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 Il mare de La Pelosa a Stintino... di Carla
 

"Devi scegliere, Anna: la tua scoperta o la Terra." Deserto rosso - Nemico invisibile

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 11/08/2015 @ 21:56:05, in Lettura, linkato 2944 volte)
 La storia vera fa paura più della finzione
 
Messi da parte momentaneamente i panni del maresciallo Maggio, Francesco Zampa si cala in quelli di un altro carabiniere, stavolta a Roma durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale. Passa quindi dal giallo a un romanzo storico non privo di suspense e segue le vicende del brigadiere Flavio Cesari, che cura il censimento dei militari di razza ebraica all’Ufficio Riservato del Ministero della Guerra, durante il peggiore momento della sua vita. Cesari è un personaggio inventato, ma la vicenda storica narrata, quella della deportazione dei Carabinieri della capitale avvenuta il 7 ottobre 1943, è assolutamente vera, anche se ben poco conosciuta. I tedeschi avevano preso quella decisione in previsione della deportazione degli ebrei romani, poiché temevano che gli uomini dell’Arma potessero essere di intralcio alle loro intenzioni.
Flavio Cesari scopre per caso ciò che sta per accadere e da quel momento inizia la sua fuga. Nel cercare delle risposte alle mille domande che affollano la sua mente, Cesari vive quei tremendi momenti facendosi narratore di uno degli eventi più bui della nostra storia recente. Come lettrice, mi sono trovata a trepidare con lui, a temere per la sua vita, con quel particolare terrore che mi accompagna di fronte a una storia ambientata durante la follia nazista. Si tratta del terrore provocato dall’inconcepibilità delle azioni portate avanti da esseri umani che, però, appaiono incapaci di umanità e di alcuna forma di pietà, e proprio per questo non possono che spaventare.
Ho letto questo libro diversi mesi fa, ma ci ho ripensato a lungo più di recente dopo una visita ad Auschwitz e Birkenau, i campi di sterminio che rappresentavano la destinazione finale (in tutti i sensi) dei deportati. Nel vedere quei luoghi, nel sapere le atrocità commesse in tempi tutt’altro che lontani, si reagisce cercando di allontanarne il pensiero, poiché è così fuori da ogni razionalità che si ha difficoltà ad accettare che una cosa del genere sia potuta accadere nella civilissima Europa del ventesimo secolo.
Zampa nel raccontare quella che è soltanto una breve vicenda riesce comunque a trasmettere l’eco lontana di quelle stesse atrocità, di cui possiamo vedere solo piccoli dettagli in alcuni eventi narrati. E con essa la paura.
Ho trovato particolarmente bello il modo con cui di fronte alla macchina infernale del nazismo i singoli uomini, con i loro dubbi (compresi coloro che avrebbero dovuto eseguire degli ordini per via della loro posizione: gli stessi Carabinieri, ma anche alcune Camice Nere), mettano a nudo la loro umanità, talvolta diventando, come lo stesso Cesari, protagonisti di atti di eroismo, che non avrebbero mai pensato di dover compiere.
A tutto ciò Zampa aggiunge la sua prosa coinvolgente e precisa, che accompagna il lettore in questo viaggio nel passato.

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Di Carla (del 06/08/2015 @ 00:38:19, in Scrittura & pubblicazione, linkato 2879 volte)

Con l’arrivo di agosto, dopo un rocambolesco mese di luglio in cui ho partecipato al Camp NaNoWriMo (e vinto), ho pubblicato l’ultimo libro di “Deserto rosso” in inglese (“Red Desert - Back Home”) e l’edizione cartacea di tutti i libri di “Red Desert”, mi ritrovo a rallentare il ritmo, cosa che mi provoca una strana sensazione, come se non stessi facendo il mio dovere. E così, dopo pochi giorni, mi sono rimessa all’opera, anche se senza l’urgenza delle scadenze.
 
Volente o nolente, tutto ciò fa sì che io dedichi parte di questa settimana a qualche bilancio, in attesa dell’ultimo quadrimestre del 2015 (oddio, sembra ieri che è iniziato!), che vedrà tra le varie cose anche l’uscita di “The Mentor” (versione inglese de “Il mentore”) pubblicato da AmazonCrossing (cui ho venduto i diritti di traduzione in inglese) e il cui risultato avrà effetti sulle mie scelte future.
 
