Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Carla (del 29/12/2011 @ 17:06:16, in Lettura, linkato 5088 volte)
La battaglia di Tebe
È strano leggere la storia della cacciata degli Hyskos da un'altra voce. Stessa storia, ma due autori diversi e 50 anni di distanza. Ovviamente finisce per sembrare una storia totalmente diversa. Ed è quello che accade in "La battaglia di Tebe", che narra della vittoria degli Hyskos da parte del Faraone Amosis, dopo 200 anni di dominazione. Avevo già conosciuto in dettaglio l'intera vicenda grazie alla trilogia dedicata alla regina Ahhotep di Christian Jacq. In questo libro di Mahfuz, sebbene l'epilogo sia scontato, non lo è affatto tutto quello che c'è in mezzo. I personaggi principali sono gli stessi, ma non il modo in cui sono imparentati, gli eventi hanno qualche somiglianza, ma in altri casi divergono notevolmente, la stessa visione dell'antico Egitto si distacca da quella magica di Jacq. Solo l'orgoglio e il senso di civiltà degli antichi egizi rimane lo stesso. La causa di tutte queste differenze è il fatto che i due autori hanno dovuto riempire gli spazi tra i fatti storici con le loro rispettive fantasie, ma mentre ai tempi di Jacq, ben più recenti, molte altre scoperte sono state fatte, talvolta modificando radicalmente le opinioni storiche di mezzo secolo prima, a quelli di Mahfuz le maglie della conoscenza erano molto più larghe. Questo gli ha permesso maggiore libertà di movimento. E così mentre con Jacq si ha la costante sensazione che venga limitato dai "paletti" storici e faccia i salti mortali, talvolta in maniera forzata, per far combaciare i fatti con la finzione, il racconto di Mahfuz appare più omogeneo e la lettura risulta avvincente anche se si conosce il finale. Inoltre, per assurdo, l'assenza di elementi magici che sforano del fantasy contribuisce a creare una storia nel complesso più credibile. E forse lo stesso fatto che Mahfuz sia "soltanto" uno scrittore, per giunta premio Nobel, invece di essere primariamente un egittologo, come Jacq, è sufficiente a giustificare il perché ci troviamo di fronte ad un'opera letteraria veramente splendida.
Akhenaton, il faraone eretico
Davvero curioso questo romanzo, in cui una persona cerca di scoprire la verità sulla storia di Akhenaton, faraone divenuto famoso per aver instaurato il culto di un dio unico (Aton) durante il suo regno, attraverso i racconti delle persone che lo avevano conosciuto. Il risultato è un insieme di versioni diverse e spesso talmente contrastanti da essere opposte, di fronte alle quali questo personaggio storico esce comunque parecchio svilito, almeno su alcuni aspetti. E ovviamente la conseguenza di questo contrasto di informazioni è l'impossibilità del narratore di scoprire quale sia la verità. Più che un romanzo sembra un esperimento di scrittura sicuramente pregievolissimo, ma che risulta un po' noioso per il lettore, soprattutto tenendo conto che da quando è stato scritto sono passati 25 anni e molto di quanto viene detto su questo faraone è stato messo in dubbio da studi successivi da parte degli egittologi. Akhenaton è stato in parte rivalutato e la sua eventuale condizione di "eretico" non sembra più così certa, almeno non dal punto di vista degli antichi egizi. Infine, il fatto che si utilizzi per lo più materiale inventato, come è ovvio che sia, mettendosi nei panni di personaggi così lontani nel tempo, dei quali non si può conoscere opinioni e sentimenti, fa venire meno ogni utilità della stessa lettura del romanzo. Il testo risulta abbastanza ripetitivo e, già alla terza volta che vengono citati gli stessi fatti, vorresti metterlo da parte.
La maledizione di Cheope
Questo romanzo mi è piaciuto più del precedente, ma decisamente meno del primo. L'idea di base è in realtà molto carina, ma il modo in cui è stata sviluppata non mi sembra riuscito. La storia è scontata già dalle prime battute e tutti gli eventi vengono in qualche modo anticipati senza che ci siano dei colpi di scena. Se l'autore ci avesse nascosto in qualche modo l'identità di Dedefra (oggi noto in italiano col nome di Djedefra o Kepher), per esempio, la storia sarebbe stata decisamente più avvincente. Altri eventi invece sono descritti in maniera affrettata e poco credibile. Il personaggio della principessa si comporta in maniera incostante e il suo repentino cambiamento di sentimenti pare del tutto ingiustificato. Dalla semplicità nella strutturazione della storia e dalla sua lunghezza ridotta sembra più che altro un romanzo per ragazzi, in cui l'autore indugia un po' troppo nello stile dei dialoghi (molto poetici e irrealistici) piuttosto che nello sviluppo della trama. A ciò si aggiunge qualche imprecisione storica, sicuramente da ascrivere al fatto che il romanzo è stato scritto nel 1939, che vuole, tra le varie cose, la Sfinge già presente prima della costruzione della Grande Piramide. Da studi più recenti si ritiene che la Sfinge sia opera di Chefren o successiva, in quanto ne raffigura il volto. Inoltre Djedefra pare che sia stato figlio (come pure Chefren) di Cheope, mentre nella storia non risulta imparentato. Questi fatti, però, non erano probabilmente noti a quel tempo e, laddove mancavano prove storiche, l'autore ha semplicemente lavorato di fantasia.
