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 Luna... di Carla
 

“Il fatto che le nostre specie sono nemiche non significa che anche tu e io dobbiamo esserlo.” Per caso

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Il 3 e il 4 ottobre si terrà presso l'Università degli Studi di Salerno a Fisciano l'evento COM:UNI:CARE Live Conference, che si propone di dare uno sguardo contemporaneo sulla comunicazione digitale in Italia.
L'evento, che fa parte del Progetto WebIrradiando, sarà anche trasmesso in diretta streaming su internet.

Perché ve ne parlo?
Perché ci sarò inch'io come relatrice!
Giovedì 3 ottobre dalle 12.15 alle 13.30 presenterò insieme all'amico Omar Serafini l'intervento "Modelli tradizionali e nuovi: due esperienze contemporanee". In particolare Omar parlerà del podcast Fantascientificast, mentre io concentrerò il mio intervento sul fenomeno emergente degli autoeditori digitali indipendenti, insomma sul self-publishing.

Se siete o sarete in zona, venite ad ascoltarci e a conoscerci di persona. In caso contrario, potrete seguire tutto l'evento online a questo link: http://comunicareliveconf.unisa.it/

Di seguito potete leggere l'abstract del mio intervento.

Il self-publishing è un formato editoriale la cui origine si perde nel passato, ma che negli ultimi anni ha subito un'imponente evoluzione dovuta alla comparsa degli ebook e in particolare della piattaforma di pubblicazione Kindle Direct Publishing di Amazon, che hanno virtualmente azzerato i costi relativi alla produzione dei libri e alla loro distribuzione.
Per quanto ciò in teoria fornisca a chiunque l'opportunità di pubblicare il proprio manoscritto nel cassetto, senza particolari pretese, il vero self-publishing deve però essere considerato un mestiere a tutti gli effetti, non un hobby, in quanto, se si mette in vendita un prodotto, è necessario rispettare il proprio potenziale acquirente, in questo caso il lettore, assicurandogli determinati standard di qualità, come per qualsiasi altra forma di editoria. In ultima analisi è proprio il lettore a sostituire l'editore tradizionale, facendo da filtro e giudice delle opere autopubblicate, decidendo se farne un bestseller o lasciarle scivolare nell'oblio.
In questo contesto il vero self-publisher svolge un triplice ruolo: autore, editore e imprenditore. Come tale gestisce le proprie pubblicazioni e si circonda di figure professionali, con le quali collabora per portare avanti il proprio progetto.
La scomparsa all'interno di questo modello editoriale di una figura esterna, che stabilisca ciò che merita di essere pubblicato in base alla sua commerciabilità, determina inoltre il rifiorire di generi letterari considerati dall'editoria tradizionale di nicchia, e quindi snobbati da essa, che trovano nel self-publishing una nuova chance di riproporsi al grande pubblico. L'esempio più lampante a questo proposito è fornito dalla fantascienza nel mercato editoriale italiano.

Vi aspetto a Salerno!

 

Lo scorso 3 ottobre ho partecipato come relatrice all’evento COM:UNI:CARE Live Conference, organizzato presso l’Università degli Studi di Salerno. Il tema principale dell’evento era proprio la comunicazione svolta tramite i new media e i modi in cui questi ultimi vengono utilizzati in ambiti diversi per far giungere il proprio messaggio a più persone possibili. In questo contesto si è parlato di blog, social media, podcast, diffusione dell’informazione scientifica, di quella relativa ai prodotti tecnologici, della fantascienza e tanto altro. E tra i vari oggetti della comunicazione tramite il web ci sono senza dubbio gli ebook, in particolare quelli dei self-publisher, che trovano in questo mezzo lo strumento principale per la propria promozione.
 
Ciò che ho cercato di fare nel poco tempo a disposizione è stato dare un’idea di ciò che significa essere veramente un self-publisher e di alcuni metodi per utilizzare nella maniera giusta il web per sviluppare il proprio brand come autore, sia prima che dopo la pubblicazione, oltre che fornire un rapido resoconto dei risultati che ci si può aspettare di ottenere.
Non vi ripeto il contenuto del mio intervento, in quanto potete rivederlo nei video sotto riportati. Il primo contiene l’intero intervento, fatto insieme a Omar Serafini, che ha parlato di Fantascientificast e della situazione della fantascienza in Italia. Il secondo è un’intervista registrata dopo l’intervento. Infine propongo un link a una seconda intervista che è apparsa su Ustation.
 
Vorrei solo aggiungere che l’intero evento è stato molto interessante e stimolante sia per i contenuti trattati (vi consiglio di entrare nel canale YouTube di Unisound per guardare tutti gli interventi e in quello di Osservatorio SNIF per le interviste che sono seguite) sia perché mi ha dato la possibilità di conoscere degli entusiasti del web, come lo sono io, persone creative, attive e positive, con le quali sto già creando delle preziose sinergie e presto ne vedrete (e ascolterete) i risultati.
 
In questo articolo, però, vorrei più che altro fare un breve riepilogo dell’argomento di cui ho parlato, che senza dubbio meriterebbe più spazio, e prometto di dargliene un po’ in futuro all’interno di questo blog. Nelle prossime settimane ho intenzione di inaugurare una piccola sezione del mio sito, destinata a crescere, dove raccogliere in maniera sistematica i miei articoli sul self-publishing (non solo quelli pubblicati su questo blog) ed eventuale altro materiale, tra cui questi video e altri che seguiranno.
Ma veniamo a noi.
 
Ho impostato il mio discorso sulla necessità di definire il self-publishing per quello che è: un vero e proprio mestiere, e non solo un hobby, sebbene chiunque sia libero di svolgerlo per così dire a tempo perso. Questa affermazione è importante, in quanto mette in evidenza il fatto che, se si pretende che qualcuno spenda i propri soldi per leggere ciò che scriviamo (per acquistare i nostri prodotti), va da sé che da parte nostra c’è la necessità di fornire ai potenziali lettori dei libri che rispettino degli standard di qualità. Per poterlo fare è necessario avvicinarsi al self-publishing nella maniera più professionale possibile, in altre parole bisogna conoscere e applicare al meglio le regole del mestiere. Non ci si può improvvisare.
In questo contesto quella di diventare un vero self-publisher non è affatto una scorciatoia per la pubblicazione dei propri scritti, bensì una scelta virtuosa, in quanto egli incarna in sé ben tre figure professionali: autore, editore e imprenditore.
Questa definizione non è chiaramente una mia invenzione, ma mi rifaccio a quella di “author, publisher, entrepreneur” suggerita dal guru dei new media Guy Kawasaki. Una visione la sua che sta divenendo sempre più realtà nel self-publishing anglofono, ma che a stento giunge agli autori indipendenti digitali del nostro Paese, che spesso rifiutano l’idea di andare oltre il ruolo di autori, un po’ per mancanza di competenza, ma il più delle volte per la scarsa volontà di acquisirla, finendo però per danneggiare l’immagine dell’intera categoria, laddove la non volontà di imparare a fare gli editori si traduce nel riversarsi sul mercato di prodotti editoriali di mediocre o scarsa qualità.
 
Ma è sul ruolo di imprenditore, inteso come persona che si impegna per vedere il proprio prodotto, che verteva maggiormente il motivo della mia presenza a COM:UNI:CARE, in altre parole su come promuovere il proprio ebook.
A questo proposito, lo scopo del self-publisher è quello di creare e far crescere il proprio brand come autore (author branding). Per farlo, bisogna prima di tutto imparare da chi lo fa già, cioè studiare le tecniche di promozione usate da altri autori, soprattutto quelli che, come me, sono disposti a condividerle. Il più delle volte basta chiedere, poiché la condivisione, la disponibilità e la solidarietà sono i punti cardine dell’essere un self-publisher. In questo senso l’interazione con altri autori indipendenti è cruciale, sia nella realizzazione, pubblicazione che commercializzazione dei propri libri.
I lettori impiegano molto meno tempo a leggere i nostri libri di quanto ne serve a noi per scriverli. Va da sé che i nostri lettori possano essere anche lettori di altri autori. Condividendo la propria base di lettori con altri autori, la si finisce per ampliare, sfruttando quella che è l’arma principale in mano a un self-publisher nella promozione del proprio lavoro: il passaparola.
 