Come dicevo sopra, a luglio ho partecipato al Camp NaNoWriMo. Stavolta mi sono posta come obiettivo soltanto 40 mila parole, poiché volevo scrivere la prima parte di “Ophir”, il prossimo libro del ciclo dell’Aurora. Ad appena due minuti dalla mezzanotte del 31 luglio sono riuscita a raggiungere la quota prefissata e posso dire di aver vinto. Come al solito (fatta eccezione per “Affinità d’intenti”, di cui completai la prima stesura proprio nello stesso momento in cui vinsi il NaNoWriMo 2013), raggiungere l’obiettivo non significa aver terminato la scrittura. Mi mancano ancora circa tremila o quattromila parole, che vorrei tanto riuscire a scrivere prima di Ferragosto per poi mettere da parte questo libro per un po’. Infatti ho intenzione di scrivere le altre due parti di “Ophir” tra il gennaio e l’aprile del 2016 (il libro poi uscirà nel novembre dello stesso anno).
 
Ma il mio obiettivo principale per questo mese, e l’inizio del prossimo, è l’editing di “Per caso”, il mio prossimo romanzo di fantascienza, frutto del Camp NaNoWriMo di aprile e che uscirà il 30 novembre 2015.
Lo so, avevo promesso di parlarvene più diffusamente in un post, ma non l’ho ancora fatto. Lo farò, stavolta sul serio, entro la fine del mese.
In questi giorni sto rileggendo la prima stesura e come al solito provo quella strana sensazione che, anche dopo appena pochi mesi, mi fa chiedere: “Ma questo l’ho scritto davvero io?
Come trama e tematiche è un romanzo molto diverso dai miei precedenti, ma credo che riconoscerete la mia voce d’autrice nella struttura e nel modo di affrontare i personaggi dall’interno.
 
Non si tratta però dell’unico mio impegno di questo mese. Ieri ho iniziato a prendere appunti su un nuovo thriller che scriverò forse l’anno prossimo o quello dopo (titolo provvisorio “Quella notte”) e nelle prossime settimane voglio metterne giù qualcuno su altre idee (di altri tre romanzi che mi ronzano in testa). Ho messo da parte l’outline di “Sindrome”, che sarà invece il prossimo libro che scriverò, tra novembre e dicembre, e sarà il seguito de “Il mentore”, il secondo di una trilogia (all’ultimo, il cui titolo provvisorio è “Oltre il limite”, ci penserò l’anno prossimo). Devo inoltre iniziare la traduzione in italiano del nuovo libro di Richard J. Galloway, del quale ho già tradotto “Amantarra”.
 
Infine ai primi di settembre sarò ospite della Sassari Comics and Games 2015 (se siete in zona, fatemelo sapere) e nelle settimane prima dovrò prepararmi per il panel che dovrò tenere durante la manifestazione, in cui parlerò dei miei libri di fantascienza e di Destinazione Terra e Fantascientificast, di cui sono inviata.
Insomma, non si può proprio parlare di un mese di riposo, ma solo un leggero rallentamento, che intendo mantenere anche a settembre e ottobre, prima del rush finale di questo 2015.
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Anche in questo caldo luglio che mi vede impegnata nella scrittura della prima parte di “Ophir” e lontana dalle solite attività per promuovere i miei libri, capita comunque, e direi anche per fortuna, che qualcuno parli di me.
Qualche tempo fa Silvio Sosio, curatore della rivista Robot, ha intervistato me e altri self-publisher italiani che scrivono fantascienza per raccogliere le nostre opinioni proprio sul fenomeno del self-publishing. Dall’insieme delle nostre interviste Sosio (che qui ringrazio per l’opportunità) ha scritto un articolo in cui analizza questo formato editoriale, riportando di volta in volta le nostre parole. Questo articolo, intitolato “Le sorprese del self publishing”, è incluso nel numero 75 di Robot (da pagina 88 a pagina 102), uscito circa una settimana fa.
Chiaramente si tratta per me e per i miei colleghi di un’occasione per ampliare il nostro pubblico e arrivare a quei lettori di fantascienza che ancora resistono all’idea di uscire dell’offerta di libri provenienti dall’editoria tradizionale e venire a vedere cosa noi self-publisher abbiamo da offrire. E speriamo che alcuni di loro si facciano coraggio e finiscano per rischiare pochi euro e qualche ora del loro tempo per assaggiarci. Potrebbero rimanere piacevolmente sorpresi.
 