I romanzi dell'antico Egitto: La battaglia di Tebe - Akhenaton. Il faraone eretico - La maledizione di Cheope su Amazon.it.
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Di Carla (del 29/12/2011 @ 01:51:57, in Cinema, linkato 5087 volte)
Sono passati più di quattro anni da quando ho avuto l'occasione di entrare in contatto con Ed McPadden e il regista A.D. Calvo, che mi chiesero l'inserimento del brano "House Of Love" di Hinkel nella colonna sonora del film "The Other Side Of The Tracks". Dopo aver partecipato a numerosi festival negli Stati Uniti e vinto diversi premi, il film ha trovato un distributore circa un anno fa, approdando in DVD negli Stati Uniti e in TV nel resto del mondo.
E adesso arriva anche in Italia col titolo "Oltre I Binari". Con gli attori Brendan Fehr (Roswell, CSI Miami), Tania Raymonde (Lost) e Chad Lindberg (Fast & Furious, Supernatural), questo film horror/drammatico racconta la storia di Josh, traumatizzato dal ricordo della fidanzata morta in un incidente ferroviario, che tenta di rifarsi una vita quando incontra una cameriera dall'incredibile somiglianza col suo grande amore.
Il film verrà trasmesso su Sky, nel canale Sky Cinema Passion in doppio audio, in prima TV il 15 gennaio alle 21 e successivamente il 24 gennaio alle 13.25.
Il film è anche disponibile in streaming su Amazon.com con il titolo "The Haunting of Amelia".
Non ho ancora avuto l'occasione di vedere il film per intero, quindi dopo la visione vi potrò fare una recensione, ma nel frattempo vi propongo il trailer e il brano "House Of Love".
House Of Love HINKEL
Foto: © 2008 Goodnight Film
Di Carla (del 21/12/2011 @ 06:51:24, in Lettura, linkato 2828 volte)
Uno sguardo appassionato sul Giappone
Senza dubbio una bella penna quella di Chiara Gallese, capace di evocare immagini vivide del "suo" amato Giappone anche nella mente di chi non ha ancora avuto la fortuna di visitarlo. A leggere le sue descrizioni pare proprio di stare lì, vederne forme e colori, sentirne i suoni e gli odori, la voce della gente, assaggiarne i cibi. La suggestione è immediata e potente. La stessa idea di dedicare ogni capitolo ad una stazione della metropolitana di Tokyo, raccontando degli eventi che in qualche modo sono ricollegati a quel luogo, è un elemento di notevole originalità e sicuramente una scelta vincente nel far sentire il lettore un po' parte di questi luoghi lontani. Questa particolare struttura del romanzo, insieme all'inserimento del passaggio di una canzone all'inizio di ogni capitolo e le numerose note disseminate lungo il testo sono sicuramente il frutto da tanta ricerca e allo stesso tempo prova di un'opera accuratamente progettata, qualcosa che difficilmente si trova in un autore esordiente che allo stesso tempo sia indipendente. Posso, quindi, perfettamente comprendere come gli amanti (o almeno curiosi) del Giappone possano reagire con entusiasmo alla sua lettura. D'altra parte chi invece vi si accosta principalmente per leggere una nuova storia potrebbe rimanerne perplesso, nonostante l'autrice si premuri di specificare lo spirito del suo romanzo nella sua descrizione e nella postfazione. La storia in sé, infatti, passa completamente in secondo piano rispetto all'amore per il Giappone e questa mancanza di equilibrio purtroppo si nota. Non vi è infatti la stessa cura quasi maniacale per i particolari. Il personaggio di Keiko, per quanto parli in prima persona, risulta abbastanza semplice, privo nel modo in cui si comporta di quei contrasti che essa stessa afferma di possedere. È comunque ben caratterizzata nella sua semplicità, ma purtroppo risulta non sempre interessante agli occhi del lettore. Sappiamo cosa le è successo, che lavoro fa, i posti che ha visitato, ma è difficile riuscire ad individuare in essa quel qualcosa di "speciale", che ci aspettiamo di trovare nella protagonista di un romanzo. I personaggi maschili, che le girano intorno, sarebbero potenzialmente ben più interessanti (a parte il suo primo fidanzato giapponese, che è una figura evanescente appena accennata), ma a tratti risultano stereotipati e semplificati: il giapponese dall'aspetto caucasico tormentato e diviso fra due mondi e l'italiano praticamente perfetto per mettere su famiglia. Basta soltanto questa definizione a far capire come andrà a finire la storia. Keiko ci parla di loro, ma non riesco a vedere in lei il forte sentimento che prova per loro: non ce lo mostra. Le scene più drammatiche vengono anticipate, ma poi saltate a pie' pari, quasi non fossero importanti. Tutto questo è un peccato, perché i potenziali per tirare fuori una storia avvincente c'erano tutti: sembra quasi che l'autrice abbia avuto paura di rischiare. La scelta stilistica di mescolare gli avvenimenti seguendo questo ordine "geografico" invece che quello cronologico mi è piaciuta molto. Peccato che così facendo ogni capitolo tenda ad acquisire una denotazione molto episodica, senza un qualche evento sospeso alla fine di esso, che costringa il lettore ad andare avanti per vedere cosa succede dopo. L'insieme di queste osservazioni mi fa pensare che nel dare estrema importanza alle ambientazioni si sia trascurato gran parte del resto. Ciò si vede anche da piccoli errori