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 Les Calanques (Marsiglia)... di Carla
 

"Tu hai creato la nuova me."
Il mentore

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 21/03/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2186 volte)

 Geniale protagonista antieroe, caso non memorabile
 
Con questo romanzo scopro un antieroe che non può non diventare subito un idolo. Cormoran Strike, figlio di una rockstar e di una supergroupie, ed ex-militare veterano dell’Afghanistan, dove ha perso un piede e una gamba in un’esplosione, è un investigatore privato squattrinato appena abbandonato dalla fidanzata. Tutto sembra andare a rotoli nella sua vita, quando compaiono una nuova segretaria interinale e un danaroso cliente, che lo vuole assoldare per dimostrare che sua sorella, famosa top model, non si è suicidata.
La storia si svolge tra le strade di una familiare Londra odierna, nel mondo patinato della moda cui Strike non appartiene, ma al quale deve comunque adattarsi per portare avanti la propria indagine. E ci riesce pure bene, strappando più di una risata al lettore!
Si tratta di un romanzo molto lungo, che, nonostante offra qualche scorcio sulla vita del protagonista e che questo subisca una certa crescita nell’arco della storia, è a tutti gli effetti un giallo.
Buona parte del testo è costituito da interrogatori e da altri dettagli delle indagini, che fanno un po’ perdere la cognizione del passaggio del tempo. C’è tanto di quel materiale da impedire al lettore di unire i punti per capire chi è l’assassino, a meno che non punti direttamente al meno probabile senza saperne il perché.
Ma alla fine chi se ne frega dell’assassino di Lula Landry?
Devo dire che nel complesso mi è piaciuto.
Sono due le cose che mi hanno impedito di dare la quinta stellina.
La prima è la tendenza dell’autrice (che sappiamo essere niente meno che J.K. Rowling) a cambiare punto di vista nel bel mezzo di una scena. Ciò mi faceva perdere la connessione con la storia e mi costringeva a interrompere la lettura e tornare in dietro per cogliere la transizione.
La seconda è che, nonostante ci fossero i presupposti per una maggiore presenza della sottotrama relativa al protagonista (che è la cosa migliore del libro), questa è invece solo marginale. È un peccato, perché Strike in sé è molto più interessante del caso, la cui risoluzione non mi ha impressionato e che ho in gran parte già completamente dimenticato.
Se non fosse stato per il bellissimo (non di certo in senso estetico!) protagonista, non sarei riuscita a dare al libro una recensione positiva.
 
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Di Carla (del 14/03/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2684 volte)

 Breve ma intenso
 
Questo romanzo breve, il secondo della trilogia noir di Matheson, è la corsa folle di un personaggio che in poche ore riesce a distruggere quel che resta della propria vita. Convinto di essere stato derubato della donna che ama, fugge dal manicomio, dove è detenuto per aver ucciso suo padre e nel quale è pure lui stesso vittima di abusi, per “salvarla”. Ma la donna in questione non ha mai ricambiato i suoi sentimenti. È tutta una creazione della sua mente.
E il libro rappresenta proprio un viaggio prima di tutto nella mente del protagonista, alla scoperta di come la follia si genera e del modo in cui lo spinge ad agire.
Matheson anche questa volta mi stupisce con una storia diversa dalle altre precedenti. Attraverso i punti di vista dei cinque personaggi principali, attraverso il modo personale con cui ciascuno di loro la interpreta, si svelano uno strato alla volta i dettagli della trama. Il tono dell’intero romanzo è drammatico, costellato di violenza e morte. Come lettrice mi sono preoccupata per le sorti delle vittime, ma anche del protagonista folle, che è a suo modo una vittima in grado di suscitare pietà.
La scelta di chi uccidere e chi far sopravvivere alla fine non è casuale. Accanto allo sprofondamento del protagonista nel delirio si delinea l’ascesa di un altro personaggio e la redenzione dell’ultima vittima.
 