La sorpresa, invece, è stata tutta mia, quando nel leggere la recensione de “L’uomo di Marte” su Tom’s Hardware mi sono ritrovata citata, insieme alla mia serie “Deserto rosso” (un ringraziamento speciale a Elena Re Garbagnati, autrice dell’articolo), come esempio italiano da accostare a questo bestseller internazionale dal quale è stato tratto un film con Matt Damon che uscirà in ottobre.
Essendo un’appassionata di Marte ho ovviamente letto il libro (qui trovate la mia recensione), ma non quando è uscito in Italia (lo scorso ottobre), bensì nella primavera del 2013, quando si trattava ancora dell’opera prima di un self-publisher. Nello stesso periodo io stavo scrivendo l’ultimo libro della serie ed ero incappata in questo ebook, intitolato “The Martian”, che costava la cifra esagerata di 89 centesimi di euro. Va da sé che non ho esitato un attimo ad acquistarlo. Chi l’avrebbe mai detto che due anni dopo (anzi, anche prima) quel libretto trovato per caso su Amazon sarebbe diventato così famoso?
 
Un fatto come questo, se da un parte mi sprona a dedicarmi con passione alla scrittura, perché non si sa mai cosa potrà portarmi nel prossimo futuro (sognare non costa nulla e io in pratica sono una sognatrice di professione!), dall’altra mi spinge a continuare a rovistare tra i libri più misconosciuti per scovare altre di queste perle che magari non raggiungeranno mai la notorietà.
C’è un mondo là fuori di libri che non troverete mai in una libreria o di cui nessuno parlerà mai in tivù o da cui non trarranno mai un film, ma che non per questo sono peggiori di quelli che ci vengono propinati in ogni dove. Magari tra questi libri c’è proprio quello che racconta una di quelle storie che vorreste leggere da chissà quando e che non avete ancora trovato, perché cercate nei posti sbagliati o aspettate che diventi di moda per poterlo scoprire. Be’, non so voi, ma io quel libro non me lo voglio perdere e quindi non mi accontento di quello che passa il convento. Provo ad avventurarmi in territori inesplorati.
Provateci anche voi, ogni tanto.
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Di Carla (del 24/07/2015 @ 09:00:00, in Lettura, linkato 3193 volte)