concettuali, come, per fare qualche esempio, le farfalle dei faggi, che in realtà sono quelle delle betulle (che hanno le cortecce bianche); i polipi invece dei polpi (a meno che non si riferisse a qualche specie di celenterato commestibile come le attinie, invece che ai famosi molluschi con otto braccia dotate di ventose); le cicale che friniscono anche di notte (lo fanno solo di giorno nelle ore più calde e di notte ci si sentono i grilli). Tutti piccoli dettagli che possono disturbare, in quanto ci voleva davvero poco per evitarli, se fosse stato dato ad essi metà dell'importanza dei mille dettagli giapponesi con tanto di nota esplicativa. Poi ovviamente ci sono una serie errori legati alla mancanza di un correttore di bozze: refusi (anche se non tantissimi a dire la verità), qualche imprecisione minore di carattere ortografico e sintattico, una certa mancanza di coerenza nell'uso di diverse forme ortografiche (corrette) lungo l'intero scritto (es. obiettivo e obbiettivo), infine la tendenza ad un eccessivo uso degli accapi, che spezzano anche visivamente la lettura, sebbene questa venga man mano diminuendo con l'andare avanti del testo. Infine una cosa che non mi è piaciuta tanto è la scelta di inserire una critica alla società italiana in confronto a quella giapponese. Mi è sembrato di per sé un argomento un po' troppo complesso perché potesse essere affrontato in un testo del genere (poiché non essenziale per la trama) e, infatti, risulta troppo semplicistico. Se Keiko fosse una persona reale o se a scrivere le sue storie fosse stata un'autrice giapponese, l'avrei considerata un po' troppo superficiale nelle sue critiche, perché ignorante su come esattamente stanno le cose nel mio paese. Il fatto che invece si tratti di una scrittrice italiana mi lascia a dir poco perplessa, se non altro perché, seppure ci trovassimo di fronte alla pura finzione e quindi le sue parole non dovessero rispecchiare il suo pensiero reale, si tratterebbe di una scelta da parte sua parecchio rischiosa, in quanto potrebbe far storcere il naso al lettore italiano amante del suo paese (e parliamo di tanta gente) e spingerlo ad un giudizio negativo sia nei suoi confronti (se l'autore non percepisce la finzione) che in quelli del modo di pensare giapponese, cosa del tutto controproducente in un testo che vuole invece essere una dichiarazione d'amore nei confronti del Giappone. La scelta di dare tre stelle a questo romanzo è quindi frutto di tutte queste riflessioni. Resta comunque il fatto che ci troviamo di fronte a una buona scrittrice, che forse manca soltanto un po' di esperienza nel confronto diretto con il pubblico della narrativa, cosa più che normale trattandosi della prima opera pubblicata.
NOTA: Una nuova edizione di questo romanzo è stata pubblicata da Cerebro Editore il 16 dicembre 2013. Il ricavato della vendita del libro verrà devoluto a favore di End Polio Now.
Tokyo Night su Amazon.it.
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Di Carla (del 14/12/2011 @ 02:27:32, in Lettura, linkato 4696 volte)
Più resoconto che romanzo
Questo libro mi ha lasciato perplessa. L'ambientazione (la Luna) è senza dubbio affascinante. La stessa storia in sé, sebbene sia una rivisitazione in chiave fantascientifica della guerra d'indipendenza americana, ha una notevole originalità. Purtroppo non mi è piaciuto il modo in cui è stata sviluppata e solo i primi due punti mi hanno permesso di darle due stelline invece che una. Di carne al fuoco ce n'è tantissima e da subito ci si rende conto che un solo romanzo è troppo poco per svilupparla come si deve. Il risultato è che appare per gran parte un puro e semplice resoconto, ricco di informazioni tecniche superdettagliate in campo politico, scientifico ecc..., con fatti riassunti rapidamente in poche righe e solo qua e là spezzoni di dialoghi, che falliscono nel far trasparire i sentimenti e la stessa umanità dei personaggi. La conseguenza più ovvia è la noia. Eppure l'inizio mi aveva intrigato, con il calcolatore Mike che aveva preso coscienza di sé diventando vivo. Poi però la trama finisce per basarsi troppo su questo supercalcolatore intelligentissimo, simpaticissimo, in grado di fare qualsiasi cosa, infallibile, solo grazie al quale (almeno a grandi linee) i personaggi riescono a raggiungere i propri scopi. Mi è sembrato sin troppo facile. Speravo in un miglioramento, ma mi sono ritrovata ad arrancare a metà libro augurandomi che finisse il più velocemente possibile. Una storia essenzialmente raccontata, in cui poco viene mostrato come si deve. La stessa scelta di narrarla dal punto di vista di un solo personaggio la limita tantissimo. Nonostante le lunghe tempistiche della narrazione, il finale è scontato dal momento in cui si capisce di cosa parla realmente la storia. Non ci sono veri colpi di scena o, meglio, il modo in cui vengono raccontati gli eventi li rende poco sorprendenti. Le motivazioni dei personaggi, compreso il protagonista che parla in prima persona, non sono per niente chiare. I loro sentimenti vengono detti a parole, ma non mostrati in maniera convincente nei gesti. Dalla lettura ho ricevuto una visione quasi asettica dei fatti, che non è riuscita in alcun modo a divertirmi.