Altri due aspetti fondamentali che devono essere ben chiari al self-publisher imprenditore sono la pre-promozione e la capacità di essere creativi nel cercare e utilizzare nuovi canali, magari insoliti, per arrivare al proprio target di lettori, proprio sfruttando le potenzialità dei new media.
 
La pre-promozione non è altro che una serie di attività svolte sul web atte a creare un crescente seguito di potenziali lettori, prima di pubblicare qualcosa. Possibilmente si dovrebbe iniziare a muoversi in questo senso diversi mesi prima, cioè durante la fase di scrittura del libro. La pre-promozione per un autore deve passare tramite la scrittura online. Esistono tanti modi per essere presenti online con i propri scritti, siano essi articoli o racconti e così via, ma il più alla portata di tutti è senza dubbio il blog. In particolare creare un blog in cui trattare un argomento che poi sarà presente come uno dei temi principali del proprio libro è uno dei modi più efficaci per attirare a sé persone potenzialmente interessate alla lettura di quest’ultimo (il nostro target) e allo stesso tempo mostrare a esse le proprie capacità di autore, la propria autorevolezza e iniziare a crearsi una reputazione, insomma sviluppare il proprio brand.
 
Una volta che il proprio libro è pubblicato e si deve lavorare, non solo per far conoscere se stessi, ma anche per far sapere al mondo della sua esistenza, ecco che la nostra creatività nell’accostarci alla promozione diventa importante. Come ho detto prima, bisogna vedere cosa fanno gli altri autori, soprattutto quelli che hanno ottimi risultati, ma è buona pratica mettere un po’ di nostro in questa fase individuando nuovi strumenti per arrivare ai lettori.
Quali sono questi strumenti?
Non esiste una risposa univoca e nessun libro o articolo può elencarvi dei metodi di sicuro successo che vadano bene anche per voi. Bisogna imparare a individuarli da sé. Il web ce ne offre tantissimi, in genere l’uso dell’uno o dell’altro è legato anche al genere dei nostri libri, ai temi trattati al suo interno e ancora alle nostre competenze, o a quelle che intendiamo acquisire.
 
Come ho fatto all’evento di Salerno, posso solo riportare il mio esempio, nella fattispecie la mia collaborazione col podcast Fantascientificast grazie alla quale, in ultima analisi, sono poi stata invitata a partecipare alla conferenza.
Avendo scritto un libro di fantascienza (si trattava del primo della serie di "Deserto rosso"), mi sono chiesta: dove trovo i miei lettori?
Sono andata a cercare delle realtà sul web indirizzate a questo target e così ho trovato Fantascientificast. Ciò che ho fatto dopo è stato semplicemente propormi (inviare una mail), ne ho ottenuto in primo luogo una citazione durante una puntata, che si è concretizzata nel mio primo approdo in top 100 sul Kindle Store di Amazon. A essa è seguita un’intervista, che poi ha portato a una collaborazione e, in ultima analisi, alla mia presenza a COM:UNI:CARE, con tutto ciò che questa frutterà nel prossimo futuro. Ma soprattutto ho avuto la possibilità di entrare in contatto con persone che condividono la mia stessa passione, cosa che per me è infinitamente più stimolante di tutto il resto, con le quali sono diventata amica. A questo proposito, e qui chiudo questo post, non smetterò mai di ringraziare Omar Serafini (nella foto), per essere stato il primo vero promotore del mio piccolo successo, in tempi non sospetti, e soprattutto per aver trovato in lui un ottimo amico.
 
Il mio intervento insieme a Omar Serafini a COM:UNI:CARE Live Conference.
 
L'intervista dopo l'intervento.
 
Intervista per Ustation.it (perdonate l'orribile smorfia nell'anteprima).
 


Questo maggio sarà per me un mese denso di appuntamenti a iniziare proprio con il XXVIII Salone Internazionale del Libro di Torino.
Il 9 maggio alle ore 15, presso il padiglione 2 Book to the Future, si terrà l'evento "Self-publishing: i sogni si pubblicano, non si chiudono nel cassetto", a cura di WIRED Italia.
Insieme a me parteciperanno all'evento Riccardo Pietrani, autore del bestseller su Amazon "Il segreto dell'ultimo giorno", Diego Marano e Camille Mofidi di Kobo e Antonio Tombolini di Narcissus. L'evento sarà coordinato da Alberto Grandi di WIRED.it.

La discussione partirà dall'iniziativa di WIRED.it dello scorso febbraio che aveva portato a compilare una lista dei 10 migliori autori indipendenti italiani, che includeva anche me e Pietrani, e continuerà prendendo in considerazione i cambiamenti nell'editoria che stanno avvenendo con l'avvento dell'era digitale.
Al centro di tutto ci sarà il fenomeno in crescita self-publishing che sta influenzando l'editoria di tutto il mondo, modificando gli equilibri preesistenti tra librerie, editori e autori.
Verrà messo in evidenza come la via dell'autoproduzione editoriale non sia più da considerare come un ripiego all'editoria tradizionale, bensì un'alternativa valida con un modello di business più agile, che coinvolge diverse figure professionali, che si trovano a lavorare direttamente col self-publisher, e che porta ad avere dei prodotti editoriali di qualità.
Si discuterà sui metodi dei self-publisher per raggiungere il lettore e promuovere il proprio libro e sul sistema trasparente che permette all'autore indipendente di emergere grazie al suo talento e alla sua capacità di interagire con i lettori, unici giudici della qualità del suo lavoro, grazie a internet.

Alcuni dettagli sull'evento sono riportati a questo link, dove potete ottenere informazioni generali sul Salone del Libro e su come acquistare i biglietti d'ingresso.

L'evento durerà circa 50 minuti e siete ovviamente tutti invitati ad assistere, se vi trovate a Torino o contate di venire al Salone il 9 maggio.
Magari si potrebbe cogliere l'occasione per incontrarci di persona.

 
Di Carla (del 12/05/2014 @ 15:00:00, in Eventi, linkato 1988 volte)


I miei appuntamenti di maggio continuano. Il 16 è la volta di Todi.

Nell'ambito della manifestazione "Il Maggio dei Libri" sono stati organizzati una serie di eventi intitolati "Lettura tra fruscio di carta, silenzio di bit e calore di voce", il secondo dei quali avrà luogo venerdì 16 maggio alle 17.30 nella sala conferenze della Biblioteca Comunale di Todi.

"Leggere e scrivere ai tempi di internet" è il nome dell'evento che mi vedrà protagonista insieme all'autore Francesco Zampa, ideatore della serie di gialli del Maresciallo Maggio, coordinati dall'esperta web Sonia Montegiove di Girl Geek Life.

Durante l'evento parleremo di self-publishing digitale e non, e presenteremo le nostre opere.
La raccolta della mia serie "Deserto rosso" in formato cartaceo sarà poi disponibile  per i lettori di Todi nella stessa biblioteca.
L'evento è gratuito.

Ulteriori informazioni sono sono presenti sul sito de "Il Maggio dei Libri".
Qui invece potete trovare informazioni sulla Biblioteca Comunale "Lorenzo Leoni" di Todi.

Se siete dell'Umbria o contate di essere nei dintorni il 16 maggio, venite a trovarci!