 Originale, provocatorio, coraggioso
 
Come sarà il mondo fra trecento anni? Non parlo di astronavi o viaggi spaziali, ma di come ognuno di noi riesce a immaginare la vita di tutti i giorni nel nostro pianeta, in una città, a Londra, per esempio, in un futuro così lontano. Viviamo già in un tempo in cui la tecnologia ci circonda ed è talmente insita nella nostra quotidianità che non possiamo immaginare noi stessi senza di essa. Ma come sarà fra tre secoli?
Se l’è chiesto Giovanni Venturi nell’affrontare la narrazione di “Joe è tra noi”. Ha preso internet, gli smartphone, i tablet e tutti i nostri gadget tecnologici, con cui ci teniamo in costante contatto col mondo e tramite i quali veniamo bombardati di informazioni, e li ha proiettati nel 2358, nella vita di un ragazzo che inizia a chiedersi se davvero tutta questa tecnologia lo renda più libero e gli offra maggiore conoscenza o se invece rappresenti ciò che limita la sua libertà e decide per lui cosa conoscerà e cosa sarà destinato a ignorare. Se così fosse, chi controlla tale tecnologia ha in mano la sua libertà e il suo sapere.
E se ciò che lo controlla e condiziona non si trovasse solo nei dispositivi che usa per connettersi col resto del mondo, ma fosse dentro di lui?
Il nuovo romanzo di Giovanni Venturi, che rappresenta anche il suo debutto nell’ambito della fantascienza, rivisita questa tematica classica del genere in una veste del tutto nuova. Lui, che viene dal romanzo di formazione e da racconti di vita delle persone comuni, prende questi temi a lui congeniali e li sviluppa attraverso ambientazioni e strumenti tipici della narrativa di speculazione, forgiando una storia dalla spiccata originalità.
Chi viene dalla lettura delle sue opere precedenti riconoscerà subito la sua voce d’autore, che porta il lettore dentro l’anima dei suoi personaggi, a vivere con loro le sconvolgenti vicende di cui sono protagonisti, ma scoprirà anche insospettabili sfaccettature della sua fantasia che in un contesto fantascientifico, senza le limitazioni dovute al racconto del realtà odierna, prendono finalmente il volo.
Chi, invece, in cerca di una storia di fantascienza incontra per la prima volta questo autore, si troverà di fronte a qualcosa di diverso, fuori del comune rispetto alle altre letture di questo genere, qualcosa capace di inquietare e allo stesso tempo suscitare la sua curiosità, pagina dopo pagina, fino all’astuto finale aperto, in cui Venturi trascina il lettore dentro il processo creativo e condivide con quest’ultimo la scelta della sua interpretazione.
Tutto ciò è racchiuso in un’opera ben scritta in cui  questo autore ancora una volta dimostra il suo talento, il suo amore per la parola scritta e la sua capacità di usarla per dar vita a vicende credibili, persino quando queste si svolgono fra tre secoli, in un realtà immaginaria che sfiora la distopia. Pregevole in questo senso l’inserimento di alcuni elementi scientifici che, seppur utilizzati con fantasiosa disinvoltura, svolgono egregiamente lo scopo di coadiuvare la sospensione dell’incredulità e rendendo talvolta difficile distinguere ciò che corrisponde alla realtà da ciò che invece è stato creato dall’autore stesso.
Infine, degna di nota è la scelta di raccontare la storia su più piani temporali intrecciati che poi vanno a confluire. Alcuni di questi ci mostrano eventi che il protagonista non conosce, ma altri arrivano a simulare con estrema efficacia il modo con lui lo stesso Joe, che soffre di strane amnesie, si ritrova a raccogliere pezzi del suo passato che parevano essere stati cancellati. E proprio in essi sono celate le risposte che potranno far luce sull’origine della misteriosa richiesta di aiuto che echeggia nella sua mente, e in quella del lettore, fin dal primo capitolo di questo coraggioso romanzo.

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Di Guest blogger (del 22/07/2015 @ 12:50:54, in Scrittura & pubblicazione, linkato 3294 volte)
Will su Flickr - Indian book cover design (back)
Oggi ho il piacere di ospitare un nuovo guest post del collega e amico Giovanni Venturi, che, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, il thriller fantascientifico “Joe è tra noi”, e prendendo spunto da “1984” di George Orwell, ci propone una riflessione sulle conseguenze del controllo dell’informazione.
 
Qualche tempo fa lessi “1984”, uno dei più celebri romanzi di George Orwell, pubblicato nel 1949, un testo di una attualità sconvolgente. Il romanzo è entrato nella definizione di “romanzo classico”, cioè la storia che tutti si dovrebbe leggere. Il mio rapporto coi romanzi classici una volta era di timore, poi ho capito che questi testi hanno qualcosa da insegnare. Chiaramente il romanzo per l’epoca era un chiaro messaggio verso alcuni personaggi dominanti della storia. Arrivati nel 2015 credo che quel messaggio sia ancora interpretabile nello stesso identico modo, anche per quelli che sono i personaggi della storia odierna.
 