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Di Carla (del 07/03/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2630 volte)

 Troppe coincidenze sfortunate
 
Questo romanzo è caratterizzato da una storia intricata, che l’autrice è stata in grado di gestire con cura e attenzione. I tanti fili che si dipanano nella stesura della trama si uniscono poi alla fine.
Il passaggio tra le due linee temporali avviene sempre in maniera intelligente, tenendo il lettore incollato al libro. Non a caso aspettavo con piacere di mettermi a leggere, prima di andare a dormire.
Forse il ritmo con cui la storia si sviluppa è un po’ lento e ciò mi rendeva un po’ troppo impaziente di andare oltre per sapere cosa sarebbe accaduto. Non sono riuscita a legare con il personaggio della voce narrante (Libby), ma mi è piaciuto molto quello del fratello, anche se ha avuto dei momenti di incoerenza ingiustificata.
A mio parere, il problema principale di questo romanzo è la presenza di eccessive coincidenze, sfortune e cattiverie. Davvero troppe, tutte concentrate nel lasso di un unico giorno.
Il finale poi è sotto tono. Una volta chiarito cosa è accaduto, l’autrice smette di mostrare e inizia a raccontare, come se non vedesse l’ora di chiudere il libro. Ciò mi ha lasciato con l’amaro in bocca.

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Di Carla (del 21/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3093 volte)

 Meno originale dei precedenti, ma tecnicamente perfetto
 
Questo terzo romanzo della serie di Bosch è finora quello che mi è piaciuto di più. Nonostante sia apparentemente più lineare dei precedenti (cosa che in genere non amo), l’autore ha giocato benissimo le proprie carte.
Scopriamo finalmente l’evento che ha rappresentato la genesi del personaggio come lo conosciamo: il fatto di aver ucciso un uomo disarmato, pensando che stesse per tirare fuori una pistola. L’uomo in questione altro non era che un serial killer, ma Bosch aveva agito senza chiamare i rinforzi e per questo motivo era stato retrocesso nel proprio lavoro in polizia.
Quattro anni dopo, mentre Bosch sta subendo una causa civile per quella uccisione, da parte della famiglia del serial killer, salta fuori un nuovo omicidio che porta la stessa firma, ma compiuto in un secondo momento.
Bosch ha ucciso l’uomo sbagliato? O si tratta di un emulatore?
La storia si svolge tra tribunale e risoluzione del caso. Abbiamo a che fare col caso di un serial killer abbastanza convenzionale, in cui l’assassino è tra i personaggi della storia e va individuato. L’autore cerca di portarci in una direzione sbagliata dopo l’altra. Sarebbe tutto facile (o quasi), se non ci fosse di mezzo il processo, che ci distrae e ci fa cambiare prospettiva.
Questo romanzo non è originale come i due precedenti, ma è tecnicamente perfetto e, a differenza dei precedenti, dà al lettore anche la piccola soddisfazione di avere gli elementi per capire in anticipo chi è l’assassino. Che ci riesca, poi, è tutta un’altra storia.
In questo contesto continua poi a svilupparsi l’aspetto privato della storia del protagonista, che rimane centrale nella trama del libro e rischia di avere dei risvolti drammatici.
Il finale rassicurante ha tutta l’aria del preludio di una nuova tempesta.
 
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Di Carla (del 14/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2933 volte)

 Ottimo crime thriller, nonostante una certa mancanza di originalità rispetto al precedente della serie
 