"The Moon Is a Harsh Mistress" (versione inglese del libro) su Amazon.it (la versione italiana è stata pubblicata da Urania e perciò è difficile da trovare).
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Parlando del mercato editoriale italiano, il termine rivoluzione è ancora prematuro, ma sicuramente rende l'idea di cosa sta accadendo da poco più di due settimane, da quando, cioè, Amazon ha aperto il Kindle Store nel nostro paese. I suoi effetti, soprattutto nei paesi anglofoni, sono stati e sono tuttora tali da giustificare la parola rivoluzione. Il Kindle ha costretto il mercato editoriale statunitense (e sta facendo lo stesso negli altri paesi anglofoni) a cambiare radicalmente. La possibilità di acquistare, scaricare e iniziare a leggere un libro un minuto dopo averlo visto su Amazon, ovunque ci si trovi (grazie alla possibilità di acquistare direttamente dall'ebook reader), ha modificato il rapporto col libro stesso, aprendo sempre più spazio al cosiddetto acquisto compulsivo fatto in un qualsiasi momento e con un solo semplice click e reso più semplice, a livello sia psicologico che materiale, anche dai prezzi più contenuti degli ebook rispetto alle versioni cartacee. A soli 13 giorni dall'apertura dello store italiano, che sta sicuramente registrando un successo di vendite sia degli ebook reader che di conseguenza degli ebook, grazie alla vicinanza del Natale, i suoi effetti iniziano a vedersi. Basta andare a leggere i vari forum, social network e blog di lettori o che comunque si occupano di editoria per rendersi conto che tutti ne parlano. La rivoluzione, insomma, sta iniziando e ci sono tutti i presupposti che assuma caratteristiche simili a quella dei paesi anglosassoni, se non nelle dimensioni (per un'ovvia differenza di numeri), sicuramente nelle sue modalità. È certo che, se si parla di grossi autori e di grossi editori, le edizioni economiche, che si possono trovare ovunque (edicole comprese) e con prezzi bassissimi, la fanno ancora da padrone, quando si parla di acquisto compulsivo, ma i due fenomeni vanno a braccetto e di fatto poco si disturbano. Il lettore di bestseller, che ha fretta di leggere l'ultimo libro del suo autore preferito, può averlo in pochi istanti ad un prezzo più basso rispetto alla versione cartacea, senza aspettare di trovarlo in libreria o che gli venga recapitato dalla posta. Quello che non ha fretta, continuerà ad attendere le versioni economiche (o i mercatini dell'usato), ma, se ha un ebook reader, lo utilizzerà per sperimentare diversi tipi di autori, i libri dei quali in versione cartacea hanno sempre prezzi eccessivi rispetto alla loro notorietà, che non si trovano in libreria e non sono sempre disponibili in tutti i negozi online, che vengono pubblicati solo come ebook: insomma i libri dei cosiddetti "autori indipendenti". Ma chi sono gli autori indipendenti? Questo termine dal suono elegante non è altro che un modo di definire gli autori che si autopubblicano. Accostando le due parole se ne riceve, però, una percezione diversa. In Italia si usa ancora la parola autopubblicazione invece che editoria indipendente (sentite come suonano diverse?), implicando un suo valore inferiore rispetto alla pubblicazione tramite gli editori. I motivi di questa sua accezione negativa sono tanti. Prima di tutto si tende a pensare che se un libro vale o un autore è di talento prima o poi, se si impegna abbastanza, troverà sicuramente un editore disposto a investire su di lui per pubblicare il suo libro. Questo sarebbe vero in un mondo perfetto, dove ci sono editori disposti a leggere e valutare seriamente ogni opera, che abbiano la facoltà (economica) di pubblicare e promuovere qualsiasi libro. La realtà non è così. Come sappiamo, nel mercato editoriale, così come in quello musicale o cinematografico, conta solo ciò che vende, affinché la spesa fatta (e si parla di molti soldi) porti ad un altissimo introito (medio o alto non basta). In un sistema del genere i grandi editori, che sono quelli veramente in grado di valorizzare un libro, devono fare delle scelte che sono prima di tutto economiche. La qualità viene molto dopo o mai. Allora all'autore valido, del quale parlavo prima, cosa resta? I piccoli-medi editori, che magari sono più attenti al singolo individuo o prodotto, anche perché non hanno i mezzi per gestirne molti, ma che per lo stesso motivo non sono in grado di valorizzarlo come merita (rendendolo pressocché invisibile nel mercato). Ma c'è anche un altro fatto: molti di questi editori non possono contare su personale preparato (ricordate? non hanno soldi), perciò la fase di selezione e di editing lascia spesso moltissimo a desiderare. E poi ci sono quelli che addirittura ti chiedono soldi per pubblicare. Quelli sì che pubblicheranno il tuo libro al 100% e guadagneranno