 

 

Lo scorso 9 maggio ho partecipato in qualità di relatrice all’evento “Self-publishing: i sogni si pubblicano, non si chiudono nel cassetto” nell’ambito del Salone Internazionale del Libro di Torino 2014.
È stata un’esperienza molto interessante ed è un peccato che avessimo solo 50 minuti per l’evento, perché ci sarebbe stato da parlare per ore.
Insieme a me c’erano, oltre Alberto Grandi di Wired, che coordinava l’evento, Camille Mofidi e Diego Marano di Kobo, e Antonio Tombolini di Narcissus.
È stato molto bello conoscere tutti loro. Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere sia prima che dopo l’evento. Ma è stato molto piacevole ascoltarli e discutere con loro davanti al numeroso pubblico che ha affollato l’area Book To The Future del Salone.
 
Ho apprezzato particolarmente il discorso fatto da Antonio Tombolini su cosa significa essere self-publisher oggi e su come il self-publishing digitale non sia vanity press, ma anche il contributo di entrambi gli inviati di Kobo. Diego Marano, che è italiano, è manager per il Regno Unito di Kobo Writing Life, mentre Camille Mofidi è la manager europea sempre della piattaforma di self-publishing di Kobo. Diego Marano ha integrato il discorso di Tombolini, concentrandosi sul contributo di Kobo Writing Life nell’ambito del self-publishing, e Camille Mofidi ha riferito riguardo alla situazione a livello europeo. A questo proposito vi rimando a un articolo sull’evento di Equilibri Digitali che ne parla più diffusamente.
 
Per quanto mi riguarda, sono stata introdotta per prima da Alberto Grandi per parlare della mia esperienza con la pubblicazione della serie di “Deserto rosso” tra il 2012 e il 2013 e, successivamente, sono intervenuta in altre tre occasioni (incluse due domande a me rivolte dal pubblico). Probabilmente sono quella che ha parlato di più.
In questo post vorrei però fare alcune riflessioni su due argomenti emersi durante l’evento e che ritengo particolarmente significativi.
 
Il primo è venuto fuori in seguito a una domanda che è stata posta proprio a me, dopo che ho riferito di come io interagisco con i miei lettori tramite i social network e come questo sia alla base dei meccanismi di promozione di un self-publisher (e non solo).
L’insieme di questi metodi di promozione costituisce il self- branding, cioè il fare di sé un marchio autorevole. In questo contesto l’autore interagisce nella rete con i lettori o i possibili lettori, sfruttando le tematiche dei propri libri e qualunque aspetto a essi legato, come nel mio caso l’esplorazione di Marte e la stessa serialità della pubblicazione, che mi ha permesso di coinvolgere in parte le persone anche nella fase creativa.
In poche parole, l’autore deve sapersi “vendere”, esporsi in prima persona, interagire con persone competenti del proprio genere, deve essere egli stesso un personaggio, un marchio.
Ed ecco che mi è stato chiesto se non ci potrebbe essere il “rischio” che la gente compri i libri per via dell’autore e non per il loro valore intrinseco o del loro contenuto.
 
Ammetto che per mezzo secondo ho fissato la mia interlocutrice come se fosse una marziana (lei!). Il pensiero successivo è stato: e allora?
Ho cercato di spiegarle che fa tutto parte del gioco dell’essere un autore, che insomma il mondo gira così.
 
Ditemi voi. Qual è la differenza tra il self-branding e i grandi editori che spendono fior fior di quattrini in pubblicità, creando nel lettore la necessità di leggere un libro che poi magari non vale quanto viene pubblicizzato?
 
Se non altro, un lettore che interagisce con l’autore è in grado di valutare prima dell’acquisto se ha davanti a sé una persona di un qualche valore. Ne può apprezzare la competenza, le capacità scrittorie (l’autore interagisce scrivendo, per esempio, nel proprio blog, ma anche nei social), la sua disponibilità, il suo valore umano.
Mi sembra una motivazione migliore per comprare un libro rispetto al vederlo sbattuto davanti agli occhi ovunque.
È chiaro che, se poi il potenziale lettore non è interessato al contenuto, con tutta probabilità non comprerà comunque il libro, anzi è poco probabile, in primo luogo, che arrivi a interagire con l’autore, visto che non hanno gli stessi interessi.
In ogni caso non l’autore si può prescindere dal self-branding, che non basta, ma è un punto di partenza fondamentale.

Nella foto sopra: Antonio Tombolini, Alberto Grandi, io (!), Camille Mofidi e Diego Marano durante l'evento. Potete vedere altre foto qui.
 
Il self-branding è la versione dell’author-branding applicata al self-publisher. L’autore pubblicato da un editore, uno grosso ovviamente, può contare su una squadra di persone che si occupa della sua promozione e quindi dell’author-branding. Il self-publisher fa da sé.
 
Ma in realtà il self-branding ormai esiste in tutta l’editoria. Tutti gli autori sono tenuti a essere presenti in rete, a interagire, a farsi conoscere, a mostrarsi disponibili, simpatici. Nei casi di autori si può trattare di qualcuno pagato per impersonarli, ma il meccanismo è lo stesso.
Autori di fama mondiale come Patricia Cornwell pubblicano foto e post su Facebook, rispondono ai tweet su Twitter, uno per uno. Magari non a tutti, ma ci provano.
L’autore britannico Peter F. Hamilton, che è forse il più grande autore contemporaneo di fantascienza del suo Paese, tra le altre cose su Facebook risponde alle domande su dove acquistare certi suoi libri. Lo dico perché ha risposto a me e io ho seguito il suo suggerimento. Addirittura si è preso la briga di leggere tre miei articoli dedicati a una sua serie di libri, che avevo linkato sulla sua pagina Facebook, e di commentarli. E so per certo che li ha letti, visto che l’ha dimostrato col suo commento ben argomentato.
È normale che, se un giorno dovessi scegliere tra l’acquistare un suo libro e quello di un altro autore di fantascienza, mi sentirei più portata a prendere il suo. Ma è altrettanto chiaro che, se non mi piacesse come scrive o la fantascienza, non mi sognerei di spendere i miei soldi, fosse solo un euro, né impegnare il mio tempo (scrive dei tomi di 800 pagine) con i suoi libri solo perché è simpatico.
 
Il secondo argomento è stato in parte affrontato nella domanda posta da uno del pubblico a Tombolini e Marano. Ho poi avuto modo di parlarne diffusamente con una persona di Meetale.com con cui mi sono intrattenuta qualche tempo dopo l’evento.
Il quesito è questo.
 
Ma se abbiamo già i nostri lettori perché non vendiamo i libri direttamente a loro invece di passare attraverso i retailer che si prendono una fetta del prezzo del libro?
Non arriverà un momento in cui i self-publisher non avranno più bisogno di un distributore o addirittura di un retailer, visto che avranno già i loro lettori?
 
La risposta è no, perché nei grandi retailer ci sono i lettori. Lì i libri vengono categorizzati per genere, finiscono quindi nelle classifiche, dove i lettori, tantissimi lettori, li possono trovare.
Ciò che segue forse non è stato ben chiarito dagli altri relatori, sia perché il loro non è il punto di vista di un autore, sia perché il discorso interessa soprattutto il retailer per eccellenza: Amazon.
 
Lo zoccolo duro di lettori di un self-publisher fa sì che al lancio del libro questo salga in cima alle classifiche di genere, rendendolo visibile ad altri lettori. Questi, comprandolo in massa, lo tengono in alto e permettono che venga inserito in breve tempo nei suggerimenti della pagina del prodotto di libri simili.
Si crea quindi un circolo virtuoso che, per esistere, richiede due elementi essenziali: 1) i lettori fidelizzati che lo innescano; 2) il retailer con altri potenziali lettori che lo alimentano.
Il risultato è il successo (eventuale) del libro, che non dipende solo da quante copie si vendono, ma soprattutto dal fatto che il mondo là fuori ne abbia la prova, determinando di conseguenza la vendita di molte altre copie.
 