L’idea che mi sono fatto di questo libro è che l’informazione è l’unico elemento che se non controllato può portare problemi a chi non riesce a controllarla. Cambiare la storia semplicemente alterando documenti storici, fare passare in tivù solo quello che si vuole, o per volontà o per timore di essere perseguiti, spinge a controllare l’essere umano, a manipolarlo senza nemmeno che lui se ne renda conto. Potrei fare tantissimi esempi di ciò che accade oggi, sotto gli occhi di tutti, dove molti credono che sia davvero la tivù a stabilire se una cosa è vera oppure no, e se non appari mai in tivù allora non esisti. Gli scrittori se non appaiono in tivù non esistono, vi pare? Chi conosce uno sconosciuto scribacchino che per giunta si autopubblica? Come osa costui? Se ci fate caso ci sono varie trasmissioni televisive, spazi di telegiornali inclusi, che non si occupano mai direttamente di romanzi e narrativa, ma dove di tanto in tanto si ospitano scrittori di importanti case editrici e dove solo quegli scrittori vengono segnalati. Sono in tivù, ergo esistono, ergo sono scrittori per davvero.
Immaginiamo un mondo che spinge sempre di più verso il controllo dell’informazione. Smartphone che comunicano di continuo la posizione GPS dell’utente, che intercettano i contenuti che lo stesso immette in rete, che ne rilevano le impronte digitali, che conoscono quanta influenza ha in rete, cosa scrive su Facebook, su Twitter, su Google+.
 
Ora immaginiamo il futuro, da qui a 350 anni circa. Anno 2358, Londra. La città di cui si parla in “1984”. Immaginiamo tablet così ultramoderni da poterli arrotolare come un foglio di carta e metterli in tasca. Tablet che sono connessi a una rete madre globale dove ogni informazione passa attraverso questa potentissima infrastruttura che dà il proprio segnale wireless in tutto il mondo. Una rete gestita da organizzazioni potentissime che decidono chi può accedere a cosa. Controllo delle informazioni. Controllo delle utenze. Controllo degli accessi. Tablet così non possono nemmeno più chiamarsi tablet, in quanto l’idea che si ha di questo strumento è il rettangolo di plastica spesso, non deformabile e che ha su di sé il sistema operativo Android ed è possibile telefonare, oppure pensiamo a un iPad, leggero, ma non pieghevole, dove non è possibile indossare cuffie per telefonare. Se una rete wireless globale copre ogni angolo della terra, la telefonia sarà concepita anche in altro modo. Sarà una videocomunicazione che avviene tramite questa rete. Oggi sempre più persone inviano messaggi, foto, audio tramite applicazioni per smartphone, non usano più SMS e meno che mai MMS, per le chiamate vocali ci sono sempre più applicazioni, basta solo la connessione dati per fare tutto o quasi.
Ho immaginato tutto questo e mi sono detto: ma in un mondo così tecnologico, non tutti hanno gli stessi privilegi, qualcuno può operare per scopi non sani e riuscire a farlo e non essere intralciato perché occupa una posizione di rilievo, di potere, e così tra colpi di scena, misteri e scene cariche di tensione ho scritto “Joe è tra noi”. Una storia di un ragazzo, Joe, che vive in una Londra dell’anno 2358, una metropoli ipertecnologica. Joe intercetta un messaggio di aiuto anonimo. Chi invoca il suo aiuto e perché? È questo l’interrogativo con cui si apre questo thriller di fantascienza.
 

 
GIOVANNI VENTURI è Ingegnere Informatico che usa/ama/odia Linux. Windows lo ha abbandonato 10 anni fa, una notte che era stanco di soffrire per vedere un banale DVD mentre il sistema si riavviava di continuo sempre nella stessa scena del film. Esprime emozioni viscerali, forti, molto emotive, cambia spesso idea, vorrebbe pubblicare per un grande editore, ma dati i fatti che si verificano quotidianamente crede che la miglior cosa sia scrivere per non pubblicare, come il pittore pazzo del film "Il mistero di Bellavista", di Luciano De Crescenzo, l'arte non si vende, ma si distrugge. Dice continuamente di voler smettere di scrivere e di lasciarlo fare a chi lo sa fare meglio, ma poi si imbatte in pessime storie trovate in libreria e si redime, torna a scrivere e poi se ne pente di nuovo. In bilico tra amore e odio per la scrittura ha pubblicato 8 racconti per un editore romano, senza pagare nulla, e un capitolo di un romanzo a più mani. E dal luglio del 2012 a oggi la raccolta di racconti Deve accadere, Racconti dall'isola, il racconto lungo Viaggio dentro una storia, i romanzi Le parole confondono e Joe è tra noi.
 