alle tue spalle, mentre tu continuerai ad essere invisibile. Tutti si prendono i diritti sull'opera. Nonostante questo, si tende a pensare che questo autore, solo perché ha trovato un editore anche piccolissimo, che ha pubblicato il suo libro (gratuitamente o a pagamento), sia stato sottoposto ad un filtro serio e rigoroso e di consequenza, anche se si ammette l'esistenza di un certo fattore fortuna, sia comunque un buon autore. Molte di queste persone che pensano questo, in realtà poi i libri degli esordienti neppure li leggono, perché altrimenti saprebbero che non è proprio così. Per quello che si autopubblica invece si parla di vanity press. Si pensa che sia qualcuno che scrive, pensando di essere bravo, ma non lo è visto che nessuno l'ha voluto pubblicare, e che, dopo aver scritto la prima stesura di un libro, prenda e lo pubblichi così com'è. In realtà molti di questi autori indipendenti sono serissimi nel loro approccio alla scrittura. In Italia esiste da parte loro ancora molta ingenuità e scarsa conoscenza, ma se ci spostiamo negli Stati Uniti scopriamo che c'è tutto un fittissimo sottobosco di autori indipendenti che campano scrivendo. Sì, avete letto bene. Prima di tutto scrivono tantissimo e in forme tra le più svariate: romanzi, saggi, racconti, novelle, storie a puntate. Pubblicano in continuazione qualcosa di nuovo, perché più si pubblica più si vende. Si rivolgono a professionisti per la grafica di copertina e l'editing (professionisti veri, non gente improvvisata), per la formattazione del testo, per la produzione di un audiolibro e tutto quanto riguarda il loro libro. In altre parole investono sul loro prodotto. Sono espertissimi di tutti i sistemi di marketing online e non, e continuano a studiarne di nuovi. Ma soprattutto pubblicano al 99% esclusivamente ebook (e, al massimo, audiolibri). I pochi libri cartacei in circolazione sono utilizzati solo a scopo promozionale o per i parenti o per ricordo personale. Pochissimi vengono venduti, perché con l'autopubblicazione non possono fare concorrenza ai prezzi dei formati economici dei bestseller. Ma possono farlo con gli ebook, partendo da cifre come 99 centesimi fino a pochi dollari, giocando con questi prezzi e magari dando qualche libro in regalo per fidalizzare nuovi lettori. Insomma sono dei professionisti a tutti gli effetti. Dinanzi a personaggi del genere è chiaro che il termine autore indipendente acquisisce ben altro valore. Tanto di cappello a queste persone, che evidentemente hanno del talento e non parlo solo di quello di scrivere bene. E quest'ultimo suppongo che ci sia, se migliaia di persone ogni mese acquistano i loro libri e li giudicano positivamente. Forse non tutti saranno dei geni della scrittura, ma ciò vale anche per gli autori di bestseller. Nel riflettere su tutto questo, mi sono posta una domanda: un sistema del genere potrebbe essere vincente anche in Italia? Premesso che i tempi non sono ancora maturi, perché manca la preparazione da parte degli autori, perché è difficile individuare dei veri professionisti ai quali appoggiarsi per editing e tutto il resto e neppure i lettori forse sono ancora pronti, se non altro perché l'ebook reader sta ancora iniziando a diffondersi, non è comunque agevole rispondere a questa domanda. Ciò che permette a molti autori indipendenti americani o comunque anglofoni di avere successo è il fatto che hanno a disposizione un numero di lettori immenso, pressoché infinito. Oltre al fatto che, mettendo insieme i paesi madrelingua inglese, il pool di possibili lettori è già di per sé enorme, c'è da aggiungere che in realtà tutto il mondo più o meno parla inglese. Magari non tutti sono in grado di leggere un libro, ma una buona parte di essi lo è. I numeri in gioco sono ben diversi rispetto a quelli relativi alla lingua italiana, considerando che l'Italia non brilla per essere un paese di forti lettori. È anche vero però che i grandi numeri del panorama anglofono non riguardano solo i lettori, ma anche gli autori indipendenti. C'è, di conseguenza, una maggiore concorrenza. Anche se costano poco, un lettore non può comprare i libri di tutti, altrimenti va in bancarotta e poi non avrebbe il tempo di leggerli. In Italia la potenziale concorrenza è sicuramente minore, quella effettiva, al momento, è quasi nulla. Questo perché di autori indipendenti con le capacità e le conoscenze che ho descritto sopra ce ne sono ancora pochi, molti di essi non ne sono del tutto coscienti. Quelli che per primi avranno il coraggio di mettersi in gioco potrebbero forse farcela? Non ci resta che attendere e vedere cosa accadrà.
Visita il Kindle Store di Amazon.it! Sul menù di sinistra è anche possibile cliccare sul link "Pubblicare su Kindle", che permette agli autori di vendere direttamente e gratuitamente i propri ebook.