Nel mio piccolo, io cerco come posso di sfruttare questi semplici meccanismi.
Sono riuscita tramite il self-branding a creare un certo numero di lettori affezionati, molti dei quali sono diventati quasi degli amici, tanto è costante la nostra interazione. Queste stesse persone sono state essenziali nel lancio del mio ultimo libro, Il mentore, avvenuto lo scorso mercoledì (21 maggio 2014).
 
Qui c’è da fare una piccola premessa. Questo libro è un thriller, mentre i miei libri precedenti erano di fantascienza. Il target di lettori non è lo stesso, anche se in parte si può sovrapporre. Nell’editoria tradizionale non avrei mai potuto fare questo cambio di genere, a meno che non fossi stata già un’autrice molto famosa. Come self-publisher, invece, potevo, ma sapevo che avrei potuto perdere una parte dei miei lettori appassionati di fantascienza, che magari non leggono thriller.
Comunque sia, ho deciso di “rischiare” (si fa per dire).
 
In occasione del lancio, ho messo il libro in promozione a 99 centesimi per soli tre giorni (su Amazon), spingendo i miei lettori ad acquistarlo in massa in un breve lasso di tempo. Da una parte coloro che mi seguono con costanza sono stati premiati perché hanno avuto il libro a poco, dall’altra hanno ricambiato diffondendo la notizia e generando altre vendite esterne.
Così il libro nello stesso giorno di pubblicazione è entrato nella top 100 del Kindle Store e nella top 20 del genere thriller e ci è rimasto per i tre giorni successivi, incluso il primo in cui non era più presente la promozione.
Ora il prezzo del libro è salito a 2,69 euro. Questo prezzo è stato scelto perché è poco sopra la soglia di raddoppiamento della percentuale di diritti sulle vendite applicata da Amazon. Questo lo dico per spiegare che non ho alzato il prezzo perché voglio lucrare sui miei lettori, ma sto cercando di evitare che Amazon lucri eccessivamente su di me. Stiamo comunque parlando di una cifra irrisoria se paragonata a 9,99 euro dei romanzi appena usciti dei grossi editori, ma ancora molto bassa nei confronti dei 4,99 euro di quelli di editori più piccoli.
Ovviamente le vendite sono scese in numero e pure la posizione in classifica, ma intanto il libro è comparso nei suggerimenti di molti altri libri simili (e il loro numero cresce di continuo) e continua a vendere in maniera costante.
 
Cosa succederà adesso non so dirlo, ma niente di questo sarebbe potuto succedere, se non avessi creato un seguito di lettori grazie al self-branding e se non avessi potuto contare su un retailer in grado di mettere in evidenza i risultati dei miei sforzi di promozione.
 
Dovendo tirare le somme di questa esperienza al Salone Internazionale del Libro di Torino, possono affermare che è stato senza dubbio un evento di successo grazie al quale ho creato anche qualche interessante contatto.
Al di là dell’aspetto personale, credo poi che sia stato un ulteriore passo in avanti nell’affermazione di come il self-publishing, anche in Italia, sia un fenomeno in crescita sia a livello di numeri che soprattutto di qualità.
 

Quando l’amico e collega Francesco Zampa (autore della serie di gialli del Maresciallo Maggio) mi ha proposto di unirmi a lui per un evento sul self-publishing a Todi, non sapevo esattamente cosa attendermi. Reduce dalla partecipazione al Salone Internazionale del Libro di Torino, appena una settimana dopo, il 16 maggio, mi sono recata in Umbria per partecipare all’evento “Leggere e scrivere ai tempi di internet”, il secondo della rassegna “Lettura tra fruscio di carta, silenzio di bit e calore di voce” organizzata da Fabiola Bernardini insieme al Comune di Todi presso la Biblioteca Comunale nell’ambito della manifestazione “Il Maggio dei Libri”.
L’evento è stato moderato da Sonia Montegiove, giornalista ed esperta di web, che a ottobre era stata come me relatrice durante l’evento COM:UNI:CARE Live Conference all’Università di Salerno e che qualche mese fa mi aveva intervistato per Girl Geek Life.
 
Nell’atmosfera accogliente e intima della biblioteca ci siamo ritrovati a discutere di lettura digitale e di self-publishing di fronte a un pubblico interessato e attento, proprio perché conosceva poco dell’argomento.
Non sto a riassumervi tutto quello che è stato detto, anche perché lo spazio sul blog non me lo consente. Francesco Zampa ha già commentato l’evento su un bel post sul suo blog (che vi invito a leggere) aggiungendo a esso le proprie riflessioni.
Qui, invece, io vorrei proporvi le mie.
 
Ancora prima che l’evento iniziasse ufficialmente, ci siamo ritrovati a parlare con alcuni dei presenti a proposito di self-publishing e di come in questo modello editoriale verrebbe meno la cosiddetta funzione di “controllo di qualità” da parte dell’editore per quanto riguarda la correttezza della lingua.
Una persona del pubblico ha messo in evidenza come, quando uno legge un libro, dia per scontato che l’italiano in esso utilizzato sia corretto, tanto che la gente legge proprio per migliorare l’uso della propria lingua.
Se nel libro ci sono degli errori e il lettore non ha gli strumenti per accorgersene, c’è il rischio che questi li prenda come buoni e li faccia suoi. L’editore, in teoria, dovrebbe assicurare che tali errori siano assenti e, se il suo ruolo viene meno, questa certezza della correttezza del testo verrebbe quindi meno a sua volta.
 
Questo ragionamento apparentemente giusto presenta però a sua volta due errori di fondo.
Il primo è che nel caso di un self-publisher l’editore non esista. Il secondo è che gli editori tradizionali, inclusi quelli più grossi, pubblichino libri esenti da errori (e con questo termine non mi riferisco solo ai refusi, che sono fisiologici, ma alla grammatica e la sintassi).
Entrambe le affermazioni sono false.
 

Nella foto da sinistra verso destra: Sonia Montegiove, Francesco Zampa, io e... i nostri libri. Potete vedere altre foto qui.
 
Il self-publisher è un editore. Essere self-publisher significa coordinare la preparazione e pubblicazione dei propri libri, invece che quelli di altri autori. E uno dei compiti fondamentali del self-publisher in quanto editore è assicurarsi che questi siano esenti da errori, coinvolgendo nel proprio team editoriale delle persone competenti, né più né meno di come dovrebbe fare qualsiasi altro editore, incluso quello tradizionale, che si differenza dal primo in quanto possiede un’azienda e pubblica (anche) i libri degli altri. Quell’anche tra parentesi si riferisce a piccoli editori che, oltre a pubblicare libri degli altri, pubblicano i propri attraverso la propria azienda editoriale (casa editrice).
Il self-publisher che non si cura di questo aspetto è semplicemente un cattivo editore.
 
Ma i cattivi editori si trovano anche nell’editoria tradizionale, poiché di libri scritti in un italiano non corretto, vuoi per scelta stilistica (?), vuoi per incompetenza di autore, editor e correttori di bozze vari, ne è pieno il mercato. E non parlo solo di piccoli o medi editori. Ci sono libri di tutti grandissimi editori (non facciamo nomi, ma pensate a quello più grande) che sono scritti male, con espressioni palesemente tradotte alla lettera dalla lingua originale, che nella nostra significano poco o sono sbagliate, affetti da carenza cronica di congiuntivi, da virgole che separano soggetti e verbi, dal verbo piovere usato con l’ausiliare avere, da quantità impressionanti di refusi che vanno ben oltre il loro tasso fisiologico e da mille altri problemi.
Cosa succede al lettore sprovveduto che prende in mano questi libri, convinto che essi contengano il vero italiano, quello corretto?
Ve lo potete immaginare.
Se non altro, se questo prende in mano il testo di un self-publisher, parte dal presupposto (pregiudizio?) che il suo contenuto non vada preso per oro colato.
 