Ultimamente la Cornwell sta prendendo l’insana abitudine di uccidere un personaggio ricorrente per libro, o almeno questo è ciò che è accaduto negli ultimi due che ho letto. Spero che si dia una calmata, altrimenti non ne resteranno molti!
Ma veniamo al libro.
Parte con ritmo molto lento nella prima parte, tanto che il primo cadavere arriva molto tardi. Mi è comunque piaciuto il modo in cui l’autrice costruisce tutta la storia dal solo punto di vista della Scarpetta, sfruttando i dialoghi con altre persone, e la chiude nel giro di poco più di un giorno.
A mio parere, però, la scelta di questo approccio per questo romanzo presenta due problemi. Il primo è che per gran parte del libro, che è abbastanza lungo, ci sono solo lei e pochi altri personaggi, rendendo lo sviluppo della trama ancora più statico. Per fortuna c’è Marino, ma Lucy e Benton arrivano tardi e sembrano quasi insignificanti nell’ambito della storia. Il secondo è che la Cornwell ha usato una struttura molto simile nel libro precedente, quindi si ha la sensazione che quest’ultimo manchi di originalità.
D’altra parte non mi dispiace affatto che il caso sia strettamente connesso al libro precedente, poiché dà continuità alle sottotrame, che diventano perciò preponderanti. Ciò rende il libro fruibile solo da chi ha letto almeno il precedente, ma in tal modo le continue spiegazioni riferite a esso diventano inutili e contribuiscono alla lentezza del libro.
È molto difficile se non impossibile capire l’identità del colpevole. Col senno di poi ci si rende conto di alcuni dettagli che potevano essere notati dal lettore, solo che si perdono nella marea di informazioni che la Cornwell mette nei suoi libri, la maggior parte delle quali non ha una reale rilevanza nell’economia della trama.
Ho invece trovato molto sfizioso l’elemento scientifico utilizzato per spiegare gli omicidi. Una biologa come me non ha potuto fare a meno di apprezzarlo!
Anche stavolta la risoluzione finale mi ha fregato. Arriva in un singolo capoverso, anzi in un singolo periodo. Per la fretta di sapere cosa sarebbe accaduto, non ho letto bene l’ultima proposizione e poi al capoverso successivo ho scoperto che il colpevole era stato colpito, ma io non me n’ero accorta. Per l’ennesima volta sono dovuta tornare indietro a rileggere. Non c’è niente da fare: succede sempre così.
Il capitolo finale di epilogo serve unicamente per unire tutti i punti e uccide di nuovo il ritmo che si era creato, portando a una conclusione senza infamia e senza lode.
Vi chiederete perché ho dato 5 stelle nonostante tutti questi difetti. Be’, perché, preso singolarmente, questo è un libro costruito ottimamente e ben scritto (sebbene io non ami certe scelte stilistiche della Cornwell, ma apprezzo la sua coerenza nell’utilizzarle). Di certo avrebbe avuto un impatto maggiore su di me, se il precedente non avesse presentato una struttura così simile.
So che la Cornwell preferisce scrivere in prima persona dal punto di vista della Scarpetta. Ammetto che, invece, io preferisco i suoi libri in terza persona, poiché le storie sono più aperte e meno statiche, e perché così lei ha l’opportunità di esplorare dei punti di vista diversi da quelli di Kay Scarpetta che, diciamocelo, non è proprio simpaticissima!
 
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Di Carla (del 07/02/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2338 volte)

 La versione sporca e cattiva di “Chi Ha Incastrato Roger Rabbit?”
 
È difficile definire il genere di questo libro, ambientato in una Milano distopica di un futuro fin troppo vicino. La gente si droga con i cartoni animati, generando così delle copie dei personaggi nel mondo reale. Questi personaggi sono molto fisici, ma non si capisce effettivamente da dove spuntino fuori. Siamo di certo nel campo del fantastico, ma non proprio in quello della fantascienza. Ma ciò non mi stupisce, poiché è evidente che a Tonani non piacciono le etichette, poiché è più concentrato nello sviluppare una propria voce di autore. Il lettore che apprezza la sua voce (come me), a sua volta, si disinteresserà delle etichette.
Il romanzo ci mostra una lunga nottata di azione, senza un attimo di respiro, e il ritmo concitato spinge a una lettura in pochissimi giorni.
Il finale aperto non chiude veramente tutti i fili o, meglio, non lo fa in maniera esplicita. Sta al lettore interpretare alcuni dettagli.
Senza dubbio si tratta di un’opera originale, in cui, come sempre, Tonani sfoggia una prosa evocativa e mai banale.
Ho trovato interessanti anche i preludi ai capitoli, dove Crash B. racconta la genesi dei vari cartoni. È sempre bello imparare qualcosa di nuovo durante la lettura di un romanzo.
In definitiva è stata una lettura piacevole che mi sento di consigliare a chiunque abbia voglia di affrontare un libro a mente aperta.
 
Questo libro, purtroppo, essendo un prodotto da edicola, è quasi introvabile.
Potete trovare altri romanzi di Dario Tonani su Amazon.it e su Amazon.com.
 
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Di Carla (del 31/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3093 volte)