Di Carla (del 07/12/2011 @ 07:28:13, in Lettura, linkato 4074 volte)
Inizio di carriera di un giovane avvocato nei guai
Da un po' di tempo a questa parte, o almeno negli ultimi suoi libri che ho letto, Grisham si diverte a lasciare un finale aperto, mettendo in evidenza come non sia affatto esso la parte più importante dei suoi romanzi. Non è per il possibile finale, infatti, che mi sono trovata costretta a leggere "Il ricatto" in pochi giorni, continuando a girare pagina anche negli orari più assurdi pur di andare avanti e aspettando con trepidazione il momento in cui avrei potuto prendere il libro fra le mani. Era ciò che c'è dentro il libro, i dettagli della storia, a tenermi collata. Questa volta l'autore ci descrive come un giovane laureato in legge si trova catapultato nel mondo del lavoro in un grosso studio newyorkese, dove la parola d'ordine è solo una: fatturare. Non esiste nessuna forma di tutela dei giovani avvocati, che vengono quasi schiavizzati e portati allo stremo delle forze pur di fatturare il più possibile nella speranza di avere un futuro in quello studio. Entrando in contatto con questo mondo "sotterraneo", ci ritroviamo ad immaginare il perché queste persone difficilmente riescano ad avere una vita sociale decente e non possiamo non rimanerne impressionati, se proviamo anche soltanto a paragonarlo con il nostro analogo italiano. Nel nostro paese, a causa della nostra mentalità estremamente diversa da quella americana, niente del genere potrebbe accadere. Ed è proprio per questo che come sempre le storie di Grisham mi affascinano: per l'estrema lontananza dalla realtà in cui vivo, perché aprono una finestra su quello che sembra quasi un pianeta diverso. Nel raccontarci l'ennesima storia a sfondo legale l'autore ci regala dei personaggi reali, ai quali è impossibile non affezionarsi. Diversamente da altri romanzi più corali, qui abbiamo un protagonista ben definito, che si trova in una situazione apparentemente senza uscita (viene, appunto, ricattato), e lo seguiamo mentre si barcamena cercando di immagine come potrebbe venirne fuori. Alla luce di tutto questo, la fine della storia passa totalmente in secondo piano e non possiamo che apprezzare la maestria dell'autore nell'emozionarci pagina dopo pagina, tanto che ci spiace non poco quando finiamo di leggerne l'ultima. Grisham si conferma con questo libro come uno dei più grandi narratori dei nostri giorni, capace di prescindere il genere, in cui apparentemente si inserisce (quello del legal-thriller), per regalarci delle storie talmente intense da sembrare terribilmente reali e dalle quali c'è sempre qualcosa da imparare.
"Il ricatto" (versione cartacea) e "Il ricatto" (ebook per Kindle) su Amazon.it. "The Associate" (ebook per Kindle in inglese) su Amazon.com.
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Magari vi chiederete perché parlo di questi due argomenti nello stesso post. Apparentemente hanno poco a che vedere l'uno con l'altro. I primi rappresentano un metodo alternativo di fruizione della letteratura, i secondi sono uno strumento di marketing. Ciò che li accomuna è la tendenza di entrambi di fornire un'interpretazione dell'opera letteraria, che può sostanzialmente divergere da ciò che il lettore s'immaginerebbe autonomamente leggendo un libro. Il bello della lettura è che abbiamo davanti un testo scritto e nient'altro e su quelle parole creiamo nella nostra mente un mondo unico. Ognuno di noi s'immagina qualcosa di totalmente diverso per quanto riguarda le ambientazioni, l'aspetto dei personaggi, le loro voci, le loro emozioni. La lettura è un'esperienza molto intima, personale. Ciò che rende bello o brutto un libro siamo prima di tutto noi, con i nostri gusti, la nostra sensibilità e il nostro stato d'animo del momento. Questo suo essere così speciale differenzia notevolmente la narrativa da altre forme d'arte che ci raccontano delle storie, come il teatro o il cinema, poiché prevede un ruolo più attivo da parte del suo fruitore. Ma se qualcuno legge per noi un libro, interpretandolo con la voce e mettendo quindi del suo in questa sua interpretazione, e se a questo si aggiunge qualche musica o qualche effetto sonoro, per forza di cose la nostra fantasia viene influenzata e viene meno gran parte della creatività che ognuno di noi mette nella lettura, trasformandola in qualcosa di più passivo. Probabilmente in questo modo si perde una parte del divertimento, che dipende strettamente anche dal dare i nostri tempi alla lettura, soffermarsi su certi passaggi piuttosto che sorvolare su altri, accelerare e rallentare, tutte cose che rendono il libro un po' nostro. Allo stesso modo, se prima di leggere un libro vediamo un booktrailer, non c'è il rischio di venirne influenzati? Se questo è particolarmente complesso, con tanto di attori e ambientazioni ben definite, il rischio c'è eccome, come pure è molto facile che ciò che vediamo non abbia niente a che vedere con ciò che la nostra immaginazione sarebbe in grado di tirare fuori da un libro. Si tratta infatti della visione di un'altra persona, che con molta probabilità potrebbe non piacerci. In tutta sincerità raramente ho visto un booktrailer che mi sia piaciuto. Talvolta si tratta di video imbarazzanti costruiti mettendo insieme foto e musiche famose usate senza il permesso dell'autore, che definirei il contrario di qualsiasi forma di pubblicità. Altri sono estremamente elaborati, tanto da trasformarsi in piccolissimi cortometraggi, che sarebbero pure carini, se non pretendessero di pubblicizzare un libro. Gli unici che considero belli, perché efficaci nel far nascere in me l'interesse verso il libro, sono prima di tutto cortissimi (30 secondi, il tempo di uno spot o di un trailer corto di un film, oltre il quale l'attenzione sul web tende a calare e cresce la noia), non mostrano praticamente nulla (niente volti distinti, ambientazioni non ben definite o comunque che appaiono troppo velocemente per essere chiare), usano slogan accattivanti e musiche originali, simili a quelle di un film. In pratica si tratta di spot pubblicitari. Ma il booktrailer serve davvero? È una pratica sempre più diffusa, ma nonostante questo, sia dalla mia esperienza personale da lettrice che leggendo le impressioni di altri, sembra più che altro uno strumento a doppio taglio, che costa e, se non fatto come si deve, rischia di svilire l'opera o darne un'immagine non appetibile per tutti. La mia opinione è che una delle cose più belle del porsi davanti a un libro è il non sapere cosa c'è dentro, a parte il genere in cui si colloca. Niente ti incuriosisce di più dell'avere davanti una copertina accattivante e un titolo efficace, magari con l'aggiunta di uno slogan, una frase a effetto presa dal testo. Talvolta aiuta anche la quarta di copertina, se fatta con criterio (sarebbe da scriverci un post a riguardo!), che deve dare una vaga indicazione del tipo di storia. Perciò una qualsiasi forma di pubblicità dovrebbe mettere in evidenza unicamente questi aspetti e lasciarci liberi di fantasticare sul resto, tanto da essere così incuriositi da volere quel libro. Tutto il resto è superfluo, fuorviante e potenzialmente controproducente.