È quindi priva di vero fondamento l’accusa rivolta ai self-publisher di diffondere un italiano non corretto nei confronti dei lettori incapaci di rendersene conto, poiché tutti gli editori, grandi e piccoli, lo fanno di continuo. Forse l’hanno sempre fatto, ma lo fanno ancora di più adesso che tutto deve andare veloce proprio a discapito della qualità, poiché, essendo delle aziende nell’ambito di un mercato, quello editoriale italiano, tutt’altro che florido, ciò che per loro conta è prima di tutto il profitto. È normale, perché, se non producono profitto, falliscono.
 
Il self-publisher, al contrario, non ha l’assillo del profitto. Non ha velleità di campare esclusivamente di questo mestiere, anche perché in genere ha anche un altro lavoro (o comunque altra fonte di sostentamento), né tanto meno di far campare dei dipendenti con i profitti derivanti dai propri libri. Libero da questa esigenza, il self-publisher può pubblicare ciò che l’editoria tradizionale non pubblica, perché non appetibile per la grande massa dei lettori e quindi non in grado di generare un profitto sufficiente. Il self-publisher può rivolgersi alle nicchie di lettori (che tanto piccole non sono, perché comprendono migliaia di persone: un numero sufficiente per un self-publisher, ma non per tenere a galla un’azienda editoriale dalla struttura più complessa), a quelli che vogliono leggere qualcosa di diverso, alternativo. Il self-publisher può sperimentare, può passare da un genere all’altro (come sto facendo io con la pubblicazione de “Il mentore”, passando senza alcun timore dalla fantascienza al crime thriller). Può scrivere ciò che sente suo. Non ha nulla da perdere.
Il suo scopo primario non è il profitto, ma diffondere il proprio messaggio, in altre parole comunicare, senza filtri, senza controllo.
 
Una seconda riflessione che voglio fare riguarda l’evento in sé. Mi sono divertita davvero tanto, mentre vi partecipavo, più che in quelli precedenti, poiché l’atmosfera raccolta ha permesso di creare delle connessioni dirette con le persone del pubblico. Questo ascoltava in perfetto silenzio, attento, annuendo di tanto in tanto e reagendo spontaneamente con esclamazioni e commenti alle nostre parole.
In tale contesto ho ritrovato il piacere del contatto diretto con le persone, con un mondo diverso da quello distorto con cui noi autori ci misuriamo sui social network, tramite lo strumento che usiamo per scrivere, il computer, dove siamo circondati da altri scrittori, con tutte le loro fisime, le piccole invidie e le inutili fissazioni dei “nazisti” dello stile.
 
La gente comune non si interessa di queste cose. La gente comune, i lettori comuni, quelli che comprano i libri, vogliono che venga loro raccontata una bella storia. Loro ti ascoltano, mentre racconti la trama del tuo libro, quasi pendono dalle tue labbra, vogliono essere stupiti, sedotti dalle tue parole.
 
Quando ho accennato alla storia di Anna Persson (la protagonista di “Deserto rosso”) che decide di partire alla volta di Marte per colonizzarlo e non tornare mai più sulla Terra, il pubblico ha avuto delle reazioni di stupore. Hanno commentato con parole come “inquietante”. È bastato poco per trasmettere loro il senso di angoscia alla base della storia, prima ancora che aprissero il libro per leggerla, poiché loro, come tutti i lettori (me inclusa), non vogliono altro che trovarsi di fronte a una storia nuova e immedesimarsi nei personaggi, per vivere nell’arco di tempo della lettura una vita diversa dalla loro.
E sono queste stesse persone uno stimolo per l’autore a creare nuove storie. Per questa ragione è proprio tra la gente che l’autore dovrebbe cercare e trovare le idee, non solo quella con cui interagisce virtualmente, ma anche e soprattutto quella che ha modo di sperimentare di persona nella vita reale, utilizzando tutti i sensi.
 
Finita l’estate, riprendo ad andare un po’ in giro e inizio questa nuova stagione con un evento davvero importante: la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte.
 
Sono stata invitata da Kobo Writing Life a partecipare a un evento in cui parlerò insieme all’autore tedesco Matthias Matting e alla manager europea di KWL Camille Mofidi della possibilità per noi self-publisher di uscire dal mercato linguistico locale e pubblicare le nostre opere in altre lingue. Nello specifico io avrò modo di parlare della mia esperienza con la traduzione di “Deserto rosso” in inglese, resa possibile dalla mia collaborazione con l’autore inglese Richard J. Galloway, che mi ha permesso di iniziare questa avventura senza dover fare veri e propri investimenti in denaro (ma solo in tempo). Attualmente due dei quattro libri della serie sono disponibili in lingua inglese, mentre il terzo e il quarto usciranno nel 2015.
I dettagli sull’evento sono riportati nell’immagine sotto.
 

Per visionare la lista degli eventi organizzati da Kobo Writing Life, fate clic qui.
 
Quest’anno la Frankfurter Buchmesse avrà luogo tra l’8 e il 12 ottobre. I primi tre giorni sono riservati ai trade visitor (tutti coloro che lavorano nell’editoria) e ovviamente ai giornalisti e blogger. Per poter partecipare è necessario registrarsi al sito come trade visitor o come stampa. Se si acquista il biglietto d’ingresso online si risparmia il 30%.
 
Spero che questo evento sia una buona occasione, oltre che per fare un’interessante conversazione con Matthias e Camille, anche per entrare in contatto con altri colleghi e addetti ai lavori dell’editoria europea e mondiale.
Al mio ritorno, ovviamente, vi farò un resoconto di questa esperienza.
 
Lo scorso 9 ottobre sono stata protagonista insieme all’autore tedesco Matthias Matting e alla manager europea di Kobo Writing Life, Camille Mofidi, di un evento che si è tenuto nell’ambito della Fiera Internazionale del Libro di Francoforte (Frankfurter Buchmesse 2014), intitolato “Think Local, Act Global: How to Reach a Global and Successful Audience through Self-Publishing”. È stata un’esperienza costruttiva, poiché mi ha permesso di confrontarmi in un contesto internazionale con un autore di un altro Paese e davanti a un pubblico attento di addetti ai lavori dell’editoria, non ostile nei confronti del self-publishing, diversamente da quanto ancora accade in Italia, e da cui sono emerse delle domande rilevanti, segno di una conoscenza approfondita di questo modello editoriale.
 

La raccolta di “Deserto rosso” tra i libri esposti nello stand di Kobo alla Frankfurter Buchmesse 2014.
Nelle foto sotto: Camille Mofidi, Matthias Matting e io durante l'evento.
 
L’argomento della nostra discussione era relativo all’opportunità per un self-publisher di uscire dai propri confini linguistici e pubblicare i propri libri tradotti in un’altra lingua.
Ogni mercato è diverso e le strategie da seguire variano secondo le sue caratteristiche, ma alcuni aspetti sono dei prerequisiti imprescindibili per riuscire ad avere successo in una tale impresa.
 
Il primo fra tutti è, come sempre, pubblicare il miglior libro possibile, sia per quanto riguarda il contenuto che la sua confezione (copertina, descrizione, formattazione). Può sembrare una cosa ovvia, visto che parliamo di un autore che ha già pubblicato lo stesso libro nella propria lingua, ma non lo è affatto, poiché il libro deve andare incontro a un processo di traduzione.
 