Il blog di Giovanni Venturi “Giochi di parole… con le parole”: www.giovanniventuri.com
 
"Joe è tra noi" è disponibile su Amazon, Kobo, Apple e Google Play.
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Di Carla (del 21/07/2015 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2808 volte)

 Un’altra perla del maestro
 
Crichton riesce a stupirmi sempre. Che si tratti di uno dei suoi ultimi libri (anche postumo) o di uno di quelli scritti decenni fa, la sua scrittura e il modo in cui affronta le tematiche dei suoi romanzi sono sempre dannatamente attuali. Per quanto il suo modo di creare un romanzo sia sempre quello di individuare un argomento, che pone al centro dell’opera, e poi costruirci intorno una storia, la sua capacità di affrontare argomenti sempre diversi ma comunque in maniera estremamente approfondita è qualcosa di unico che finora non ho mai trovato in nessun altro autore.
Ma veniamo a questo romanzo, “In caso di necessità”, scritto da Crichton durante le vacanze di Pasqua (lo racconta nell’introduzione) quando era ancora uno studente di medicina, pubblicato con uno pseudonimo e diventato un bestseller con grande sorpresa dello stesso autore.
Il romanzo in sé è molto tecnico e il fatto che Crichton all’epoca studiasse medicina è evidente. Il suo essere così tecnico, per quanto mi riguarda, è un grandissimo pregio. Nonostante sia stato scritto quarantasette anni fa (!) e molte cose siano cambiate nel campo della medicina, risulta comunque molto attuale e offre un’occasione di riflessione davvero fuori dal coro su un argomento controverso come l’aborto.
La storia parla di un medico che è stato arrestato perché si pensa che una donna sia morta a causa di un aborto praticato da quest’ultimo, quando questa pratica era ancora illegale in gran parte degli Stati Uniti. Un amico dell’arrestato, che poi è il protagonista, si batte per scoprire la verità. Lo seguiamo nelle sue investigazioni e ben presto, sebbene la struttura della thriller sia elaborata e ben costruita, finiamo per appassionarci all’aspetto medico e alle sue implicazioni morali, che vengono poi approfondite dalle accurate note riportate in appendice.
Una cosa che apprezzo di Crichton è la sua capacità di porre degli interrogativi senza imporre il proprio punto di vista al lettore (al contrario di ciò che capita con molti altri autori che affrontano temi etici). Ti espone i fatti, i vari punti di vista e possibili sviluppi, e lascia che sia tu a ragionarci su e a formarti una tua opinione personale sull’argomento, senza influenzarti. Tutti i suoi libri sono spunti di discussione e arricchiscono la tua mente, oltre che divertirti.
Anche la traduzione non sembra per niente scritta tanto tempo fa. Il linguaggio non scade quasi mai nell’obsoleto e suona realistico anche letto al giorno d’oggi. Nonostante questo, però, a volte la traduttrice ha preso comunque delle cantonate pazzesche, tipo “ventola parasole” per indicare il parasole anteriore dell’auto che si apre/abbassa a ventaglio o evidenti contraddizioni tra due periodi successivi. Tutti piccoli errori dovuti a una inadeguata revisione del testo.
Continuo a non capire perché quando vengono pubblicate delle nuove edizioni i testi non vengano riletti. È assurdo che un libro tradotto decenni fa contenga ancora degli errori.
Concludo dicendo che una cosa che mi ha particolarmente stupito è stato notare in vari siti come questo romanzo abbia una media recensioni abbastanza bassa, proprio perché i lettori si lamentano che l’argomento medico è un po’ ingombrante. Una cosa del genere è quantomeno bizzarra. Certo, capisco che non sia semplice per chi non ha una preparazione biomedica seguire tutti i dettagli della trama, ma d’altronde si tratta di un medical thriller. Che cosa si aspettavano?

