivazione pura e disinteressata alla soluzione del caso anteponendolo alle loro vite stesse, trovando i colpevoli e riazzerando così le loro esistenze in modo da ricominciare ancora, affrancati dai loro pesanti fardelli. Un’ottica puritana e astutamente commerciale, probabilmente, ma che poco toglie quando la storia, e i mostruosi delitti con lei, sono tutti compiuti.
 
Alcune sequenze sono terrificanti, e altrettanto lo è il triste sprofondare di ciascuno dei due nelle nefaste conseguenze delle loro azioni. Rust è privo di vitalità, ossessionato dalla perdita prematura di moglie e figlia, ma anche Marty, oltre l’apparenza rassicurante della famiglia americana con moglie devota e due belle figlie in una bella casa, in realtà ha già perso tutto anche se non se ne rende subito conto, affondato nei suoi egoismi, e in un modo forse ancor peggiore, perché più colpevole, del traumatizzato compagno.
 
In questa atmosfera di rapporti umani falsi e falsificati persino tra le istituzioni dove le certezze non dovrebbero essere mai in dubbio, lo spettatore assorbe l’angoscia disperata che trasuda a mano a mano che i personaggi secondari e le vittime sfilano nelle varie puntate. Vittime autentiche, perché innocenti e indifese dalla cattiveria e dall’efferatezza.
Per fortuna che, alla fine, almeno ce la fanno!
 
Bella idea quella di cambiare i protagonisti a ogni serie (sono già annunciati quelli della prossima: Vince Vaughn e Colin Farrell), sempre alla ricerca di idee e proposte nuove. Se l’autore della serie, Nic Pizzolatto, ha fatto vedere tutta, o molta, della sua bella stoffa, i due stessi protagonisti non si sono dimostrati da meno dopo una carriera in cui hanno saputo interpretare ruoli atipici (ne scelgo uno per uno: Benvenuti a Zombieland e Killer Joe) riproponendosi come co-produttori.
 
Come sostengo anch’io e come, d’altra parte, dovrebbe dire qualsiasi scrittore indipendente: se non ci crediamo noi che siamo gli autori, chi dovrebbe farlo?

FRANCESCO ZAMPA (1964) è autore indipendente di romanzi gialli. Nelle sue storie ama affrontare argomenti importanti come la corruzione e la sovraesposizione dei mezzi di comunicazione.
Il protagonista delle sue storie è il maresciallo Franco Maggio che, a Viserba di Rimini, si trova a risolvere delitti di rilevanza internazionale affidandosi al suo intuito.
Nell’ultimo libro, “La Scelta”, la trama è intarsiata sullo sfondo autentico della deportazione di migliaia di carabinieri romani da parte dei Nazisti, il 7 ottobre 1943.
Visitate il suo sito: www.francescozampa.com
E il suo blog: www.ilmaresciallomaggio.blogspot.it
Trovate Francesco anche su Facebook: www.facebook.com/MarescialloMaggio
Infine date un’occhiata al suo profilo su GoodReads: www.goodreads.com/Zipporo
 
Di Carla (del 25/02/2012 @ 07:50:59, in Serie TV, linkato 3247 volte)