Il problema non è solo economico. Tradurre un libro costa tanto per via della sua lunghezza, ma ancora più difficile è trovare il traduttore giusto per quel libro. Pagare poco o molto per il suo lavoro non sempre è un indice della qualità del traduttore, anche se è chiaro che, se si paga poco, non ci si può poi lamentare se il risultato non è perfetto.
In realtà il processo di traduzione di un libro, in particolare se si tratta di narrativa, non consiste semplicemente nel prendere il testo e tradurlo in un’altra lingua. Si tratta, invece, di un processo di transcreazione, cioè il testo deve essere compreso a fondo, il suo contenuto deve essere trasferito nella lingua di destinazione, pur mantenendo, oltre al contenuto, lo stile e la voce dell’autore. E in ultima analisi deve apparire agli occhi di un lettore come se fosse scritto da un autore madrelingua.
Il traduttore letterario deve essere un bravo scrittore nella sua lingua, ma deve anche conoscere il genere letterario in cui il libro è scritto, che può avere una terminologia precisa, deve documentarsi sulle tematiche trattate (luoghi, argomenti storici, scientifici e così via), se già non le conosce, per essere certo di comprendere ciò che sta leggendo e di tradurlo nella maniera corretta, deve revisionare la traduzione più volte per assicurarsi di avere sempre trasferito correttamente il significato, di non aver inserito errori grammaticali o di sintassi dovuti alla lingua d’origine (pensate a quanti libri tradotti dall’inglese sono carenti di congiuntivi: questi errori sono dovuti al fatto che il congiuntivo in inglese non esiste).
Anche se ha fatto bene tutte queste cose, il suo lavoro non sarà mai sufficiente. Allo stesso modo di come il vostro libro originale deve essere letto e giudicato da altre persone oltre a voi durante la fase di revisione e correzione di bozze, anche la traduzione deve essere corretta da almeno un revisore. Il traduttore deve affidarsi ad almeno un’altra persona per assicurarsi che il testo scorra bene, che tutto abbia senso al suo interno, che siano rispettate le regole base di stile e ortografia della lingua di destinazione (es. evitare l’uso smodato di avverbi di modo quando non esiste un verbo specifico corrispondente; la punteggiatura deve essere adattata alle regole della propria lingua, anche per quanto riguarda il discorso diretto, gli incisi, i pensieri, e così via), e soprattutto che non ci siano errori grammaticali, sintattici e i famigerati refusi.
 
Insomma, si tratta di un lavoro complesso, che deve essere controllato con attenzione. Se l’autore non ha la minima conoscenza della lingua di destinazione o ne ha una conoscenza non approfondita (a meno che non sia bilingue, certe cose comunque non è in grado di coglierle mai), questa fase essenziale della pubblicazione del proprio libro all’estero può diventare molto delicata. La cosa migliore sarebbe rivolgersi sempre ad almeno due professionisti: un traduttore e un correttore di bozze (proofreader) madrelingua.
Chiaramente questo implica dei costi maggiori, ma, se il libro alla fine non è ben tradotto, difficilmente avrà qualche possibilità di essere apprezzato nel mercato di destinazione e potrebbe compromettere l’immagine dell’autore nello stesso mercato anche per libri futuri.
 
Una volta che si è sicuri di avere un prodotto editoriale di ottima qualità, bisogna risolvere il secondo grande problema: fare in modo che il prodotto arrivi ai potenziali acquirenti. Anche in questo aspetto non ci discostiamo dalle problematiche del nostro mercato d’origine, ma all’estero le regole posso essere diverse. Ed ecco quindi il secondo punto essenziale per andare avanti in un tale processo: conoscere il mercato di destinazione.
Bisogna conoscere quali sono i retailer più importanti. Amazon è il primo praticamente dappertutto, ma non esiste solo Amazon. Come sapete, in Italia Kobo ha un’importante fetta del mercato, grazie all’accordo con inMondadori e laFeltrinelli. Allo stesso modo Kobo ha accordi importanti su altri mercati, come quello britannico. Sul mercato americano c’è anche Barnes & Noble, che è ancora molto forte e col suo Nook sta iniziando a muoversi all’esterno. In Germania c’è Tolino, col suo lettore proprietario. In India ha un ruolo importante Flipkart (ci si arriva tramite Smashwords). E così via.
Questo vale anche per il cartaceo, sebbene per un self-publisher l’attenzione principale vada all’ebook. A parte negli Stati Uniti dove ormai la penetrazione degli ereader o delle app per leggere gli ebook è maggiore che in qualsiasi altro Paese, in altri ci potrebbe essere la possibilità di farsi un piccolo spazio nel mercato dei libri stampati.
Un altro aspetto di cui tenere conto sono i prezzi. In Italia i prezzi medi degli ebook dei self-publisher sono bassi, poiché i lettori sono poco propensi a spendere più di 3 euro per acquistarli, anzi la stragrande maggioranza è poco propensa a spendere più di 99 centesimi.
I prezzi però sono un po’ più alti nel mercato tedesco e ancora di più in quello americano. In generale nei mercati dove i prezzi sono in media più alti, il lettore potrebbe guardare con sospetto un ebook che costa poco e ciò potrebbe avere delle conseguenze importanti sul successo del libro.
In altre parole, bisogna studiare a fondo il mercato di destinazione per individuare la strategia migliore per commercializzare il proprio libro.
 
E arriviamo al terzo punto fondamentale. Anche questo lo conosciamo bene, se già pubblichiamo nel nostro Paese. Si tratta di fare in modo che i potenziali acquirenti comprino il libro.
La cosiddetta discoverability del libro in parte dipende dai fattori sopra riportati, relativi a retailer, diverse edizioni e prezzi, ma manca l’elemento essenziale che serve per mettere in moto le vendite: la promozione.
Ora, se conosciamo la lingua del mercato di destinazione, le cose sono relativamente più semplici. È necessario rimboccarsi le maniche e, prendendo spunto dalle strategie promozionali vincenti di altri autori (come si è già fatto nella propria lingua), costruire la propria presenza online da zero. Possibilmente sarebbe meglio iniziare a farlo prima di pubblicare. Parlo delle solite cose: blog, social network, associazioni, forum e gruppi di altri autori indipendenti, web magazine, siti e podcast che si occupano del proprio genere, e così via. Ogni mercato è un mondo a parte da scoprire.
In certi mercati, come quello in lingua inglese, ci sono degli strumenti pubblicitari a pagamento basati sul direct e-mailing marketing alla portata delle tasche di un self-publisher (come Bookbub), che possono essere efficaci secondo il target del proprio libro. Niente del genere esiste in Italia (gli strumenti DEM sono carissimi e per niente specifici per il target dei lettori di ebook), per cui sono uno strumento in più da conoscere.
 
 
E se non conosciamo la lingua del mercato di destinazione?
Qui le cose si complicano. Non possiamo sperare in un colpo di fortuna, né piazzare il libro su Amazon KDP Select (laddove c’è Amazon) e metterlo gratis per cinque giorni sperando che questo basti per scatenare le vendite. Magari si è fortunati, magari il libro ha un tema così irresistibile che si scatena il passaparola e questo basta, ma nella maggior parte dei casi non sarà così. E non possiamo certo investire tanti soldi per tradurre un libro per poi affidarci alla dea bendata.
Come possiamo fare allora?
Abbiamo bisogno di un alleato, un altro autore nel mercato di destinazione, col quale riusciamo a comunicare bene (conosce la nostra lingua o conosciamo entrambi un’altra lingua, tipicamente l’inglese), che scriva nello stesso genere, che sia popolare (ciò significa che conosce bene il proprio mercato, non solo che ha molti fan) e che abbia almeno un libro pubblicato nella nostra lingua o intenda pubblicarlo e quindi abbia bisogno di noi nel mercato italiano. Con questo alleato possiamo iniziare un proficuo rapporto di collaborazione fatta di scambi di promozione, guest post, interviste, podcast e tutto quello che vi viene in mente.
Possiamo anche pensare di pubblicare qualcosa insieme. Per esempio, possiamo fargli scrivere la prefazione del nostro libro e ricambiare il favore nel suo. Far inserire alla fine di un suo libro un nostro breve racconto (e ancora ricambiare). Possiamo chiedergli di revisionare il nostro libro prima della pubblicazione e fare altrettanto col suo (così si può fare a meno di pagare un proofreader  e assicurarsi di avere un prodotto editoriale di alta qualità).
È essenziale che questa persona apprezzi i nostri libri e che noi apprezziamo i suoi, poiché verranno proposti ai rispettivi lettori che nessuno dei due vuole in alcun modo deludere.
 