 Un finto thriller
 
Ho trovato questo libro bellissimo fino a circa l’80%. Era caratterizzato da una storia intricata, da un susseguirsi di colpi di scena e azione continua.
Notavo però che: il personaggio di Alice era troppo sopra le righe; quello di Gabriel nascondeva ovviamente qualcosa e stranamente lei non se ne rendeva conto oppure, quando lo faceva, era disposta a credere alla sua spiegazione successiva senza farsi troppe domande; non aveva senso che Alice non volesse andare alla polizia; col senno di poi (conoscendo il finale) è persino assurdo che siano arrivati a rubare un cellulare e un’auto, e che l’abbiano fatta franca; la storia della data nell’orologio mi aveva fatto capire subito che c’era qualcosa che non tornava con la tempistica.
Altre cose che non mi piacevano, perché davano l’idea di essere progettate a tavolino, erano il passaggio ai flashback con l’'introduzione “mi ricordo” e l’abitudine a spezzare la scena alla fine di un capitolo per riprenderla in quello successivo. Quest’ultimo è davvero un mezzuccio per spingere il lettore a continuare a leggere e crea insoddisfazione, se quello che il lettore vuole fare è proprio interrompere la lettura (non si può stare tutto il giorno a leggere).
Nonostante tutto, credevo di leggere un crime thriller e mi aspettavo che alla fine l’autore avrebbe riunito i fili, rendendo tutto perlomeno plausibile.
Quanto mi sbagliavo!
Nell’ultima parte il romanzo implode.
La sospensione dell’incredulità scivola inesorabilmente di scena in scena fino a sfuggirti dalle mani, di pari passo è andato il mio giudizio che è sceso da 5 a 3 nel giro di poche pagine. La spiegazione che l’autore decide di dare agli eventi è totalmente inverosimile. Non voglio entrare nel dettaglio per evitare troppi spoiler, ma posso almeno dire che non c’è un solo motivo per cui il protagonista maschile (Gabriel) sarebbe dovuto arrivare a fare tutto quello che ha fatto per ottenere ciò che voleva. Poteva riuscirci in maniera molto più semplice. Sembra che l’abbia fatto appunto per creare una storia inventata a beneficio dei lettori. Solo che non si dovrebbe mai arrivare a pensare questo di un personaggio. Se succede, significa che il lettore non ha più l’illusione che in qualche modo la storia potrebbe accadere davvero.
In altre parole, l’assunto su cui si regge tutto il romanzo non è plausibile.
L’epilogo poi è terribile ed è il motivo per cui il mio giudizio è crollato poi a 2 stelle (non sono scesa a 1 perché, se non altro, il libro è scritto bene e pare ben tradotto). Alla fine ho pensato veramente che l’autore fosse impazzito.
[Attenzione: inizio spoiler.]
La storia si conclude col più incredibile dei finali romantici, senza che in tutto il libro sia stato dato il minimo indizio in questo senso. Arriva così, di punto in bianco, senza un perché, senza che nel corso del romanzo si avverta il minimo legame emozionale tra i protagonisti.
A peggiorare ancora il tutto ci sono le battute finali, col lungo monologo di Gabriel posto in una pagina separata, a metà del quale mi sono limitata a scorrere il testo per arrivare alla fine.
[Fine spoiler.]
Insomma, se volete leggere un crime thriller, leggete altro.
Gli si potrebbe attribuire un nuovo genere: quello del finto thriller.
 
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Di Carla (del 23/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2813 volte)

 Godibile noir
 
Con questo libro ho iniziato la lettura della trilogia noir di Richard Matheson, che si distacca parecchio dalla sua produzione successiva legata ai generi del fantastico.
“Ricatto mortale” è un breve romanzo caratterizzato dal fascino del noir vintage (d’altra parte è stato originariamente pubblicato nel 1953).
Alcune parti sono forse un po’ affrettate, anche se, tutto sommato, sono quelle in cui non era necessario soffermarsi più di tanto.
Come spesso accade nei suoi libri, abbiamo il solito protagonista maschile nei guai che è coraggioso ma un po’ debole.
La trama in sé non è intricatissima, ma gli eventi accadono così in fretta che non si ha il tempo di pensare. Più che altro non si capisce cosa facciano nella vita i personaggi. Il protagonista è uno scrittore, ma non lo si vede mai scrivere nell’arco della storia.
Il finale non è prevedibile, anche se in parte il lettore può arrivare a immaginare chi è il colpevole.
La prosa, come sempre, è molto bella e la traduzione, che è decisamente più recente, è ottima.
 