Un esempio di booktrailer/spot di grande livello: "Red Mist" di Patricia Cornwell (avrete capito che è una delle mie autrici preferite, no?).
Red Mist (rilegato) e Red Mist (ebook per Kindle), ovviamente in inglese trattandosi del suo ultimissimo romanzo, su Amazon.
Di Carla (del 30/11/2011 @ 06:11:43, in Cinema, linkato 6919 volte)
In questi ultimi giorni ho visto gli adattamenti televisivi dei romanzi "A rischio" e "Al buio" di Patricia Cornwell, che seguono i casi di Win Garano e Monique Lamont (interpretati da Daniel Sunjata ed Andie MacDowell), ma proprio oggi ho saputo che un altro filone dei romanzi della Cornwell, alternativo a quello di Kay Scarpetta (ma dove la famosa patologa forense ha fatto una piccola apparizione), sta per approdare in TV: quello di Judy Hammer ed Andy Brazil. Il canale via cavo americano TNT sta infatti per produrre un film per la TV tratto dal romanzo "Il nido dei calabroni", il primo del filone Hammer-Brazil. C'è la speranza (mia) che, se le cose dovessero andare per il meglio, a questo primo film seguano altri due, tratti da "Croce del sud" e "L'isola dei cani". Il filone rientra nel genere poliziesco, ma presenta un'atmosfera molto più "leggera" e ironica rispetto alle avventure della dottoressa Scarpetta, descrivendo spesso personaggi e situazioni decisamente comiche, sebbene ci scappi sempre un morto. Il film "Hornet's Nest" (titolo originale de "Il nido dei calabroni") vedrà la partecipazione di Virginia Madsen (nella foto) nel ruolo del capo di polizia Judy Hammer, Sherry Stringfield (quella di E.R.) nel ruolo dell'agente Virginia West e Robbie Amell come Andy Brazil. La sua messa in onda in America è prevista per la prossima primavera. Confidiamo su Sky per averlo presto anche in Italia. Credo proprio che ne vedremo delle belle e spero che questo spinga la Cornwell a cimentarsi di nuovo in questo bel filone, che ammetto mi piace un po' di più rispetto a quello della cara zia Kay. Nel frattempo è in pre-produzione un film, stavolta per il cinema, sulla Scarpetta, che si baserà su una storia completamente nuova rispetto ai 20 romanzi finora pubblicati. La fonte di questa notizia è la stessa Cornwell nel suo Twitter ufficiale.
I libri di Patricia Cornwell e i film tratti dai suoi romanzi su Amazon.it.
Di Carla (del 26/11/2011 @ 02:17:00, in Lettura, linkato 3614 volte)
Il romanzo della maturità
È così che viene di solito definito "Persuasione", che è uno dei due romanzi postumi di Jane Austen. Le ambientazioni e le situazioni sono sempre lo solite, che si trovano anche negli altri cinque, ma il fattore maturità (chiamiamolo così) lo differenzia dalle altre opere di questa grande scrittrice. Prima di tutto devo precisare che ho letto il libro ascoltando in contemporanea l'audiolibro. È stata un'esperienza piacevole e istruttiva, anche grazie alla bravura della lettrice (ho scaricato l'audiolibro da LibriVox.org). Ascoltare un audiolibro in inglese con un testo davanti aiuta ad assaporare meglio le parole e a migliorare la pronuncia. Al di là di ciò sono rimasta notevolmente colpita dal romanzo, in cui davvero tutti i personaggi sono talmente ben delineati da avere l'impressione di trovarseli davanti. La storia d'amore della protagonista rimane in sottofondo per gran parte del libro, mentre sfilano davanti ai nostri occhi tutta una serie di vicende, filtrate dall'impatto che queste hanno su Anne. Il suo appare un personaggio arrendevole all'inizio, ma man mano che la storia prende piede ci si rende conto di come lei abbia imparato grazie all'esperienza, data appunto dalla maturità, a barcamenarsi nelle situazioni più disparate senza fare torto a nessuno e senza esporsi più di tanto agli altri. La narrazione si divide tra lunghi dialoghi e lunghissimi racconti degli eventi presenti e passati. In alcuni passaggi ammetto che avrei preferito conoscere le parole esatte dei personaggi, piuttosto che il riassunto dell'autrice, che pare però volersi focalizzare solo su certi aspetti della storia. In questo senso la fine è quasi precipitosa, ma il colpo di scena che la precede è spettacolare, soprattutto se consideriamo che sappiamo bene già dall'inizio che ci può essere un unico epilogo. Nonostante ciò, sono rimasta a bocca aperta di fronte al modo in cui l'autrice ha deciso di giocare le sue carte e proprio in questo si ravvede la maturità della stessa Austen, non più ragazzina, che guarda al mondo con occhi un po' meno spensierati rispetto al passato.