Da poco più di tre settimane è approdata su Fox la serie TV "Homeland - Caccia alla spia". Ideata dai creatori di "24", questa serie thriller vincitrice del Golden Globe come migliore serie drammatica, che vede come protagonisti la splendida Claire Danes (vincitrice del Golden Globe come migliore attrice in una serie drammatica) e Damian Lewis, narra la storia di un marine, Nicholas Brody (interpretato da Lewis), che dopo otto anni di prigionia nelle mani di Al-Qaeda, viene all'improvviso trovato dai suoi compatrioti e riportato in patria, dove è destinato a diventare un eroe nazionale. Nel frattempo, però, la giovane agente della CIA, Carrie Mathison (interpretata dalla Danes), ha scoperto in seguito ad una soffiata che un prigioniero di guerra è passato dalla parte del nemico. Quando poi viene a sapere della vicenda del tenente Brody, è convinta che sia lui il potenziale terrorista.
Devo ammettere che non ero particolarmente attratta dalla storia, per come veniva presentata su Sky, e ho deciso di registrare le prime puntate per poi vedermele con comodo. L'ho fatto questa settimana. Ne ho visto quattro in due giorni e ne sono rimasta folgorata.
Non si tratta di un semplice action-thriller, come si potrebbe immaginare trattandosi degli stessi creatori di "24". Prima di tutto lo show è ispirato alla serie israeliana "Hatufim (Prisoner of War)", inoltre risulta essere fortemente incentrato sugli aspetti psicologici dei due protagonisti.
Da una parte c'è Carrie, brillante ma problematica agente della CIA. Conosciuta nell'agenzia per i suoi metodi poco ortodossi e per il suo essere indisciplinata, la donna nasconde un grande segreto: è affetta da una malattia mentale per la quale si cura di nascosto con degli psicofarmaci. Per Carrie la vita è incentrata completamente sulla lotta al terrorismo. Non ha una vita privata degna di questo nome, né veri amici (a parte forse il suo mentore Saul Berenson, interpretato da un grande Mandy Patinkin), né una vita sentimentale che vada oltre degli incontri occasionali.
Dall'altra parte c'è Nick Brody, fortemente traumatizzato dopo una prigionia di otto anni, in cui è stato costantemente torturato e costretto a fare le peggiori cose. Ha dalla sua una famiglia: una moglie, che lui sospetta abbia una storia col suo migliore amico, una figlia adolescente, con tutti i problemi della sua età, e un figlio più piccolo, che non si ricordava neppure di lui. Il ritorno a casa è estremamente difficile. Perseguitato da incubi e flashback, ha difficoltà a ristabilire un rapporto sereno con i suoi cari, con i quali sa di non poter aprirsi, perché è convinto che non potrebbero capire. Il suo personaggio è ambiguo. Non si capisce se la sua "doppiezza" sia dovuta ai traumi subiti o sia la prova che si è convertito alla causa di Al-Qaeda.
Effettivamente non è del tutto sincero con la CIA, ma non ci sono prove reali di un suo coinvolgimento con alcuni avvenimenti recenti, che sembrano presagire la preparazione di un attentato in suolo americano. Carrie, però, sente che Brody è coinvolto e, andando contro gli ordini, decide di scavare nella sua vita, avvicinandosi forse un troppo a lui.
Da questa pericolosa interazione potrebbero, però, venire fuori dei risvolti del tutto inaspettati.
Adesso non ci resta che continuare a seguire la storia, per vedere come andrà a finire.

"Homeland - Caccia alla spia" va in onda ogni lunedì alle 21.50 su Fox (replicato una e due ore dopo su Fox+1 e Fox+2).

 
Di Carla (del 19/02/2012 @ 19:59:52, in Serie TV, linkato 3664 volte)