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Di Carla (del 16/07/2015 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2868 volte)

 Semplice, breve, profondo
 
È sempre difficile giudicare un libro che viene considerato un capolavoro indiscusso della narrativa moderna, un classico moderno. Non ci provo neanche. Voglio solo cercare di riassumere in poche parole ciò che questo libro mi ha lasciato.
Stupisce che un libro di cinquantacinque anni fa “suoni” così moderno durante la lettura, tanto più se i fatti narrati vengono fatti risalire a decenni prima. È un romanzo abbastanza breve e per niente complicato che si può leggere e apprezzare a qualsiasi età.
La voce narrante è quella di una bambina che, mentre ci racconta i banali fatti della sua vita quotidiana, si ritrova ad assistere a eventi più grandi di lei, che però affronta con la saggezza semplice e innocente che solo un bambino può avere. E così un episodio di razzismo degli anni trenta, un razzismo che era ancora una triste realtà al tempo della stesura del romanzo e che purtroppo in parte lo è ancora al giorno d’oggi, diventa l’occasione per ritrarre uno spaccato del sud degli Stati Uniti, in cui le cose avvengono come tutti si aspettano che debbano avvenire e in cui la piccola luce di un gesto quasi eroico sul finire del romanzo illumina un po’ una realtà rassegnata e disillusa.

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Di Carla (del 14/07/2015 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2928 volte)


 Personaggi credibili e bellissima prosa

Non leggo quasi mai thriller soprannaturali, perché ho grosse difficoltà a trovare questo genere di storie credibili. Così ero abbastanza scettica nell’accostarmi a questo libro. Ho letto l’inizio in cui il protagonista, Jim Ironheart, viene spinto da una voce nella sua testa a lasciare la sua città per evitare che un certo evento abbia luogo. Non si capisce di preciso di cosa si tratti.
Ciò che mi ha conquistato e mi ha spinto ad andare avanti è stato lo stile dell’autore e la sua bellissima prosa. Koontz con poche parole ti porta dentro la mente del personaggio e lo fa con un linguaggio davvero molto suggestivo. Il tutto funziona così bene che ho deciso di mettere da parte la mia diffidenza verso il paranormale e continuare a leggere.
E non me ne sono affatto pentita.
Sebbene l’elemento paranormale sia centrale in questo romanzo, il modo in cui viene narrato, l’empatia che l’autore riesce a creare nei confronti dei due personaggi principali (Jim e Holly) e il poter vivere le loro emozioni in prima persona sposta l’attenzione dal soprannaturale ai personaggi stessi. Il romanzo diventa la loro storia. L’ambiguità di Jim (e i personaggi ambigui sono sempre i miei preferiti) e le paure di Holly ti catturano. Ed è questo che fa la differenza, perché, quando si crea un legame con i personaggi, questi diventano credibili e con essi tutto ciò che li circonda, dando luogo a una solida sospensione dell’incredulità.
Di fronte a ciò, il libro avrebbe potuto trattare di qualsiasi altro tema che sarebbe comunque riuscito a conquistarmi.
Infatti, per quanto gli eventi narrati siano impossibili nella realtà, quella vera, cosa che di solito mi fa perdere interesse nella storia (a meno che non si tratti di fantascienza), ciò non è accaduto con questo libro, poiché il modo in cui vengono presentati li rende sempre perfettamente logici.
Infine, a concludere nel migliore dei modi questo romanzo, c’è il finale aperto che ti fa sorridere nell’immaginare cosa potrebbe accadere dopo.

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Di Carla (del 09/07/2015 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2987 volte)

 Trasmissioni radio e un omicidio
 
Splendido e accurato resoconto di un caso di omicidio che fece grande scalpore all’epoca, ma reso ancora più famoso poiché la sua risoluzione fu possibile grazie all’utilizzo dell’allora nuova tecnologia radiotelegrafica.
Si tratta di un libro molto lungo che da una parte ci racconta della figura di Guglielmo Marconi da quando era ragazzo fino alla sua morte e dall’altra quella del dottor Hawley Harvey Crippen e di sua moglie. Dietro la scrittura di questo libro c’è un immenso lavoro di ricerca. L’autore, infatti, racconta sempre e soltanto gli eventi così come sono accaduti, riportando tutte le fonti. Infatti l’ultimo venti percento del libro contiene le numerose note esplicative e bibliografiche, in cui è possibile trovare conferma dei fatti narrati.
Devo ammettere che fino a due terzi del libro ho trovato di gran lunga più interessante la storia di Marconi, che non conoscevo affatto, mentre la vita di Crippen e delle persone a lui collegate era abbastanza noiosa. Nell’ultima parte, però, dalla scomparsa di Cora in poi mi sono fatta prendere dalla narrazione degli eventi e, per quanto immaginassi come sarebbe andata a finire (anche se non avevo letto la descrizione del libro), mi è spiaciuto un po’ per il povero Crippen.
Ma ciò che rende davvero stupendo questo libro è il genio di Marconi. Molta della tecnologia che noi diamo per scontata esiste grazie alla sua perseveranza, al modo maniacale con cui portava avanti i suoi esperimenti empirici (non era un “vero” scienziato) e grazie anche al fatto che tale genialità fosse nelle mani (e nella mente) di una persona che aveva la possibilità di metterla in pratica.
Se amate la scienza e al tecnologia, questo è un libro da leggere assolutamente.
 