Tutto ciò, come potete immaginare, porta via un sacco di tempo, ma solo all’inizio. Una volta che si riesce a innescare il meccanismo del passaparola e il proprio libro prende piede nel mercato straniero, si può ridurre il proprio impegno in questo senso e dedicarsi ad altro.
Se il mercato in questione è particolarmente ricco di lettori nel genere del nostro libro, si possono ottenere delle buone soddisfazioni. Inoltre non bisogna dimenticare che essere presenti in più luoghi possibili aumenta la probabilità di imbattersi di opportunità interessanti, di ricevere proposte, di iniziare nuove collaborazioni, in grado di stimolare la nostra creatività, migliorare la qualità dei nostri libri e la nostra immagine, e di guadagnare di più e soprattutto di divertirci nel portare avanti questo nostro mestiere.
 
Nell’articolo precedente di questa serie, in cui riporto alcune riflessioni dopo la mia partecipazione come relatrice all’evento intitolato “Think Local, Act Global: How to Reach a Global and Successful Audience through Self-Publishing” presso lo stand di Kobo durante la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, ho affrontato in generale l’argomento dell’opportunità per un self-publisher di uscire dai propri confini linguistici e pubblicare i propri libri tradotti in un’altra lingua.
In questo articolo mi voglio soffermare sul mercato straniero più grande in assoluto: quello in lingua inglese.
 

Lo skyline di Francoforte. Nelle foto sotto: Camille Mofidi, European Manager di Kobo Writing Life, Matthias Matting, self-publisher tedesco, e io durante l'evento.
 
È chiaro che, quando un self-publisher italiano (o di un altro Paese di lingua non inglese) parla di pubblicare una versione tradotta del proprio libro, si riferisce al 99% a una sua edizione in lingua inglese. Il motivo è ovvio: è quello che contiene il maggior numero di potenziali lettori. Non mi riferisco solo a coloro che vivono in una nazione anglofona. E già qui si parlerebbe di un numero enorme, visto che proprio nelle nazioni anglofone è più diffusa la lettura digitale (e nel caso del self-publishing quando diciamo libro ovviamente ci riferiamo soprattutto all’ebook). Ma oltre a questi nativi di lingua inglese c’è di fatto tutto il resto del mondo, poiché le persone che sono in grado di leggere in questa lingua si trovano ovunque. In altre parole, avere il proprio libro in inglese significa darlo in pasto al mercato globale.
Alla possibilità di vendere di più aggiungerei che, trattandosi di un mercato più maturo, gli ebook vengono venduti a prezzi significativamente più elevati rispetto all’Italia, portando a un guadagno maggiore per copia.
 
È naturale, quindi, che il mercato in lingua inglese sia la prima ambizione di un autore che intenda far tradurre il proprio lavoro. Ma il fatto che si tratti del mercato con maggior numero di lettori significa anche che è quello in cui è più facile vendere il proprio libro?
 
Prima di dare una risposta a questa domanda bisogna fare delle considerazioni.
La prima e più ovvia è che, sebbene ci siano molti più lettori, è anche vero che ci sono molti più autori e libri, cioè c’è maggiore competizione. Si tratta di autori perlopiù madrelingua che mettono nel mercato pressoché tutto il proprio sforzo promozionale e possono, almeno in teoria, farlo molto meglio di qualcuno che sta all’estero, anche perché, non dimentichiamolo, non esiste solo la promozione su internet. E, per quanto riguarda i libri, invece, l’esistenza di un numero enormemente superiore di titoli ha come conseguenza la maggiore difficoltà di finire nelle classifiche di genere (parlo delle macroclassifiche, quelle più esposte allo sguardo di potenziali lettori), di essere recensiti e/o citati nei siti o magazine che contano, insomma, più in generale, di acquisire una certa popolarità, che in ultima analisi porta alle vendite.
 
Inoltre è necessario distinguere tra la capacità di vendere il proprio libro da nuovi arrivati e quella che si acquisisce, con relativi risultati, una volta che si è entrati a far parte del meccanismo editoriale del mercato.
 
Se si fa parte della prima categoria (nuovi arrivati), come nel caso di uno di noi che decida di pubblicare in inglese per la prima volta un proprio libro, la risposta alla domanda è: vedere nel mercato in lingua inglese è difficile come in qualsiasi altro mercato in cui non si sia mai pubblicato nulla.
Infatti, il punto della questione è che tutto ciò che noi abbiamo fatto e che sappiamo del nostro mercato (quello italiano) non conta affatto, o quasi. Stesso discorso vale per i risultati. Possiamo aver venduto decine di migliaia di copie in Italia, ma fuori dai nostri confini linguistici, ahimè, non siamo nessuno. Pensare di poter riprodurre all’estero la stessa catena di eventi che ci ha portato al successo è pura utopia, poiché gli elementi in gioco (inclusa la fortuna) sono completamente diversi.
Ciò che bisogna fare, invece, è iniziare di nuovo da capo, esattamente come abbiamo fatto in Italia. E affinché ci troviamo nella stessa situazione in cui ci siamo trovati quando abbiamo iniziato in Italia è necessario: conoscere le regole del mercato (come dicevo anche nel post precedente di questa serie), parlare inglese ed essere quindi in grado di interagire con la gente in inglese, di creare un blog in inglese e in generale di gestire la propria promozione all’interno di questo mercato globale.
 
Dici niente, direte voi, no? E questi sono solo i prerequisiti. Ciò significa che non è affatto detto che bastino per ottenere dei risultati.
 
È vero che nel mercato inglese esistono, però, degli strumenti di promozione a pagamento che nei mercati minori sono del tutto assenti. Questi possono davvero fare la differenza nella fase iniziale (e in quelle successive). Ma sono talmente tanti che bisogna essere in grado di comprendere quali siano adatti nello specifico al proprio prodotto editoriale, altrimenti si rischia di buttare via dei soldi senza ottenerne alcun beneficio.
 
Badate bene, tutto questo non significa che io intenda scoraggiarvi, ma solo mettere in evidenza che si tratta di una sfida. Sì, perché queste difficoltà riguardano i novellini del mercato inglese. Il discorso cambia radicalmente dal momento in cui ha luogo quello che io chiamo l’evento d’innesco.
 
Se avete una certa popolarità nel nostro mercato è quasi sempre perché è successo qualcosa, in genere fuori dal vostro controllo (chiamatelo colpo di fortuna o in qualche maniera più colorita), che vi ha portato in un istante alla ribalta. Può essere la citazione in un blog letterario, in un web magazine, in un podcast (nel mio caso è stato, infatti, l'approdo a FantaScientificast), il suggerimento di un opinion leader, il fatto che Amazon abbia deciso di inserire il vostro libro in una promozione, e potrei andare avanti così all’infinito. Magari alcuni di voi non sanno quale sia stato questo evento d’innesco, ma sicuramente c’è stato.
Sebbene la fortuna avrà giocato un ruolo essenziale, quasi sempre la fortuna è stata aiutata dai costanti sforzi fatti per promuoversi.
Ecco, anche nel mercato anglofono (e in qualsiasi altro mercato) all’inizio si deve lavorare tanto, apparentemente con poco risultato, per perseguire il verificarsi di questo evento, perché è da qui che cambia tutto.
 