Dopo 19 anni dall'uscita del film omonimo con Tom Cruise, tratto dal libro di John Grisham, approda sul piccolo schermo il sequel de "Il Socio" sotto forma di serie TV.
La storia segue ancora una volta le vicende di Mitch McDeere (interpretato questa volta da Josh Lucas) dieci anni dopo gli eventi narrati nel romanzo e nel film, in cui il protagonista aveva contribuito alla caduta di un importante studio legale connesso alla mafia di Chicago.
Adesso McDeere, dopo la morte del boss mafioso, esce dal programma di protezione per fondare uno studio legale tutto suo con il fratello Ray. Inizialmente lo studio ha poco lavoro, finché non attira l'attenzione della Kinross & Clark, di Alex Clark, che convince Mitch a diventare proprio socio, perché interessata ad una delle clienti di quest'ultimo.
Le prime due puntate della serie vengono trasmesse questa sera in anteprima (e contemporanea europea) su AXN (canale del pacchetto di intrattenimento di Sky), mentre la serie verrà poi proposta per intera ad aprile.
In America purtroppo non ha avuto il successo sperato ed è stata spostata al sabato, rischiando di conseguenza la cancellazione.Vedremo cosa succederà in Italia.
Il cast, oltre a Josh Lucas, presenta alcune liete sorprese, come Juliette Lewis, che lascia per un po' il palco dei suoi concerti per tornare davanti alla macchina da presa, e due attori che sono senza dubbio dei volti noti al pubblico di AXN, perché già visti nella fortunata serie sci-fi "Battlestar Galactica". Sto parlando di Callum Keith Rennie (nel ruolo di Ray McDeere) conosciuto come il cylone Leoben e di Tricia Helfer (Alex Clark), che interpretava Numero Sei, il cylone simbolo della serie, ma che è stata vista di recente sul piccolo schermo anche nella seconda stagione di "Dark Blue", sempre in onda su AXN (lo scorso autunno).
Le premesse insomma sono buone. Non ci resta che attendere questa sera per dare i primi giudizi.
"Il Socio" va in onda questa sera alle 21 su AXN e alle 22 su AXN+1.

Il socio (Oscar bestsellers), The Firm (versione inglese, cartaceo) e The Firm (versione inglese, ebook Kindle) su Amazon.it.
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Battlestar Galactica su Amazon.it.

 
Di Carla (del 29/09/2011 @ 21:59:51, in Serie TV, linkato 2664 volte)


Gli americani mettono le mani, finanziariamente parlando, sullo spin-off di "Doctor Who", dando così origine alla quarta stagione di "Torchwood", sottointitolata "Miracle Day".
Ho sempre seguito un po' a macchia di leopardo le vicende della serie originale inglese, ma sufficientemente da trovarmi ad affrontare questo nuovo prodotto proposto dalla Starz (la stessa di "Spartacus", per intendersi) senza particolare difficoltà. Non che ce ne siano eccessive per lo spettatore che abbia a che fare per la prima volta con le vicende di Jack, Gwen e compagni. Basta informarsi un po' e poi il divertimento è assicurato.
Questa volta i nostri eroi si trovano di fronte ad un problema di proporzioni immerse. Un bel giorno la gente smette di morire, rimanendo intrappolata nel proprio corpo, anche se gravemente malata o fatta a pezzi. Nello stesso giorno Jack, che era immortale, scopre di essere di nuovo mortale.
Chi c'è dietro tutto questo?
Difficile dirlo, ma qualunque sia la causa di questo "miracolo" si tratta senza dubbio di un caso per l'Istituto Torchwood o meglio per i suoi ultimi due membri rimasti: appunto Jack e Gwen.
Grazie al contributo economico dei produttori americani, la storia ovviamente si sposta negli Stati Uniti, ma non è questo l'unico cambiamento. Il budget superiore permette una maggiore qualità tecnica della serie, per quanto riguarda ambientazioni ed effetti speciali, a cui si aggiunge però l'immutata ironia, trasgressione e soprattutto originalità inglese. Tutto ciò rende "Torchwood: Miracle Day" un prodotto assolutamente godibile dagli amanti della fantascienza, la quale una volta tanto sembra non essere costretta a sottostare al perbenismo (o meglio puritanesimo) americano (nonostante sia una co-produzione Stati Uniti/Regno Unito), fatto che rappresenta sicuramente un enorme punto a suo favore.
La serie viene trasmessa su FOX (canale Sky) ogni lunedì, già da tre settimane, dopo la sicuramente meno riuscita "Falling Skies", ed è composta da 10 puntate.

 
Di Carla (del 13/11/2006 @ 20:11:44, in Serie TV, linkato 3209 volte)

Da spettacoli.alice.it

He is (almost) better than George!*

* Clooney, of course, E.R.'s Dr. Ross.

 
Pagine: 1 2

 

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