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Di Carla (del 10/01/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2509 volte)

 Perfettamente costruito, ma troppo calcolato e freddo sul finale
 
Questo romanzo mi è piaciuto molto, finché non sono arrivata alla parte finale su New London, di cui non sono proprio riuscita a digerire la conclusione. E ciò ha per forza di cose un’influenza negativa sul mio giudizio generale.
Come sempre Hamilton è un maestro nel gestire trame complesse in un contesto elaborato e a farvi interagire più personaggi ben caratterizzati. In questo senso “The Nano Flower” è l’anello di congiunzione tra la sua prima produzione ambientata sulla Terra nel prossimo futuro e la space opera dei suoi libri successivi.
Sebbene la serie venga definita la trilogia di Greg Mandel, in questo libro Mandel ha un ruolo da comprimario, poiché è in scena quanto gli altri personaggi, o addirittura meno. Devo dire che questo aspetto mi ha un po’ deluso, poiché mi piace parecchio questo personaggio, che nei libri precedenti era senza dubbio il protagonista, e mi aspettavo almeno un suo ruolo più decisivo nella risoluzione della storia, cosa che invece non si è verificata. Il fulcro di questo romanzo è senza dubbio Julia Evans, sebbene neanche lei possa esserne considerata una protagonista. Più semplicemente può essere definito un romanzo corale.
Meno investigativo dei precedenti, fatto che non è necessariamente positivo, e più immaginifico, pur essendo più lungo presenta un ritmo più incalzante e coinvolgente, reso possibile dalla sempre ottima prosa di Hamilton.
Gli avrei dato cinque stelle, ma ho trovato tutta la storia di Royan, incluso il finale, abbastanza deprimente. Non sono riuscita in alcun modo a farmi piacere le sue scelte egoistiche nei confronti della propria famiglia. Le sue motivazioni continuano a non avere senso. E allo stesso modo ho trovato Julia troppo fredda nel reagire alla conclusione drammatica della storia di questo personaggio. Ho avvertito nel comportamento di entrambi qualcosa di profondamente sbagliato a livello di emozioni umane, che mi ha dato la sensazione che il finale fosse stato quasi elaborato a mente fredda, senza alcun coinvolgimento, perdendo ogni contatto con l’umanità dei personaggi. E tutto ciò stride col modo in cui Hamilton aveva scavato fino a quel momento nella loro mente e nella loro psicologia.
Inoltre ho difficoltà a considerare credibile il fatto che un personaggio così potente come Julia Evans pensi davvero soltanto al bene dell’umanità e solo secondariamente ai propri interessi. È a dir poco utopistico, soprattutto se paragonato col futuro tutt’altro che roseo che viene descritto in questa trilogia.
Entrambi questi aspetti hanno fatto sì che in me crollasse la sospensione dell’incredulità. Peccato.
 
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Di Carla (del 20/12/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2411 volte)

 Il segreto custodito dai sicomori
 
Questo romanzo di Grisham, pur essendo ambientato nello stesso luogo e pur avendo lo stesso protagonista de “Il momento di uccidere”, non è un vero seguito e può essere letto senza conoscere la storia del primo, di cui vengono fatti dei brevi cenni solo laddove necessario.
Anche il tema è lo stesso, cioè quello del razzismo. Questa volta Jack Brigance, avvocato di Ford County, una contea del sud degli Stati Uniti dove il razzismo era ancora un grosso problema trent’anni fa (e suppongo che lo sia ancora), è alle prese con un testamento olografo scritto da un ricco bianco che, prima di suicidarsi (stava morendo di cancro), decide di diseredare i figli e lasciare il 90% del patrimonio, 24 milioni di dollari, alla propria cameriera di colore. Da ciò nasce una guerra legale per impugnare il testamento.
Mi è piaciuta molto, come sempre, la caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari, e la ricostruzione dell’ambientazione (Ford County negli anni ’80). A ciò si aggiunge la solita bravura di Grisham nel raccontare le mille astuzie dietro la preparazione di una causa in grado di fare molto clamore.
Mentre i figli diseredati fanno di tutto per accusare Lettie di captazione (cioè di aver spinto l’uomo a cambiare il testamento, approfittando delle sue condizioni di salute, affinché lasciasse tutto a lei), nessuno sembra domandarsi perché l’abbia fatto, cosa ci sia sotto.
E così, in sordina, si dipana una sottotrama che porta alla verità e che è legata al titolo.
Si tratta di un racconto di qualcosa che potrebbe essere davvero accaduto, realistico in maniera sconvolgente. È una storia che appassiona e lascia il sorriso sulle labbra al momento dell’epilogo.
Ho una sola nota negativa da riferire. Amo il modo in cui Grisham vuole farci entrare nell’ambientazione, raccontando anche tutti i meccanismi legali e i dettagli sui personaggi. In questo libro, però, ho avuto l’impressione che l’info-dump fosse davvero un po’ eccessivo o comunque raccontato in maniera poco coinvolgente.

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