 
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Di Carla (del 07/07/2015 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2685 volte)

 Descrizione del libro fuorviante: non è un techno-thriller, ma una storia quasi post-apocalittica
 
Non so da dove iniziare nel recensire questo libro.
In un primo momento sono rimasta folgorata dalla caratterizzazione dei personaggi. L’autore riesce a farti sentire nei panni del protagonista mentre vive insieme alla sua famiglia (la moglie, con cui aveva dei problemi, e il figlio) e i suoi vicini di casa un terrificante dramma. Un cyberattacco terroristico blocca completamente internet, provocando il venire meno dei servizi base a Manhattan (corrente elettrica, acqua, ecc…). Ciò avviene in congiunzione con una terribile tempesta di neve. La popolazione si ritrova in una città dove tutto smette di funzionare e rischia di morire assiderata e di fame in breve tempo. A ciò si aggiunge l’isolamento, poiché nessuno sa se lo stesso stia accadendo anche altrove, se il mondo che tutti conoscono sia veramente finito. L’atmosfera è post-apocalittica, con esseri umani incattiviti che non esitano a uccidere per un po’ di cibo o per del carburante, altri che arrivano addirittura al cannibalismo.
L’autore sceglie la prospettiva limitata del protagonista, Mike Mitchell, che è solo una persona comune che cerca di sopravvivere. Le sue avventure sono a dir poco angoscianti. Si soffre insieme a lui, chiedendosi se cosa accadrà nella pagina successiva.
Tutto ciò mi è piaciuto, ma solo fino a un certo punto. Sì, perché questo continuo perseverare dell’autore nel peggiorare la situazione del protagonista finisce per stancare. Avevo sperato che a un certo punto lo stesso protagonista fosse in qualche modo coinvolto nella risoluzione della storia, ma non è quello che avviene. Ignaro di cosa stia realmente succedendo nel mondo, Mike vive il suo dramma umano con crescente disperazione, che viene trasmessa al lettore, e poi di colpo tutto finisce, senza che lui ne abbia alcun merito e con una risoluzione che lascia non poche domande senza risposta.
Nel prendere in mano questo libro mi ero aspettata di trovarmi di fronte a un techno-thriller che fosse centrato sul cyberattacco (come pareva leggendone il titolo e la descrizione), sulla comprensione della sua origine e sulla sua risoluzione, ma tutto ciò viene vagamente chiarito solo alla fine del libro, dove tra l’altro si scivola da un contesto drammatico a uno puramente fantascientifico. Il romanzo infatti è una sorta di prequel di una serie di fantascienza dello stesso autore incentrata su una città galleggiante chiamata Atopia.
Nel prendere in mano questo libro non avevo capito che si trattava della solita storia (quasi) post-apocalittica (genere che non mi piace per niente), che racconta le miserie di gente comune di fronte a un disastro, ma pensavo che fosse un techno-thriller, cioè un thriller in cui la parte tecnologia avesse un ruolo importante. Il libro invece parla delle conseguenze dell’improvvisa assenza di tale tecnologia. Il problema di fondo, in realtà, è dovuto alla descrizione stessa del libro, in cui questo è definito techno-thriller e viene addirittura consigliato ai fan di Michael Crichton, con le cui opere non ha assolutamente niente a che vedere. Trovo questa scelta del tutto fuorviante, oltre che rischiosa, visto che potenzialmente può portare a recensioni negative (come la mia) da parte di chi si aspettava di leggere tutt’altro.
 
 
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