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Seguo in maniera assidua alcuni blog, sia italiani che stranieri, che si occupano esclusivamente di scrittura e discutono su vari argomenti relativi ad essa, dispensando consigli e regole. Alcuni di questi blog appartengono a scrittori o editor professionisti, insomma gente che con la scrittura ci campa. La prima cosa che si nota, di solito, è che la maggior parte degli scrittori professionisti (ma non tutti) hanno un approccio più soft, raccontano le loro impressioni e i loro metodi, quasi mai pretendono di avere la verità in tasca. Il loro blog (o Twitter o Facebook) è uno strumento di marketing e apparire simpatici li aiuta a vendere. In ogni caso ciò che trasmettono risulta spesso molto interessante e utile. Gli editor professionisti invece si concentrano su ciò che non andrebbe fatto e sono abbastanza bacchettoni, ma d'altronde si tratta di una deformazione professionale. Il loro lavoro non è creare ma correggere quello creato dagli altri. Non possono e non devono apparire troppo umili e insicuri, altrimenti se ne metterebbe il dubbio la capacità di fare il loro lavoro. In entrambi i casi ci sono delle eccezioni, ma più o meno la situazione è questa. Il discorso cambia quando non si ha a che fare con professionisti (nell'accezione che ho riportato sopra), ma con chi lo fa per hobby o sta iniziando a farne un lavoro, ma non ci campa di certo. Stranamente i non professionisti hanno quasi sempre qualcosa da insegnare. Al di là del fatto che quello che scrivono sia valido oppure no, il più delle volte si tratta di opinioni trasformate in verità assolute, per cui la prima domanda che sorge è: che titolo hanno per insegnare agli altri? Non so voi, ma io lo trovo fastidioso. Queste stesse persone poi dicono che gli autori esordienti sono presuntuosi ( dare del presuntuoso agli altri non potrebbe essere a sua volta presunzione?). È vero sì che c'è un sacco di gente che scrive e non conosce neppure la grammatica e la sintassi, ma qui parlerei più di ingenuità che di presunzione. È anche vero che l'autore esordiente si infastidisce se riceve delle critiche, ma questo riguarda chiunque faccia un lavoro (creativo o no). Tutti si infastidiscono. Ognuno ama quello che scrive e ci crede. Rimane male davanti alle critiche su di esso, persino gli autori di bestseller mondiali. E ha difficoltà ad eccettare che gli altri ci mettano mano, poiché si tratta di un'intrusione in qualcosa di intimo, che rischia di essere snaturato. Gli scrittori professionisti hanno gli editor che spesso stravolgono ciò che loro scrivono, ma questo non significa che faccia loro piacere. La differenza sta nel fatto che sono pagati per vedere il loro lavoro stravolto. Non scrivono più per il semplice piacere di farlo, come un esordiente. L'approccio e le motivazioni sono totalmente diverse. Se mai dovessi avere la fortuna che qualcosa che ho scritto suscitasse l'attenzione di un editore che mi vuole pagare un anticipo sui diritti (sognare non costa nulla), a quel punto sarebbe liberissimo di far massacrare il mio testo. Se però non paga o addirittura sono io a dover pagare, è normale che storca il naso. Come minimo. Come forse sapete, la mia occupazione principale sono le traduzioni e in questo ambito mi capita spesso di dover fare la revisione del lavoro di altri. Nel fare una revisione succede una cosa strana: più il testo è scritto bene più si cerca il pelo nell'uovo, per giustificare la spesa del cliente, più è scritto male più si è permissivi, affinché il compenso accordato non sia troppo inferiore al lavoro fatto. Si tratta di un meccanismo inconscio, non voluto. Ci si abitua allo standard che si ha davanti e ci si fa influenzare da esso. Il secondo dei due è abbastanza comprensibile. In ogni caso il testo viene migliorato in maniera commensurata al prezzo. Ma il primo talvolta può essere pericoloso, poiché porta ad una eccessiva interferenza del revisore nel testo. Finché si parla di traduzioni poco male. Ma, se trasferiamo questo ad un testo originale, non c'è il rischio di snaturarlo a livello stilistico? E poi siamo sicuri che questo cambiamento, che è soggettivamente gradito all'editor che l'ha fatto, sia un reale miglioramento?Se si parla di editor esperti pagati da un editore, che quindi rendono il testo più in linea con la possibilità di venderlo, è un conto. Queste persone sono pagate a prescindere, anche se si limitano a cambiare poche virgole, purché il risultato finale sia come vuole l'editore. Non devono dimostrare nulla all'autore. Ma se si tratta di editor freelance, pagati dall'autore, per migliorare il testo prima di inviarlo ad un editore, mi sembra che ci sia il reale rischio di buttare via dei soldi, perché l'editor tenderà a voler dimostrare all'autore di essere, come minimo, più bravo ed esperto di lui (se non lo fosse, a che servirebbe?). Perdonate questo post leggermente polemico, ma l'argomento è controverso e talmente pieno di sfumature che è difficile capire cosa sia meglio, ma comunque, a mio parere, merita una certa riflessione.
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