E qui viene la differenza principale, se ci spostiamo nel mercato anglofono. In Italia, questo evento improvviso ci ha resi magari popolari, di certo non ricchi, però abbiamo iniziato a ricevere con piacere dei bonifici un po’ più consistenti.
Ma, se questo evento d’innesco avviene in un mercato globale come quello in lingua inglese, le proporzioni cambiano in maniera drastica. Se nel rispondere alla domanda posta nel titolo di questo post ci riferiamo alla situazione di un autore che ha già superato questo scoglio, la risposta non può che essere: diamine, sì!
Nel momento in cui si inizia ad acquisire una certa popolarità nel mercato inglese, i numeri di copie vendute possono, almeno in teoria, essere di uno o due (e più) ordini di grandezza maggiore rispetto a quello italiano. Non a caso il mercato anglofono è ricco di esempi di self-publisher che vivono della loro scrittura o che comunque ne traggono dei guadagni consistenti, che, uniti ad altre attività correlate, permettono loro di vivere da self-publisher. Si tratta di autori che nel tempo hanno pubblicato un sufficiente numero di titoli e continuano a raccogliere un numero tale di lettori affezionati da fornire loro dei guadagni costanti. E non serve affatto vendere milioni di copie per riuscirci, anche perché vivere di scrittura non significa diventare ricchi. D’altronde chi scrive per diventare ricco ha proprio sbagliato mestiere!
 
Morale della favola: vendere nel mercato inglese all’inizio non è facile, ma le prospettive di successo sul lungo termine sono così interessanti che valgono tutti gli sforzi (di tempo e di soldi) che siamo disposti a fare per raggiungerlo. Alla fine ciò che fa la differenza è quanto è buono il nostro prodotto editoriale e quanto crediamo in esso.
 
 
Se aspettavate di leggere in questo articolo una formula magica per far avverare quell’evento d’innesco di cui parlo, purtroppo rimarrete delusi, perché non esiste una formula magica. Chi vi dice il contrario mente. Ogni prodotto editoriale (e ogni autore) è una storia a sé. Ma gli autori che sono riusciti in questa impresa esistono, quindi non si tratta di uno scopo inarrivabile.
 
Io stessa sto cercando di metterlo in atto. Ho pubblicato due libri in inglese (i primi due della mia serie di fantascienza “Deserto rosso”), ma l’ho fatto sapendo che avrebbero venduto poco o nulla, in quanto non possedevo ancora una base di lettori. Ero una nuova arrivata e lo sono ancora. Ciò che faccio è portare avanti la mia strategia che include prima di tutto pubblicare dei libri di qualità. I primi due sono già usciti e ora sto lavorando al terzo, poi seguirà il quarto. Intanto sto iniziando a farmi conoscere sul mercato internazionale interagendo con altri autori, mantenendo aggiornato il mio blog inglese, partecipando a eventi internazionali (questo di Francoforte è stato il primo), entrando in contatto il più possibile con i miei lettori target (nello specifico appassionati di Marte e spazio; e in questo senso sto collaborando con l’associazione Mars Initiative), cercando di sfruttare i social network (per ora solo col profilo Twitter di Anna Persson che mi sta dando qualche piccola soddisfazione), regalando il libro a vari opinion leader (persone che lavorano nell’ambito della ricerca spaziale oppure nell’ambito della fantascienza; spesso sono le stesse persone), partecipando a dei podcast (come è successo con Mars Pirate Radio), provando qualche promozione a pagamento (che cerco di scegliere con giudizio) e così via. Tutto questo lo sto facendo, mentre mi appresto a pubblicare il mio settimo libro in italiano (il 30 novembre, “L’isola di Gaia”), continuo a portare avanti la promozione dei libri precedenti, partecipare ad eventi (il prossimo a dicembre all’Università dell’Insubria, a Varese) e svolgo tutte le attività di un editore, quale di fatto sono, dalle semplici pubbliche relazioni, alla programmazione del lavoro per il prossimo anno, a collaborazioni e negoziazioni più importanti, che avranno conseguenze spero positive nei mesi che verranno.
 
In tutto questo gran lavorare sto forse (e ripeto, forse) iniziando a individuare una strada, una serie di elementi che dovrebbero portarmi a raggiungimento di quell’evento. Gli ottimi risultati raggiunti da altri colleghi (non solo italiani) mi fanno ben sperare. Se ce l’hanno fatta loro, posso riuscirci anch’io. E anche voi.
Nel frattempo ciò che conta è dedicarsi al proprio progetto con passione e umiltà, e soprattutto non smettere mai di divertirsi nel portarlo avanti.
 
Poco prima di Natale arriva anche l’ultimo evento dell’anno cui partecipo. È inserito all’interno di una serie di conferenze denominata “Scienza e fantascienza” e organizzata dall’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) e dal prof. Paolo Musso, nell’ambito dei corsi da lui tenuti di Filosofia della Scienza e Scienza e Fantascienza nei Media e nella Letteratura. Alle conferenze partecipano scrittori (come me), fumettisti e scienziati. Gli eventi sono patrocinati da FantaScientificast, SETI Italia, Sergio Bonelli Editore, UraniaMania e ComicArte.
 
 
Il primo evento, “Godzilla e i suoi fratelli: gli alieni nel cinema di fantascienza”, si è tenuto lo scorso 5 novembre e ha visto l’intervento di Antonio Serra, creatore di Nathan Never.
 
Il secondo evento, “La vita nel cosmo tra scienza e fantascienza”, avrebbe dovuto aver luogo il 14 novembre con l’astronomo Giovanni Bignami e la scrittrice Giovanna Bellon, ma è stato rimandato a data da destinarsi (verrà presto recuperato).
 
Altri cinque eventi si terranno tra dicembre e gennaio, e tra questi c’è “Come raccontare degli alieni credibili, autopubblicarsi e avere anche successo”, che mi vedrà protagonista mercoledì 17 dicembre nel padiglione Morselli, aula 10 TM, in via Rossi 9 a Varese, a partire dalle 14.30.
 
Durante questa conferenza parlerò di come ho immaginato la possibilità di una vita aliena a partire dalle mie conoscenze nel campo dell’astrobiologia, di come abbia inserito questa mia idea all’interno della serie di fantascienza “Deserto rosso”. Coglierò l’occasione per parlare di self-publishing e dalle strategie da me messe in atto per raggiungere gli appassionati di questo genere, quasi ignorato dall’editoria tradizionale, e portare la mia serie a un discreto successo.
 
Gli altri quattro eventi sono:
Immaginare l’inimmaginabile: gli alieni nei fumetti di fantascienza” con Patrizia Mandanici (Sergio Bonelli Editore, disegnatrice di Nathan Never), il 3 dicembre;
A caccia di civiltà extraterrestri: il programma SETI” con Stelio Montebugnoli (Responsabile del SETI Italia) e Claudio Maccone (Direttore Tecnico della International Academy of Astronautics), il 10 dicembre;
Una nuova cosmologia: le scoperte della missione Planck sull’origine dell’universo” con Marco Bersanelli (Università degli Studi di Milano, Responsabile scientifico satellite Planck), il 21 gennaio 2015;
Una nuova fisica: la scoperta del bosone di Higgs e le sue conseguenze” con Lucio Rossi (Responsabile del progetto Alta Luminosità di LHC, CERN, Ginevra), il 28 gennaio 2015.
 
Gli eventi sono gratuiti e aperti a tutti.
È possibile scaricare la locandina a questo link, mentre nel sito dell’Università degli Studi dell’Insubria (pagina Eventi) è possibile leggere le ultime novità sulle conferenze.
 
Se siete nei pressi di Varese, o contate di esserci, il 17 dicembre, vi aspetto per parlare di alieni!
 
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